Carlo Sini
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Carlo Sini (1933 - vivente), filosofo e accademico italiano.
Citazioni di Carlo Sini
[modifica]- A differenza della gioia, che è un’esperienza momentanea, localizzabile in tempi e motivi definiti, forse la felicità ha un significato più generale. Aristotele avvertiva che una vita può essere eventualmente giudicata felice solo dopo che si è compiuta. Io userei anche un’altra formula, che mi piace molto e che dice così: felice è quella vita che realizza nella maturità (o nella vecchiaia) il sogno della giovinezza.[1]
- La via di parola (mythos odoio) [di Parmenide] ha in sé il sentiero del giorno e quello della notte. Non a caso il poema di Parmenide comprende due parti. Cosa esattamente contenga la seconda e perché sia tale è un antico problema filologico ed esegetico che qui non interessa affrontare e che già Platone, del resto, denunciava nella sua ambiguità. Infatti, non è possibile separare l’essere e la parola senza identificarli e non è possibile identificarli senza, ipso facto, separarli. La “simulazione” (il simul) è immediata e strutturale. L’essere umano è un simulatore proprio perché è l’essere della verità. Non può dire la verità senza mentire e viceversa. In questo senso è l’essere della mediazione, l’essere che sta nel mezzo, come Lei felicemente ricorda, cioè l’essere che “lavora” a tradurre l’immediato vivere in conoscenza, ovvero in processo transferale. Dio e la natura non lavorano, l’essere umano sì, anzitutto nel dare nome al frutto della sessualità; essa allora dispone gli umani nel medio relazionale dei genitori e dei figli, dei fratelli e delle sorelle, offerti, realmente o simbolicamente, in sacrificio al Dio, cioè alla comunità dei parlanti. [...] Il '900 non può stare senza Freud, la psicoanalisi non può stare senza la filosofia, almeno secondo me.[2]
- Quando affermo che la verità è “relativamente assoluta” intendo dire che la ricerca della verità, alla quale non possiamo rinunciare, avviene sempre all’interno di una relazione. E la verità, essendo a sua volta dinamica, suscita in noi un dovere morale, un’interrogazione ininterrotta che non può mai accontentarsi di un un sapere particolare.[3]
- Vico e Foscolo ci avevano già avvertiti: dove si trova una tomba, lì c’è la civiltà, che presuppone la comunità tra i vivi e i morti. È l’orizzonte della celebrazione e del sacro ed è la comprensione di come fine e inizio siano indissolubilmente legati tra loro. Il sapere, di per sé, segna di norma la fine di un’avventura, collocandosi nell’istante in cui Orfeo si volta per guardare Euridice, la vede e, vedendola, la perde per sempre.[3]
di Federica Biolzi, Exagere, 2019
- Tutta la tradizione occidentale nasce lì, nel senso che il dubbio socratico è la non accettazione passiva della tradizione. La sua domanda è perché? È una domanda trascendentale, è fuori dal confine, non viene capito dai suoi contemporanei. Ciò che chiede ai suoi contemporanei non è nella loro ottica, nella loro possibilità. Socrate vuole sempre la definizione delle cose ti esti e loro rispondono sempre con il mito. Ma non viene capito, nemmeno quando gioca sulla faccenda dell’ignoranza “io so di non sapere”, lui in realtà sa.
- Bisogna rendersi conto che il lavoro umano è trasformazione continua e quindi è costantemente frequentazione del limite e oltrepassamento del confine. Altrimenti abbiamo semplicemente degli esperti e non dei ricercatori. Solo i ricercatori sono all’altezza del compito della umanizzazione e quindi di una sapienza davvero umana e non semplicemente disciplinarmente catturata da interessi molto particolari, privati.
- Socrate è un uomo della scrittura, lui dice di se stesso io non leggo, ma in realtà non legge perché quando è andato a leggere non ha trovato nei libri quello che cercava. Ma è sicuramente uno che ricerca il concetto, che cos’è la giustizia, in un mondo dell’oralità non esiste la giustizia. Esistono frasi di senso, comportamenti di senso, ritualità, racconti, miti; per avere la giustizia devo averla scritta con l’alfabeto, allora la posso isolare e dire che cos’è? Quindi ci rendiamo conto che la filosofia è il prodotto di una pratica umana molto precisa, ed io insisto sulla questione della scrittura. Anche la famosa frase di Socrate in tribunale “una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta” appartiene ad un tipo di uomo.
di Antonio Gnoli, la Repubblica, 14 febbraio 2013.
- In fondo l'ultima parola non è mai la nostra. Diceva Peirce: il significato della mia vita è affidato agli altri. [...] Il che prova che la verità non è mai qualcosa di definitivo, siamo sempre in errore. In cammino. Non a caso io parlo di "transito della verità".
- [Su filosofia greca e Cristianesimo] C'è in queste filosofie o visioni del mondo un'idea di perfezione che ha provocato danni e fraintendimenti. E tutto ciò è nato dalla pretesa di affidare alla scrittura il ruolo di cardine su cui l'Occidente ha fondato il proprio sapere.
- L'introduzione della scrittura modifica la nostra percezione del mondo. Il Logos, di cui parlano i greci, non potrebbe sussistere senza la scrittura. [Perché?] Per il semplice motivo che ogni scrittura ha un supporto che è fuori dal corpo di chi parla. La scrittura - diversamente dall' oralità - ci pone di fronte a un sapere oggettivo che va interpretato. Quando è la voce a trasmettere il sapere, non c' è separazione o distanza tra ciò che diciamo e il mondo che lo accoglie e di cui facciamo parte. Nella scrittura invece va ravvisata quella radice oggettiva che si svilupperà con la scienza. È una continuità. Senza la scrittura alfabetica e matematica -che sono scritture per tutti- non avremmo avuto l'universale e quindi la scienza. L'universale -che i greci hanno chiamato Logos- ha determinato il corso del sapere occidentale.
- O noi facciamo parte di quella realtà oppure è illusorio pensare di conoscerla. [Eppure, se non riuscissi a distinguermi dalla realtà esterna, allo stesso modo, non potrei conoscerla.] Obiezione giusta. Nel senso che noi siamo parte della realtà pur distinguendoci da essa. Siamo parte della verità ma non siamo la verità. [Un bel paradosso. Allora cosa siamo?] Siamo nella differenza del sapere, o meglio siamo in ciò che chiamo "l' essere in errore". Verità ed errore sono in qualche modo due facce della stessa medaglia.
di Antonio Gnoli, la Repubblica, 24 marzo 1995.
- Mi sono fatto l'idea che l'Occidente abbia imboccato la via della logica, e quindi della filosofia e della scienza, perché disponeva di una scrittura lineare, cioè di una scrittura alfabetica altamente idealizzante.
- È qui che si incunea il declino della verità pubblica, per cui quel senso di fine della politica che oggi viviamo era già perfettamente chiaro in Nietzsche che parlava della fine della grande politica. Quando l'Europa si rende conto della violenza che è insita nel progetto politico occidentale, anche la vita quotidiana dissolve le proprie certezze. Impazziscono le forme, i luoghi, le strutture, le istituzioni. [...] Non crediamo più che l'Occidente, con il suo armamentario concettuale, sia il destino del mondo. Sarebbe naturale, a questo punto, che ricominci un dialogo fra culture diverse che anticamente hanno avuto un ceppo comune.
- [Riferito agli agli ideogrammi, all'antica sofia e alla pratica zen] Quest'ultima, ad esempio, è un esercizio che insegna ad abitare l'esercizio stesso. Non c'è risposta alla domanda perché dobbiamo concentrarci sul respiro. Il perché, nella pratica zen, è risucchiato nella concentrazione stessa. Allo stesso modo il filosofo può oggi solo abitare nel dubbio. Non chiedersi perché esiste il dubbio, una domanda che presupporrebbe un'uscita da esso, ma praticarlo. Un po' come fece Socrate più di duemila anni fa. E non è un caso che proprio lui non scrisse mai niente.
Note
[modifica]- ↑ Dall'intervista di Ivo Nardi, Riflessioni sul Senso della Vita- Intervista a Carlo Sini, Riflessioni.it, giugno 2012.
- ↑ Citato in Giorgio Bubbolini, Intervista a Carlo Sini, Spiweb.it, 17 novembre 2009.
- ↑ a b Dall'intervista di Alessandro Zaccuri, Carlo Sini: «La verità? Sta sempre nella relazione», Avvenire 29 marzo 2018.
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