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Barbara Garlaschelli

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Barbara Garlaschelli (1965 – vivente), scrittrice e blogger italiana.

Intervista di Antonella Patete, mysuperabile.inail.it, 14 maggio 2017.

  • Come è nata l'idea di questo libro [Non volevo morire vergine]? Ho iniziato a pensarci, in modo più o meno inconscio, fin dal giorno in cui mi sono fatta male. Da quel momento, infatti, ho cominciato a plasmare la mia vita su un nuovo modo di essere e con il passare degli anni sono diventata una scrittrice. Poi tre anni fa ho cominciato a scrivere su Facebook dei post comici su sessualità e disabilità, che hanno avuto un enorme riscontro di popolarità. E questo è stato un ulteriore incentivo a riflettere su un tema a cui tengo molto: il corpo, la sessualità, le relazioni umane, la disabilità.
  • [E ha scelto di farlo in modo autobiografico] Sì, anche se la memoria non è mai così precisa e le autobiografie hanno questa particolarità: per quanto siano veritiere, non sono la verità. Nel momento in cui racconti un percorso così lungo, è inevitabile perdere dei passaggi e ricostruirli in modo magari parziale, usando anche l'immaginazione. Per cui la storia che racconto è la mia storia.
  • [Ma lei aveva davvero paura di non avere relazioni d'amore, come allude nel titolo del volume?] Il titolo è una provocazione, ma è anche molto vero. In senso metaforico non avevo intenzione di rinunciare a niente che la vita potesse offrirmi. Ma soprattutto non volevo morire vergine dal punto di vista affettivo e sessuale, e questo è stato più complicato. Dopo essere tornata a casa dall'ospedale, mi sono prima diplomata, poi laureata e infine ho iniziato a scrivere. Insomma, ho ripreso una vita piena a tutti gli effetti, ma non riuscivo a concepirmi come una donna a 360 gradi, a sentirmi desiderabile. La sedia a rotelle ce l'avevo nella testa: ero io che per prima avevo rinunciato a questa parte della vita. Poi gli anni sono trascorsi, io sono cambiata e a un certo punto mi sono sentita pronta anche a ricevere un eventuale no, perché essere respinta era la cosa che mi terrorizzava di più. E da lì la mia vita è cambiata, perché invece ho scoperto di essere seduttiva e ho incontrato degli uomini che mi hanno desiderata. Insomma, ho recuperato quella parte di me e del mio corpo che avevo messo in freezer per tanti anni.
  • [Tra le cose utili nella vita, quanto è stata utile per lei la scrittura?] La scrittura è la mia vita, per cui non ragiono in termini di utilità, ma in termini di sopravvivenza: per me vivere è essere nel mondo e il mio modo di essere nel mondo è scrivere.
  • [E quanto è stata utile l'ironia?] È stata vitale. L'autoironia è per me un salvavita, senza il quale credo che sarei defunta tempo addietro. Nella vita ci sono cose troppo drammatiche, dolorose, devastanti per riuscire a sostenerle senza l'aiuto dell’autoironia e dell’ironia.
  • [E il dolore? Nel suo libro scrive che parlarne sembra ormai di cattivo gusto.] Il dolore ha un grande spazio nella vita delle persone, e non solo di quelle con una disabilità. Tantissima gente soffre fisicamente e psicologicamente, però parlare di dolore appare impudico: si deve appunto soffrire in silenzio. Dobbiamo restituire sempre un'immagine positiva, come se fossimo tutti dei supereroi. In realtà, io trovo profondamente ingiusta la sofferenza a cui sono stata costretta e credo sia giusto e rispettoso parlare del dolore, perché è una cosa che fa parte di tutti noi.

L'una nell'altra

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Perché è meglio essere orfana di padre che la sua schiava. Mia madre me lo ripeteva sempre, lei che aveva allevato sei fratelli da sola. Da sola con un padre costretto a letto da una malattia che gli aveva paralizzato gli arti, ma non la lingua o il cervello. Dettava ordini da quel letto d'agonia come un generale dalla sua tenda mentre i soldati cadono sotto il fuoco nemico. Il trucco è stare al coperto e lasciare che gli altri combattano per te. Il trucco è trovare il punto debole e attaccarlo, ferirlo. Il trucco è non dare tregua, non permettere che l'avversario riprenda fiato e forze. Sfiancarlo ma mantenerlo m vita in modo che possa continuare a servirti. Mio nonno lo aveva capito e mia madre correva, senza fiato e senza forze. Correva. Dietro quei sette uomini esigenti come principi e altrettanto implacabili, che solo di tanto in tanto le elargivano un sorriso di compatimento e una carezza sulla testa.

  • Specchi in cui uno vede se stesso, così com'è e come l'altro lo vede. Questo sono gli occhi degli altri.

Sirena (mezzo pesante in movimento)

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  • Cerchi sempre di rassicurare chi ti circonda che stai bene, che va tutto bene. Poi cerchi dentro di te lo stesso conforto e trovi dentro il gelo. (p. 10)

Sorelle

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Non riesce a muoversi né a gridare. Qualcosa lo tiene inchiodato a terra. Nonostante gli sforzi, le gambe e le braccia restano immobili. I muscoli sotto sforzo tirano e spingono, si flettono e si tendono, senza risultato. La cosa più terribile, però, è non poter gridare. L'urlo sale dallo stomaco, scivola per la gola e si raccoglie in bocca. Ma tutto ciò che è in grado di produrre è un irritante lamento da gatto. Il cuore galoppa nel petto e il sudore scende a grosse gocce lungo le tempie. Deve urlare. Deve chiamare aiuto. Deve...

Bibliografia

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  • Barbara Garlaschelli, L'una nell'altra, Dario Flaccovio Editore, Palermo, 2006.
  • Barbara Garlaschelli, Sirena (mezzo pesante in movimento), Mobydick, Fenza (RA), 2001.
  • Barbara Garlaschelli, Sorelle, Edizioni Frassinelli, Milano, 2004.

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