Aurelio Bianchi-Giovini
Aurelio Bianchi-Giovini (1799 – 1862), giornalista e polemista italiano.
Citazioni di Aurelio Bianchi-Giovini
[modifica]- Se la rapidità con cui una religione si estende fosse una prova della sua veracità, niuna sarebbe più vera di quella proclamata da Maometto, la quale in men di cento anni fece sventolare i vittoriosi suoi vessilli dalle rive del Gange a quelle del Garigliano.[1]
- Far sparire da un lato l'opulenza oziosa, dall'altro la povertà languente, è per verità un magnifico pensiero; ma ciò che è bello in teoria non è sempre fattibile in pratica. Siccome il diritto di proprietà è antico quanto il mondo; e la solerzia e l'accidia, l'audacia e la pusillanimità, la potenza e l'impotenza d'ingegno furono costantemente a sorti disuguali: così il comunismo potrà cagionare una passaggera violenza, ma niente cangerà nei rapporti di possesso che regolano fino dai primi tempi tutte le società umane. Che cosa vogliono i comunisti? In teoria, cose bellissime; nel fatto, rubare agli altri per far ricchi se medesimi. O benedetto il giorno in cui tutti saranno operai! grida uno di loro. Intanto però egli non è operaio, egli non lavora; ma vive a spalle altrui. Così fanno, o far vorrebbero i suoi confratelli. Ma posciachè da coteste loro inclinazioni, tutte le classi, tutti gl'interessi, tutte le posizioni sociali ne sarebber lese, perciò appunto il comunismo sarà come Ismaele, che levando le mani contro di tutti, le mani di tutti si leveranno contro di lui.[2]
Critica degli Evangeli
[modifica]- [...] fra i libri del Nuovo Testamento quello che incontrò più ostacoli fu l'Apocalisse che gli antichi trattarono da impostura inventata dall'eretico Cerinto per dar credito alla sua chimera del regno millenario. (vol. I, libro I, p. 15)
- Nel 364 il concilio di Laodicea escludeva l'Apocalisse dai libri sacri; invece verso il 380 san Filastrio vescovo di Brescia trattava di eresia l'opinione di Cajo, e quasi nel medesimo tempo san Gregorio di Nazianzo, sant'Anfilochio d'Iconio e la maggior parte de' Greci, se non attribuivano l'Apocalisse a Cerinto, almeno le ricusavano un posto fra le Scritture. Onde san Gerolamo scriveva a Dardano che come i Latini non ammettevano l'epistola agli ebrei, del paro le Chiese greche rigettavano l'Apocalisse di san Giovanni. E non fra i Greci soltanto, ma nell'Occidente ancora, nel 633, vi erano molti che, malgrado le decisioni de' concilii e dei vescovi romani, non volevano riconoscere l'Apocalisse fra i libri divini, né permettere che si leggesse in Chiesa, contro i quali fu necessario minacciar la scomunica[3]. (vol. I, libro I, pp. 16-17)
- Se la Chiesa antica rigettava dall'elenco dei libri sacri alcuni che furono poi ammessi dalla Chiesa moderna, per compenso ella ne ammetteva altri sui quali la Chiesa moderna ha cambiato di parere. (vol. I, libro I, p. 19)
- I cristiani dei primi tempi costituivano una specie di milizia od una società segreta, ordinata nelle forme e coi modi di quelle che esistono anche oggidì, e che sono perseguitati dai principi di adesso, come i cristiani erano perseguitati dai principi di allora. (vol. I, libro I, p. 33)
- Secondo i teologhi della Frigia (che per essere sul paese potevano essere meglio informati) il quarto Evangelio era opera non dell'apostolo Giovanni, ma dell'eretico Cerinto, che per ingannare i fedeli usurpava un nome venerabile, come lo aveva usurpato fingendo l'Apocalisse; e secondo il vescovo di Lione era genuinamente di Giovanni, che lo aveva scritto contro la dottrina di Cerinto: quelli vi trovavano i dogmi cerintiani; questo la confutazione. (vol. I, libro I, p. 43)
- [...] fra le glorie della biblioteca regia dell'Escuriale in Ispagna vi era il preteso autografo di san Luca scritto in lettere d'oro. Al qual proposito non è inutile di osservare che nei secoli barbari usavano i missionari di sorprendere la credulità od allettare la superstizione dei popoli facendo loro vedere libri scritti con oro e con eleganti miniature, e gli idioti facilmente si persuadevano che niun altro fuori che un angelo od un santo era capace di così bel lavoro. (vol. I, libro I, p. 46)
- Dei quattro Evangeli, i due primi, attribuiti a Matteo ed a Marco, appena si esaminino con qualche attenzione e si confrontino parola per parola i numerosi luoghi paralleli, risulta chiaro che non sono se non se due traduzioni di un medesimo Evangelio scritto o in siro-caldeo o in ebraico, con qualche varietà nei testi di cui si servirono i due traduttori; o forse meglio non sono che una traduzione sola: tranne che quella detta di Marco è la più semplice e la più genuina; laddove a quella detta di Matteo furono fatte moltissime aggiunte e interpolazioni di data posteriore e di provenienza greca. (vol. I, libro II, p. 71)
Biografia di frà Paolo Sarpi
[modifica]Il nome di Frà Paolo è popolare in tutta l'Europa, e ciò non pertanto non abbiamo che assai imperfette notizie intorno alla sua vita. Gli articoli che la riguardano inseriti nelle raccolte biografiche sono zeppi di errori, né mi ha fatto meraviglia di leggere nella Biografia Universale stampata recentemente a Venezia, nella patria del Sarpi, spacciate sul conto suo le più grosse falsità del mondo: non mi ha fatto meraviglia, ripeto, perché la riputazione di questo grand'uomo essendo stata lungamente in mano ad un ordine di persone che lo avea sacro ad un odio fanatico, ove a loro sottratto non lo avesse il secolo che sempre va innanzi e approva tutto che egli fece e scrisse, Frà Paolo sarebbe tra quelli che giacciono oppressi dalle superstizioni della loro età, e dalla ingiustizia de' giudizi del mondo.
La Repubblica di Milano dopo la morte di Filippo Maria Visconti
[modifica]La sera del 13 agosto [1447] cessava di vivere Filippo Maria, ultimo de' Visconti; e i Milanesi ne seppero la morte prima di sapere ch'ei fosse ammalato, tanto egli, già da più anni, traeva un'esistenza misteriosa. Ei moriva senza figliuoli, lasciava i popoli stanchi di una tirannide più sorda che violenta; lasciava le finanze esauste, una guerra coi Veneziani che stavano quasi alle porte di Milano, nessun successore e molti pretendenti. Si fecero i suoi funerali, ma in fretta e senza pompa, e quasi tumultuariamente. Imperocché appena sparsasi la nuova della sua morte tutta la città fu in sussulto: dapertutto un gridare, un tumultuare, un correre all'armi: chi ne diceva una e chi un altra, e le opinioni erravano incerte o contradittorie. Sol una era concorde: il fastidio de' passati abusi.
Citazioni su Aurelio Bianchi-Giovini
[modifica]- Il 16 maggio 1862 moriva in Napoli un uomo, che la nuova libertà avea trasformato di dotto scrittore, in fecondo e possente giornalista. Nei primi e gravi lavori di Aurelio Bianchi-Giovini tralucea già la facilità e versatilità dell'ingegno, la prontezza e l'arguzia della parola, l'inesauribile vigor polemico: ma non si sarebbe facilmente argomentato ch'egli nella novità della stampa, senza esperienza e quasi senza esempii, potesse riuscir così eccellente da star a paro co' provetti scrittori d'Inghilterra e di Francia. (Eugenio Salomone Camerini)
Note
[modifica]- ↑ Dalla Prefazione di La religione di Maometto, di Ignaz von Döllinger, versione dal tedesco di A. Bianchi-Giovini, Tipografia di Gio. Silvestri, Milano, 1848, p. 5.
- ↑ Mazzini e le sue Utopie, Torino, Presso Carlo Schiepatti Libraio, 1849, pp. 120-121.
- ↑ Quarto concilio di Toledo, can. 17. [N.d.A.]
Bibliografia
[modifica]- Aurelio Bianchi-Giovini, Biografia di frà Paolo Sarpi, vol. I, presso Orell, Füssli e comp., Zurigo, 18462.
- Aurelio Bianchi-Giovini, Critica degli Evangeli, vol. I, per Francesco Sanvito, Milano, 18622.
- Aurelio Bianchi-Giovini, La Repubblica di Milano dopo la morte di Filippo Maria Visconti, dalla Tipografia di Gio. Silvestri, Milano, 1848.
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