Bernard de Mandeville

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La favola delle api, ed. 1724

Bernard de Mandeville (1670 – 1733), medico e filosofo olandese.

La favola delle api[modifica]

  • Non dobbiamo il vino alla vite misera e contorta | che, fin quando cresceva liberamente, | soffocava le altre piante e dava solo legna, | ma ci allietò del suo nobile frutto | quando fu legata e potata? | Così il vizio diventa benefico | quando è sfrondato e corretto dalla giustizia. | Anzi, se un popolo aspira a essere grande, | il vizio è necessario allo Stato | quanto la fame per mangiare. | La virtù da sola non può far vivere | le nazioni nello splendore; | coloro che vorrebbero far tornare l'età dell'oro | insieme con l'onestà debbono accettare le ghiande. (2012, p. 32)
  • Tutti gli animali sono solleciti soltanto nel soddisfare se stessi e seguono le loro naturali tendenze, senza alcuna considerazione del bene o del male che dal proprio soddisfacimento può derivare agli altri. (2012, p. 34)
  • Come fra tutti gli animali, che non siano troppo imperfetti per poter avere orgoglio, troviamo che i migliori, cioè i più belli e i più apprezzabili della loro specie, sono in generale i più orgogliosi, cosi nell'uomo, il più perfetto degli animali, l'orgoglio è talmente inseparabile dalla sua profonda essenza (per quanto astutamente alcuni possano aver imparato a nasconderlo e a dissimularlo) che, senza di esso, il composto di cui è fatto mancherebbe di uno dei più importanti elementi. (2012, p. 35)
  • Tutti sanno che la ragione per cui molti buoni politici tollerano le case di piacere non è la loro mancanza di religione, ma la volontà di prevenire un male peggiore, una corruzione più esecrabile, e di provvedere alla tutela delle donne rispettabili. [...] Da quanto è stato detto è manifesto che è necessario sacrificare una parte delle donne per salvaguardare l'altra e per evitare oscenità ancora più odiose. (2012, p. 64)
  • Altro lusso di cui godono i poveri [...] e del quale indubbiamente anche i più ricchi nell'età dell'oro furono privi, è l'uso di mangiare carne di animale. [...] Mi sono spesso domandato se non sia proprio da attribuirsi alla tirannia che l'abitudine esercita su di noi il fatto che uomini tolleranti e buoni considerino normale l'uccisione di tanti animali per il loro pasto quotidiano, sebbene la terra generosamente e abbondantemente provveda a fornirci svariati e ottimi vegetali. (2012, pp. 100-101)
  • Ma quando si tratti di animali così perfetti come pecore e vacche, nei quali il cuore, il cervello e i nervi differiscono così poco dai nostri, e le linfe vitali, il sangue, gli organi dei sensi e, di conseguenza, la sensibilità stessa sono come negli uomini, non riesco a immaginare come un uomo non uso al sangue e ai massacri possa assistere alla loro morte violenta e alle loro sofferenze senza soffrirne. In risposta a ciò molta gente ritiene sufficiente dire che, se si ammette che tutto è stato fatto per servire l'uomo, non c'è alcuna crudeltà nel servirsi di tutte le creature per lo scopo al quale furono designate, ma a questi stessi uomini che dànno questa risposta la coscienza interiore rimorde per la falsità dell'asserzione. (2012, p. 101)
  • Alcune persone non sono capaci di mangiare un animale che erano abituati a vedere ogni giorno, altri non estendono il loro scrupolo oltre il loro pollame e rifiutano di mangiare i polli che essi stessi hanno allevato, tuttavia costoro mangiano di buon animo e senza alcun rimorso carne di bue o di montone e polli comperati al mercato. In tale comportamento mi sembra che si manifesti una coscienza di colpevolezza, come se costoro si sforzassero di salvare se stessi dall'imputazione di un crimine di cui in qualche modo si sentono partecipi, allontanandone, per quanto possono, la causa; e in ciò io vedo dei forti residui della primitiva pietà e innocenza che il tirannico potere dell'abitudine e lo strapotere del lusso non sono ancora riusciti a debellare completamente. (2012, p. 101)
  • La natura ha insegnato al vostro stomaco a esigere solo vegetali, ma il vostro sfrenato desiderio di cambiamenti, d'innovazioni, vi ha spinto a distruggere gli animali, senza alcuna necessità né alcun criterio di giustizia, ha pervertito la vostra natura, ha distorto i vostri appetiti, comunque li abbiano chiamati il vostro orgoglio e la vostra smania di lusso. (2012, p. 103)
  • [...] quando, per rendere più tenera la carne degli animali maschi, preveniamo, con la castrazione, la durezza cui altrimenti giungerebbero tendini e ogni altra fibra, ritengo che ciò dovrebbe muovere a pietà ogni creatura umana, se si pensa alla crudeltà della cura con cui li si ingrassa per ucciderli. Quando un grosso e generoso torello, dopo aver resistito a colpi dieci volte più forti di quelli che avrebbero ucciso il suo assassino, cade infine tramortito, gli si lega la testa a terra con le corde e gli viene inferta una larga ferita nel collo; quale mortale può, senza provare pietà, ascoltare i penosi muggiti impediti dal prorompere del sangue, i dolorosi sospiri che denunciano quanto forte sia la sua angoscia, i profondi gemiti disperati che provengono dalle profondità del forte e palpitante cuore, guardare le violente convulsioni delle membra, vedere, mentre il sangue fumante scorre via da lui, l'occhio appannarsi e offuscarsi, e osservare infine la lotta, l'ansito, gli ultimi disperati sforzi per la vita, segni certi della sua prossima fine? Quando una creatura ha dato tali convincenti e innegabili prove del terrore, della sofferenza e dell'angoscia che prova, esiste un seguace di Descartes così uso al sangue da non rifiutare, con la sua pietà, la filosofia di quel vano ragionatore? (2012, p. 104)

Citazioni su Bernard de Mandeville[modifica]

  • Puritano pessimista in un'epoca segnata dal distacco dell'economia dall'etica, Mandeville invita al realismo: la libertà e il benessere non possono essere ottenuti mutilando la natura umana. Ogni utopia che intenda eliminare il male alla radice mina infatti la vita sociale stessa, poiché una società esiste grazie ai suoi vizi e non malgrado essi. (Luigi Fenizi)

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