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Andrea Carraro

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Andrea Carraro

Andrea Carraro (1959 – vivente), scrittore italiano.

Incipit di alcune opere

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Il sorcio

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Il martedì non è un giorno come tutti gli altri per Nicolò Consorti. Dopo il lavoro infatti ha due fondamentali appuntamenti settimanali: il pranzo da sua madre e la seduta dallo psicologo. Sua madre vive ancora, sola, nella sua vecchia casa, all'ultimo piano di un palazzone di fronte alla libreria Eritrea, in una zona di confine fra il ricco quartiere Trieste e il popolare quartiere africano. La donna, settantacinquenne, ha più di un acciacco, prende una valanga di medicine, ma considerato che fuma due pacchetti di sigarette al giorno, per la sua età le cose non vanno tanto male. Nicolò parcheggia la Vespa nell'isola pedonale alberata al centro della carreggiata, per pigrizia non la lega, la chiude solo con il bloccasterzo. «Non legare la Vespa è un lusso che non mi voglio più negare», ha confessato recentemente al suo analista. Lascia che due o tre autobus in coda sfilino nella loro corsia riservata, mastodontici, rumorosi e puzzolenti, poi attraversa la strada, fa passare uno sciame di pedoni malvestiti, citofona all'interno 19, sua madre risponde come sempre dopo un bel po' perché ci sente poco, e finalmente scatta la serratura dell'alto e massiccio portone di legno con il riquadro a vetri che hanno cambiato da poco, da quando l'immobile è stato messo in vendita. Sale quattro scalini di marmo ed entra nell'ingresso oblungo e spartano, che, per quanto imbiancato di fresco, ha un aspetto ineluttabilmente popolare. Nicolò si vergognava di quel vestibolo e di tutta la sua casa, ancora oggi gli dà un senso di oppressione e anche di colpa transitare nell'androne o nei pianerottoli.

Botte agli amici

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Non sono un critico, ma sono un uomo a cui piace moltissimo giudicare. Direi che esercitare il giudizio risponde a un'esigenza della mia anima. Qualcuno dice che il giudizio di valore sia il primo atto di ogni processo conoscitivo. Non so se questo è vero fino in fondo, ma vorrei che lo fosse. Le recensioni che qui raccolgo sono per la gran parte uscite su l'Unità negli anni Novanta in una rubrica che si chiamava 'Italiani'. Le altre, di lunghezze diverse, anche brevissime, sono apparse su Il Messaggero, su Diario e altre testate in un'epoca compresa fra il 1990 e il 2004.

Il branco

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Un fischio da pecoraro e Raniero accosta al bordo della strada. È Bruno, tutto in ghingheri per le nozze d'argento dei suoi vecchi. Indossa un gessato lucido e scarpe di vernice. Lo squadra compiaciuto da capo a piedi senza scendere dalla vespa: il doppiopetto abbondante, la cravatta grigioperla quasi fosforescente, i folti capelli impomatati con la scriminatura in mezzo:
– Gajardo! Pari Ar Pagino...
– Te piacio?
Si mette in posa, fa la parodia della checca: la testa reclinata sulla spalla, mezza lingua di fuori, gli occhi palpitanti.
– Te fai vede ar bare dopo?
– Macché... 'Namo a magna' a Tivoli...
– Proprio oggi che vincemo e c'a Roma scaja...
– Magara... Aoh, rompetece i cojoni ar romano pure pe' me...
– Contece... Addo' annate... Da Gina?
– Sine...
Riparte a razzo cantando a squarciagola il nuovo pezzo di Eros. C'è ancora tempo, decide per un altro giro. La vespetta rossa che ringhia scoppietta lungo il Corso assolato battuto da decine di motorini e motociclette in un canaio infernale. Fa su e giù due o tre volte, sbirciando vago con la coda dell'occhio lo struscio sul marciapiedi. Poi devia nell'interno, sale per erte straducole, raggiunge le ultime propaggini abitate del paese e prosegue ancora, per piste polverose scavate fra orti, discariche, uliveti, campi sparsi di massi rocciosi. Giunto ai piedi del Monte Gennario, si arresta e controlla l'ora. Si caccia una sigaretta in bocca. Solleva la testa verso il ciclopico e brullo versante della montagna, di cui non si vede la cima. Fa qualche tirata e infine, lentamente, ridiscende verso il centro del paese.

Il gioco della verità

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Timbro alle cinque in punto. Mi faccio a piedi, sotto un sole cocente, la giacca di lino appesa a una spalla, tutta via del Quirinale, per poi aspettare l'autobus di fronte al Grand Hotel, come ogni pomeriggio di ogni giorno di ogni settimana di ogni mese che il Padreterno manda sulla terra, eccetto i week-end e le ferie e i tre o quattro giorni di malattia e permessi che di solito accumulo durante l'anno. Stavolta il barbone ch'è sempre accampato all'imbocco di via Firenze sta pisciando beatamente contro le vetrine dell'agenzia della Chiesa Evangelica Metodista e allora mi fermo a godermi la scena. Fra poco uscirà qualcuno e lo scacceranno inferociti. Invece niente. Lui si ritira su le brache, percorre una decina di metri, e si risiede fra i suoi cartoni e i suoi stracci. Passando davanti all'agenzia, osservo le vetrine schizzate di piscio. Il barbone mi urla: "Se ne vada, sono eretici, fanno schifo!...". Gli sorrido e mi allontano mentre continua a urlare sempre più infuriato: "Vanno bruciati sulla piazza, ci hanno il diavolo addosso!".

Da Roma a Roma

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Dovendo parlare oggi di periferie romane mi pare d'uopo partire da colui che ne fu il primo cantore, Pasolini. D'altra parte non si può visitare la stele di Pasolini, oggi, senza ripensare alla ormai celebre sequenza di Caro diario, con quel casco, quella vespa che corrono fra gli sterri e i canneti e le casette basse nel vuoto sonoro colmato dalle note di Keith Jarrett. Ma altre immagini affiorano alla memoria… le atroci convulsioni da overdose di una ragazza adagiata per terra accanto alla lapide in Amore Tossico: una scena cinematografica cruenta e fortemente simbolica. E poi il film inchiesta di Marco Tullio Giordana con quella povera, ignara baraccata che impreca atrocità contro il poeta, Se l'è meritato, se l'è meritato!... E le smaglianti pagine di Vita di Pasolini di Enzo Siciliano. E ancora A Pa', struggente e quasi afasica canzone di Francesco De Gregori. E le centinaia di foto, articoli sui giornali, commenti, servizi televisivi... C'è tutta un'iconografia ormai su quel luogo, su quell'evento drammatico che ha profondamente segnato il nostro Paese negli ultimi trent'anni, tanto da sconfinare dall'ambito cronachistico, e poi squisitamente letterario, culturale, entrando in modo prepotente in quello politico, storico e direi mitologico. La morte violenta di Pasolini, con la sua stele all'Idroscalo che ne è l'emblema, vive ormai nell'immaginario del nostro popolo.

Non c'è più tempo

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Passo attraverso una penombra densa e quasi liquida. Si sente il rumore costante del traffico dieci piani più in basso. Avanzo appoggiandomi ai mobili, alle pareti del corridoio, alle costole rigide dell'enclicloperdia che aggetta dalla libreria a giorno, apro la porta e un odore intenso di feci e orina e medicinali mi viene addosso, trattengo il respiro ma e inutile, quell'odore satura l'aria spessa, non devo guardare sulla destra, dove c'è lui sdraiato nel suo letto d'agonia, ma un angolo dell'occhio vede e registra impassibile, spietato, è in canotta e pannolone, sdraiato di fianco, un lenzuolo accartocciato ai piedi, le gambette scheletriche ripiegate, finge di dormire ma non dorme, se mi avvicinassi noterei che le palpebre non sono completamente chiuse, mi fanno paura quegli occhi semiaperti sulla fodera del guanciale, a che cristo pensa uno che ha davanti a sé solo la sofferenza e la morte?...

Bibliografia

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  • Andrea Carraro, Il sorcio, Alberto Gaffi editore in Roma, 2007.
  • Andrea Carraro, Botte agli amici, Alberto Gaffi editore in Roma, 2005.
  • Andrea Carraro, Il branco, Alberto Gaffi editore in Roma, 2005.
  • Andrea Carraro, Il gioco della verità, Hacca, 2009.
  • Andrea Carraro, Da Roma a Roma, Ediesse, 2010.
  • Andrea Carraro, Non c'è più tempo, Rizzoli, 2002.

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