Armistizio di Villafranca

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La stanza ove fu concluso l'armistizio tra i due imperatori

Citazioni sull'armistizio di Villafranca, stipulato l'11 luglio 1859, al termine della II guerra d'indipendenza, tra Napoleone III di Francia e Francesco Giuseppe I d'Austria.

  • Il trattato di pace di Villafranca, come è noto anche per ciò che è scritto nei manuali scolastici, non ebbe effetto o, come è detto in quei manuali, rimase «lettera morta». Rimase però vivo, senza troppo modificarsi nella tradizione italiana, il giudizio sintetico che ne diede il Mazzini a colpo caldo, cioè il 20 luglio, nel suo scritto «La pace di Villafranca». Esso si riassume come un nuovo tradimento di Napoleone III verso l'Italia, e in quel patto con l'Austria, è additato il disegno di un nuovo maggior colpo di Stato europeo, contro cui insorgeranno governi, popoli, l'esercito stesso francese che si stancherà «di far la parte di carnefice della libertà»[1]. (Alfredo Panzini)
  • L'incontro fra i due sovrani, scortati ciascuno da un brillante e numeroso seguito, avvenne [l'11 luglio 1859] a circa due chilometri da Villafranca. Si strinsero la mano, come fossero stati due vecchi amici; e dopo essersi presentati reciprocamente il proprio seguito, presero la via che conduceva al villaggio. Ivi giunti, si fermarono dinanzi ad una casa di modesta apparenza; e saliti al primo piano, entrarono in un salotto, dove stettero chiusi per circa un'ora e mezzo. Nessuna traccia scritta, nessun processo verbale rimase degli accordi stati combinati fra loro. Soltanto si seppe che essi, separandosi con grandi dimostrazioni di scambievole cortesia, avevan preso l'impegno di riassumere entro brevissimo tempo, in una convenzione scritta, i patti verbalmente fra loro stabiliti. (Licurgo Cappelletti)

Matteo Mazziotti[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Il conte di Cavour seppe da un telegramma del re dell'8 luglio della proposta di armistizio. Preoccupato da tale notizia partì con il Nigra ed Alessandro Bixio per Monzambano, ove ebbe con il re un colloquio che è stato narrato da molti scrittori con particolari alquanto diversi. Ad esso non assisteva altri; quindi non si può stabilire la verità. Per concorde giudizio degli storici, fu molto vivace. Cavour sapeva che l'indomani doveva aver luogo l'incontro dei due imperatori per fissare i preliminari di pace su la base della cessione a la Sardegna della sola Lombardia e della restaurazione dei principi spodestati. Tentò invano di persuadere il re a non accettare quelle basi ed occorrendo a proseguire la guerra da solo; ma Vittorio Emanuele non aderì con ragione a l'audace consiglio[2]
  • Alcuni storici narrano che Napoleone [III] inviò, senza prima avvisarne il suo alleato [Vittorio Emanuele II], la proposta di armistizio a Francesco Giuseppe. Sta invece in fatto che, per preparare il re Vittorio a tale proposta, gli lesse da prima la lettera dell'imperatrice, poi la mattina del 6 gli tenne parola delle immense difficoltà di continuare la guerra e lo avvertì per mezzo del principe Napoleone Girolamo del suo desiderio di un armistizio. E la sera del 6 gli comunicò una lettera, che egli dirigeva a l'imperatore d'Austria e di poi la risposta di lui. Questi particolari narrò lo stesso re al generale Lamarmora, il quale li riferì al conte [Cavour] con lettera dell'8 luglio da Mozambano.
  • Napoleone non poteva a Villafranca procurare a l'Italia maggiori vantaggi di quelli conseguiti. Il Piemonte acquistò sette provincie tra le più ricche e prospere d'Italia. Doloroso al certo che la Venezia restasse a l'Austria; ma la sventurata regione era ancora occupata da l'esercito austriaco ed il chiederla sarebbe valso unicamente a rompere ogni trattativa. I preliminari di Villafranca corrispondevano a le intelligenze stabilite nel convegno di Plombières, cioè di costituire una federazione degli altri Stati italiani. Qual altro assetto poteva allora darsi a la penisola?

Note[modifica]

  1. Mazzini, X, pag. 342. [N.d.A.]
  2. Montini, La pace di Villafranca, p. 70. [N.d.A]

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