Chandra Livia Candiani

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Chandra Livia Candiani

Chandra Livia Candiani (1952 – vivente), poetessa e traduttrice italiana.

Citazioni di Chandra Livia Candiani[modifica]

  • Bobin fa venir voglia di scrivere. Cioè di vivere. Fa sentire che si può. Si può vivere con un mazzo di fiori, con una passeggiata, un acquazzone, vivere di un cavallo, una bambina, neve, libri... Con Bobin tornano a essere rituali le passeggiate, sacri i luoghi già visti, già annusati e misurati dai passi. Lui stesso dice di parlare di un tempo non registrato, il tempo della neve, il tempo della notte... Bobin ci invita a una purificazione contemporanea, non contro qualcosa ma a spalla di qualcosa. Parla di bel silenzio sonnambulo, quel silenzio che dorme dentro di noi tutto squarciato dall'obbligo di parlare, di avere risposte pronte, di essere intelligenti a orario, di essere sociali.[1]
  • È anche molto rasserenante percepire in sé i cinque elementi. Seduti, camminando, in piedi o sdraiati possiamo chiudere gli occhi e sentire la solidità, la densità, l'estensione, il limite, la resistenza: il nostro essere terra. Oppure la fluidità, la connessione, la flessibilità, la forma: essere acqua. O quel nostro improvviso accenderci in un respiro o in un passo, vitalità, impulso, luminosità, calore: siamo fuoco e aprendo gli occhi mettiamo il mondo a fuoco. La leggerezza, la fugacità delle sensazioni, le variazioni, i cambiamenti repentini, le vibrazioni, l'essere toccati e sfiorati da milioni di sensazioni: è l'aria che vive in noi. E infine siamo spazio: apertura, spaziosità, dove tutto è ignoto e possibile. La coscienza che contiene l'universo. La disposizione a restare aperti e presenti, a riposare nella vastità. Vasti nel vasto.[2]
  • Mi sembra che ferite e luce siano insieme, quando le ferite sono accolte, ospitate con rispetto, allora la luce ci passa attraverso e possiamo vedere e far trasparire qualcosa che va oltre il male, perché una ferita è una crepa nelle certezze, è un varco verso l'insondabile. Forse ci sono state molte più ferite che luce nella prima parte della mia vita, anzi diciamo fino ai cinquant'anni. Poi mi sono affrancata dal farmi male senza saperlo attraverso gli altri e ho percorso la Via che porta a se stessi e all'abbandono alla vastità. Sto camminando e c'è luce, c'è anche tanto buio, ma se lo abito, lo respiro, lo "attendo", si riempie di lucciole.[3]
  • Tenere tra le braccia | la voce del mondo | ospitare i suoni ammucchiati | senza chiedere senso | cullare lingue e pelli | ossa di diverse misure | parole fredde e calde | urli e bisbigli | una fioritura spinosa | e corrodere le frontiere | e fare uno strepito sorridente: | sì vieni, ben arrivato | nel mio sbando | c'è sempre posto per te.[4]
  • Una buona pratica, preliminare a qualunque altra, è la pratica della meraviglia. Esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi. Guardarsi attorno e lasciar andare il concetto di albero, strada, casa, mare e guardare con sguardo che ignora il risaputo e vede ora.
    La pratica della meraviglia è una pratica che cura anche il cuore più ferito della terra.[5]

Note[modifica]

  1. Da In punta di piedi, in Christian Bobin, Sovranità del vuoto; preceduto da In punta di piedi, corrispondenza tra Mariangela Gualtieri e Chandra Livia Candiani; a cura di Giuseppe Conoci, AnimaMundi Edizioni, Otranto, 2014. ISBN 978-88-97132-03-5
  2. Da Questo immenso non sapere, citato in Antonella Tarpino, Il vocabolario base di un immenso non-sapere, huffingtonpost.it, 4 ottobre 2021.
  3. Dall'intervista di Alida Airaghi, 5 domande alla poetessa Chandra Livia Candiani, sololibri.net, 28 settembre 2018.
  4. Da La domanda della sete: 2016-2020, Einaudi, Torino, 2020, p. 107. ISBN ISBN 9788806244545. Citato in Chandra Livia Candiani, La domanda della sete, nazioneindiana.com, 22 settembre 2020.
  5. Da Questo immenso non sapere: conversazioni con alberi, animali e il cuore umano, p. 8. ISBN 9788858437186

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