Attentato di via Rasella

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Roma, 23 marzo 1944: soldati tedeschi accanto a un morto in via Rasella.

Citazioni sull'attentato di via Rasella.

Rosario Bentivegna[modifica]

  • Fu in via Rasella che portammo a termine la più importante azione di guerra che i partigiani abbiano condotto a Roma, senza dubbio una delle più importanti d'Europa.
  • Un giorno Mario Fiorentini e Lucia invitarono Carla e me a mangiare qualcosa in una bottiglieria all'angolo di via del Lavatore, che dall'altra parte di via del Traforo fronteggia via Rasella. Mentre mangiavamo, egli mi fece vedere dalla porta della bottiglieria i tedeschi che passavano. Cantavano. Le loro canzoni, la loro voce, il loro passo cadenzato, l'orgoglio del nazismo, il loro incedere da occupatori sprezzanti, suscitavano in chiunque si trovasse a passare di lì un brivido di paura. «Bisogna colpirli, quelli lì» dissi a Mario. Egli sorrise. Aveva una sua aria sorniona di ridere: con gli occhi stretti, si umettava un paio di volte le labbra con la lingua e rovesciava un poco la testa all'indietro. «Per questo siamo qui» mi disse.
  • Venivano su cantando, nella loro lingua che non era più quella di Goethe, le canzoni di Hitler. Centosessanta uomini della polizia nazista con le insegne dell'esercito nazista, i rappresentanti di coloro che rastrellavano i cittadini inermi, degli assassini di Teresa Gullace e Giorgio Labò. Le divise, le armi puntate, il passo cadenzato, perfino la carretta su cui era piazzata la mitragliatrice, le voci straniere, tutto era un oltraggio al cielo azzurro di Roma, agli intonachi, ai sampietrini, al verde che il parco di palazzo Barberini riverberava dolce sulla via Rasella. Era un oltraggio che si ripeteva, dai millenni e nei millenni; e il Vae victis di Kesselring non aveva di fronte, a rintuzzarlo, che le armi e il coraggio dei partigiani. Oggi il nostro tritolo. Venivano su cantando, macabri e ridicoli e i segni di morte che avevano indosso erano, stavolta, i segni della loro condanna. [...] Si avvicinarono a me, ebbri di sicurezza e di un sole usurpato, che non era il loro. Non erano loro quella primavera, quei colori. Erano loro il terrore, la morte che avevano seminato per le vie deserte di Roma, la guerra che avevano portato dentro le case e nelle scuole, ma anche la morte che era in agguato sulle montagne e dietro gli angoli delle nostre strade, cui non servivano da freno il coprifuoco e la fame, le rappresaglie e le torture, la morte che li colpiva improvvisa, che li terrorizzava e dava l'avviso di una giustizia che non avrebbe tardato troppo a sopraggiungere.

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