Alessandro Kraus
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Alessandro Kraus (1853 – 1931), musicologo, pianista e organologo sammarinese.
Appunti sulla musica dei popoli nordici
[modifica]Non v'ha popolo, per quanto primitivo o barbaro, che non abbia provato il bisogno di esprimere coll'aiuto anche di un semplice piffero di canna, una zampogna di avena, o col ripetere in cadenza una successione di parole, in molti casi anche senza un significato vero e proprio, i sentimenti suoi più intimi di amore o di odio, insomma di ricorrere alla musica, quest'arte consolatrice delle umane sventure e ispiratrice delle opere più nobili e geniali, come anche delle più tragiche e terribili dell'umano genere.
Citazioni
[modifica]- La scala pentatonica, base e fondamento della musica cinese e giapponese, si riscontra anche fra quella degli abitanti della Siberia settentrionale, degli scandinavi, degli scozzesi, degl'irlandesi e perfino degl'indiani dell'America del Nord, unitamente all'altra scala di origine orientale, quella diatonica colla settima minore. (p. 3)
- Odino, la maggior divinità scandinava, creatore dei canti magici, era altresì il regolatore del mare, e come tale ebbe il nome di Nikarr. Nelle profondità marine, egli si dilettava a suonare l'arpa, cogli dei minori, che qualche volta si degnavano comparire alla superficie, per insegnare l'uso di questo magico strumento a dei semplici mortali da loro prediletti. (p. 5)
- Chi direbbe che in mezzo a quelle tribù [indiane del Nord-America] lontane dai grandi centri di civiltà, oltre a delle vere orchestre di crustici e strumenti da fiato, come quella dei Dakota, della quale fanno parte tre tamburi, da tre a venti cròtali di ogni foggia e da tre a dodici pifferi, si possano rinvenire anche dei violini colle corde di crino, come il rebab arabo o la gusla del Montenegro? (pp. 12-13)
- Quando un Esquimese si riteneva offeso da qualche suo compagno, non dava a dimostrare né collera, né risentimento, né desiderio di vendetta, ma invece preparava una canzone satirica, che ripeteva di continuo ballando in presenza dei suoi di casa e specialmente dell'elemento femminile, finché tutti l'avessero imparata a mente.
Dipoi dato voce di aver intenzione di cantare alle spalle del suo offensore, radunava i vicini, presente colui che aveva profferita l'offesa, e cominciava a ballare e cantare in mezzo a loro, accompagnato in coro dai familiari. Come si può immaginare, qualunque allusione spiritosa all'avversario, veniva accolta da risate e da applausi.
Finito questo canto, toccava all'offensore a rispondere con un altro di egual natura, e così di seguito i due contendenti si alternavano fino a estinzione di forze.
Gli astanti che fungevano da arbitri, davano ragione a chi fosse rimasto ultimo a cantare.
Così finiva il duello incruento; certo in un modo non più ridicolo di certi duelli che avvengono oggi giorno nella civile Europa! (p. 14)
- Il canto popolare russo, creato veramente dal popolo, che malgrado l'ignoranza di qualunque principio della tecnica dell'arte, solo dotato di orecchio sensibilissimo e di gusto artistico musicale innato, ha saputo intessere delle melodie, piene di sentimento e di grazia e di struttura così corretta, di concetto musicale tanto elevato, che il famoso Paisiello non voleva credere che fossero parto del genio popolare, anziché di compositori provetti; ma piuttosto il retaggio di qualche antica schiatta molto progredita in civiltà. (p. 21)
- La musica era tenuta in così alto conto presso i cimbri bretoni, che non si riguardava come perfetto quel gentiluomo, che non sapesse abbastanza bene suonare lo strumento nazionale per eccellenza: l'arpa. Grandi onori tributavano ai cantori, tantoché il loro capo, era l'ottavo fra i portaemblemi, alla corte dei re gallesi. Si narra che quando Eduardo I d'Inghilterra, espugnò il Paese di Galles, impressionato dalla grande influenza che essi esercitavano sul popolo coi loro canti, emettesse un editto col quale vennero tutti condannati a morte. (p. 36)
Bibliografia
[modifica]- Alessandro Kraus figlio, Etnografia musicale. Appunti sulla musica dei popoli nordici, Tipografia di Salvatore Landi, Firenze, 1907.
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