Dave Eggers
Dave Eggers (1970 – vivente), scrittore e saggista statunitense.
Citazioni di Dave Eggers
[modifica]- Non potevamo neppure attraversare il Gambia, il paese ficcato dentro il Senegal come un tumore, senza un visto. (da Conoscerete la nostra velocità)
- Citati non è obbligato ad apprezzare Baricco, ma dovremmo gioire le rare volte in cui la letteratura entra nel mainstream, non rinfacciarle la popolarità.
- Ho sempre amato Italo Calvino. È un esempio di molte cose che ho cercato di fare. Per me sono tesori Il giorno della civetta di Sciascia e l'opera di Elsa Morante. Alessandro Baricco è uno dei migliori scrittori viventi, credo, autore di frasi tra le più belle che abbia mai letto. Mi parlano molto bene di Claudio Piersanti e Giulio Mozzi, ma purtroppo non sono tradotti negli Usa. Spero di porre rimedio.
- Il mondo letterario nel quale vivo, San Francisco, è felicemente vaccinato contro gli ambienti letterari più snob del mondo. È un posto senza pretese, dove non c'è malanimo tra scrittori, editori, critici. Io insegno inglese ai giovani immigrati, ed è sempre una vittoria quando riusciamo a far leggere loro un libro. Questo forse mi dà una visione più ampia.
L'opera struggente di un formidabile genio
[modifica]DI LÀ DALLA FINESTRA ALTA E STRETTA DEL BAGNO il cortile di dicembre è grigio e triste, gli alberi si stagliano calligrafici. Fuori il vapore di scarico dell'asciugatrice si alza in pesanti volute, sfilacciandosi e avviluppandosi nel cielo bianco.
La casa è un bordello totale.
Mi tiro su i pantaloni e torno da mia madre. Attraverso il corridoio, supero la lavanderia e di lì passo in sala da pranzo. Mi chiudo la porta alle spalle, smorzando il rumore delle scarpe di Toph che rotolano dentro l'asciugatrice.
Citazioni
[modifica]- Siamo in troppi, sono in troppi. Troppi, Troppo simili. Che ci fanno tutti qui? Questo starsene in piedi, seduti, parlare. Non c'è neppure un tavolo da biliardo, delle freccette, niente. Semplicemente un gran cazzeggiare, perdere tempo, bere birra da boccali di vetro spesso... Ho messo a repentaglio la mia vita per questo? Urge che accada qualcosa. Qualcosa di grosso. La conquista di qualcosa, che ne so, di un edificio, una città, un paese. Dovremmo tutti armarci e conquistare dei piccoli stati. Oppure dovremmo organizzare dei tafferugli. Oppure no, delle orge. Ecco, ci dovrebbe essere un'orgia. Tutta questa gente. Dovremmo chiudere le porte, abbassare le luci e spogliarci tutti insieme. Potremmo cominciare noi, K.C. e Jessica, e poi via alla grande. Allora sì che ne varrebbe la pena, allora sì che tutto troverebbe una giustificazione. Potremmo spostare i tavoli, portare dei divani, dei cuscini, degli asciugamani, degli animali di peluche... Ma tutto questo... tutto questo è osceno. Come possiamo starcene qui a parlare di nulla, invece di correre come un'unica fiumana di gente verso qualcosa, qualcosa di enorme, e ribaltarlo? Perché ci diamo la briga di venire qui in così gran numero, se poi non appicchiamo nemmeno un incendio e non facciamo a pezzi tutto quanto? Come osiamo starcene qui senza chiudere le porte, sostituire le lampadine a luce bianca con altre rosse, e dare inizio a un'orgia di massa in un gioioso mescolarsi di braccia gambe e seni? Che spreco.
- [Dalla nota al copyright] Detto questo, per quanto potenti possano essere questi gruppi, per quante proprietà possano avere, fare o controllare, la loro effettiva influenza sulla vita quotidiana e il cuore degli individui e di conseguenza (proprio come il novanta per cento di ciò che viene fatto dalle autorità in città come Washington, Mosca o São Paulo) il loro impatto sulle fragili e brevi esistenze di esseri umani che arrancano e dormono e sognano di volare nel flusso del proprio sangue, che amano l'odore di colla e che durante l'atto sessuale pensano a viaggi nello spazio, è molto, molto piccolo, e non desta alcuna preoccupazione.
- [...] perché se da una parte vogliamo conservare un'aria di normalità, la metà delle volte ci diciamo vaffanculo [...]
- Non potete impedirci di guardare con commiserazione i tristi abitanti di questo mondo, tutti quelli che non hanno avuto in sorte il nostro fascino, che non sono stati messi alla prova dalle nostre tribolazioni, che sono privi delle nostre cicatrici e pertanto deboli, gelatinosi.
- Il racconto anche solo di cinque minuti di pensiero interiore può prendere una vita intera, il che fa arrabbiare se ti fermi a pensare – come farò io una volta che ti sarai addormentato – a questo fatto di cercare di rendere qualcosa, un momento o un posto, e di ritrovarsi poi con un risultato talmente debole, mono, bidimensionale rispetto agli eventi da cui è costituito.
- Vorrei salvare e conservare tutto, ma allo stesso tempo vorrei anche che tutto sparisse, incapace come sono di decidere se è più romantica la conservazione o il decadimento.
- Il suo mondo è tutto lì, nell'incessante esplorazione dei recessi più oscuri della sua mente, della casa stregata che è diventato il suo cervello.
- [...] io e Beth, dicevo, siamo arrivati a pensare che la nascita e lo sviluppo di questo cancro siano stati dovuti all'interiorizzazione di tutto lo stress, di tutti i suoi doveri, di tutto quel barcamenarsi con la famiglia per più di vent'anni, il fatto che alla fin fine si riduceva... era un po' come un soldato che si getta su una mina per salvare il suo... no, forse è un paragone un po' scadente. Voglio dire, è come se avesse ingerito il caos, e lo avesse recluso là dentro, e quello si è infettato ed è cresciuto, oscuro, dentro di lei, e le è venuto il cancro.
- Ehm, sei sicuro di volermi raccontare tutte queste cose?
Perché, quali cose?
Dei tuoi genitori, la paranoia...
Be', cos'è che ti sto raccontando, in fondo? Non ti sto dando proprio niente. Ti sto dando cose che Dio sa, che chiunque sa. I miei genitori sono famosi nella loro morte. E questo sarà il mio monumento costruito alla loro memoria. Io do a te tutte queste cose, ti racconto delle gambe di mio padre e delle parrucche di mia madre – più avanti in questo capitolo – e ti racconto i miei dubbi sull'opportunità o meno di fare sesso davanti all'armadio a specchi dei miei genitori la notte del funerale di mio padre, ma dopo tutto, cosa ti ho mai dato di così prezioso? Potresti pensare di sapere qualcosa di me, a quel punto, ma invece non sai ancora nulla. Io racconto, e un secondo dopo è tutto sparito. Non mi interessa – e come potrebbe? Ti racconto con quante ragazze sono andato a letto (trentadue), o di come i miei genitori hanno lasciato questo mondo, e alla fin fine che cosa ti ho dato? Niente. Posso dirti i nomi dei miei amici, i loro numeri di telefono...
Marny Requa: 415-431-2435
K.C. Fuller: 415-922-7893
Kirsten Stewart: 415-614-1976
Ma cos'è che hai in mano? Nulla. Tutti mi hanno dato il permesso di farlo. E perché? Perché tu non hai nulla, al massimo qualche numero di telefono. Può sembrare qualcosa di prezioso al massimo per uno o due secondi. Tu puoi avere solo quello che io posso permettermi di dare. E tu sei il mendicante che implora una qualsiasi cosa, mentre io sono il passante frettoloso che butta un quarto di dollaro nel bicchiere di carta che protendi verso di me. Questo è quanto ti posso dare. E non mi annienta. Ti do virtualmente tutto quello che possiedo. Ti do le cose migliori di me, anche se si tratta di cose che amo, ricordi di cui faccio tesoro, belli o brutti che siano, come le foto della mia famiglia appese al muro, posso mostrartele senza che esse per questo ne vengano sminuite. Posso permettermi di darti anche tutto quanto. Trasaliamo di fronti agli sciagurati che nei programmi pomeridiani rivelano i loro orrendi segreti di fronte a milioni di telespettatori, eppure... che cosa abbiamo tolto loro, e loro che cosa ci hanno dato? Niente. Sappiamo che Janine ha scopato con il fidanzato di sua figlia, ma... e allora? Moriremo un giorno e avremo protetto... che cosa? Avremo protetto dal mondo il fatto che facciamo questo o quello, che muoviamo le braccia in questo o quest'altro modo, e che la nostra bocca ha prodotto questi e questi altri suoni? Ma per favore. Ci sembra che rivelare cose imbarazzanti o private, tipo, che ne so, le nostre abitudini masturbatorie (quanto a me, circa una volta al giorno, perlopiù sotto la doccia), significhi – proprio come per i primitivi che temono che la macchina fotografica gli possa portare via l'anima – che abbiamo dato a qualcuno una cosa che noi identifichiamo come i nostri segreti, il nostro passato e le sue zone oscure, la nostra identità, nella convinzione che rivelare le nostre abitudini o le nostre perdite o le nostre imprese in qualche modo ci deprivi di qualcosa. Ma in realtà è proprio il contrario, di più è di più è di più, più si sanguina più si dà. Queste cose, i dettagli, le storie e quant'altro, sono come la pelle di cui i serpenti si spogliano, lasciandola a chiunque da guardare. Che cosa gliene frega al serpente di dov'è la sua pelle, di chi la vede? La lascia lì dove ha fatto la muta. Ore, giorni o mesi dopo, noi troviamo la pelle e scopriamo qualcosa del serpente, quant'era grosso, quanto era lungo approssimativamente, ma ben poco altro. Sappiamo dove si trova il serpente adesso? A cosa sta pensando? No. Per quel che ne sappiamo adesso il serpente potrebbe girare in pelliccia, potrebbe vendere matite a Hanoi. Quella pelle non è più la sua, la indossava perché ci era cresciuto dentro, ma poi si è seccata e gli si è staccata di dosso, e lui e chiunque altro adesso possono vederla.
- Ho bisogno di una comunità di persone, ho bisogno di riscontro, ho bisogno d'amore, di comunicazione, di dare e di prendere – se mi ameranno, sanguinerò. Fammi provare. Lascia che ci provi.
- «Tutti ci divoriamo l'un l'altro, costantemente, ogni giorno.»
«No.»
«E invece sì. È quello che facciamo in quanto esseri umani.»
Tutto è accaduto dopo la morte di Jack e prima che io e mia mamma annegassimo a bordo di un traghetto in fiamme sul freddo corso color tannino del Guaviare, nella Colombia centro-orientale in compagnia di quarantadue persone che non avevamo ancora avuto il piacere di conoscere. Era una giornata limpida e azzurra come due occhi, proprio come il primo giorno di questa storia, qualche anno fa, in gennaio, nel North side di Chicago, all'ombra imponente del Wrigley Building, mentre il vento soffiava basso frugando il lago frastagliato semicoperto di ghiaccio. Io ero al riparo al caldo, e facevo la spola da una stanza all'altra.
Bibliografia
[modifica]- Dave Eggers, Conoscerete la nostra velocità, traduzione di Giuseppe Strazzeri, Milano, Mondadori, 2003. ISBN 8804511702
- Dave Eggers, L'opera struggente di un formidabile genio, traduzione di Giuseppe Strazzeri, Arnoldo Mondadori Editore.
Altri progetti
[modifica]- Wikipedia contiene una voce riguardante Dave Eggers
- Commons contiene immagini o altri file su Dave Eggers