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Cleto Polonia

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Cleto Polonia (1968 – vivente), allenatore di calcio ed ex calciatore italiano.

Intervista di Giacomo Spotti, sportpiacenza.it, 9 maggio 2020.

  • Ci sono quelli hanno subito l'influenza della regione veneta, ci sono i friulani "di città", i giuliani e poi ci sono io, carnico, in buona sostanza uno di montagna. [«Un esempio?»] Noi spesso e volentieri siamo stati oggetti di scherno, di prese in giro da parte di quelli di città. Oggi sono considerazione che lasciano il tempo che trovano ma fino alla metà degli anni '80 era una questione molto più seria. Io arrivai nella Triestina nel 1984, presi davvero degli insulti all'inizio perché per loro ero un "montanaro". Un carnico nella loro squadra non si era mai visto.
  • La Scuola Calcio è la rovina di molti ragazzi. [«Dicci»] Io nasco con ore e ore di pallone all'aria aperta, nei campi, tornei estivi a non finire. Diciamo che ai miei tempi non c'era tutto quello che c'è adesso. Casa mia era in un paesino di montagna: avevi il pallone e nient'altro.
  • [Su Gianpietro Marchetti] [...] una gran persona, con dei valori molto saldi, non a caso quando il calcio è iniziato a cambiare veramente lui si è tolto da questo mondo.
  • [«Dico Piacenza, cosa rispondi?»] Che è la mia vita. Per anni di militanza non ho mai giocato così a lungo in un club. Poi c'è tutto il resto. La verità è che un giocatore per rendere al meglio deve trovare tutta una serie di aspetti positivi: la società, la dirigenza, i compagni e il tecnico, il progetto, la città e i tifosi. A Piacenza trovai tutto questo. È vero, sembra banale e in molti l'hanno già detto, ma noi eravamo semplicemente una famiglia e finché siamo rimasti tutti lì i risultati sono sempre arrivati. Cioè, quella Serie A era il centro del mondo.
  • Sono orgoglioso di quello che ho fatto. In confronto alla Serie A di oggi mi scappa da ridere, in quei campionati affrontavamo il meglio del meglio in circolazione. Vi siete mai soffermati a pensare a tutti i nomi che hanno calcato il campo del Piacenza? [«Certo»] Era una battaglia ogni domenica e noi dovevamo salvarci contro "sta gente" qui. Dovevi spaccarti di lavoro, vivevi nove mesi in guerra però questa era la vera benzina di quel fantastico gruppo: la sfida.
  • [...] un allenamento fatto al cento per cento equivale a una partita giocata al cento per cento. Stop. Di conseguenza io mi allenavo come fossi in partita. Non mi è mai interessato chi fosse davanti a me, tiravo dritto. Non giocavo con cattiveria, con aggressività sì, perché adoro il contatto nel gioco. A me il torello rompeva le scatole, io cercavo l'intensità e lo facevo quotidianamente.
  • [...] io preferivo stare addosso a quelli che avevano un fisico simile al mio. I dribblomani li adoravo perché potevo stargli attaccato. Loro erano dei mostri sacri mentre io avevo 20 anni. [...] [«Del Piero?»] Ahh, Alex con me l'ha vista poco la palla. L'ho marcato sempre bene. Contro di lui, Baggio, Signori, Chiesa e tanti altri mi esaltavo. Ricordo anche delle belle battaglie con Batistuta, lì lui era al top della carriera. Ogni domenica era una guerra per noi difensori del Piacenza. [«Totti?»] Vale il discorso fatto prima. Sai una cosa? [«No»] Tutti questi che hai nominato e che sono nemmeno la metà dei big che c'erano, sono fuoriclasse ma soffrivano tremendamente le marcature a uomo. In quel periodo si tendeva a giocare a zona e questo gli lasciava molto spazio e, a giocatori così, se lasci spazio sei finito. Noi dietro stavamo a uomo. Ricordo delle marcature spietate.
  • [«E alla fine sei l'unico che ha costretto Baggio all'espulsione?»] Diciamo che gli sono stato molto addosso quel giorno e l’ho marcato bene. Ero in vena, dovevamo vincere e io mi esaltavo contro questi campioni. Mi rifilò un calcione di frustrazione.

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