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Davide Brivio (dirigente sportivo)

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Davide Brivio (1963 – vivente), dirigente sportivo italiano.

Citazioni di Davide Brivio

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Citazioni in ordine temporale.

  • [Su Jorge Lorenzo] La storia parla per lui, cinque volte campione del mondo, uno dei più forti in senso assoluto di quest'epoca.[1]
  • Credo che Marquez sia uno tra i 3/4 piloti migliori della storia del motociclismo. Le statistiche parlano già abbondantemente per lui [...]. È già tra i tre più vincenti della Top Class e parliamo di piloti del calibro di Giacomo Agostini, Valentino Rossi e Mick Doohan. È in questo club con la prospettiva di migliorare ulteriormente questi numeri. Siamo di fronte ad un fenomeno, di quelli che segneranno la storia del motociclismo.[1]
  • Avevo le idee chiare sul carattere e le attitudini dei componenti della squadra che volevo: persone ispirate, ambiziose. E tranquille, come me. Io non sono mai stato uno che picchia il pugno sul tavolo, che urla. Preferisco un sorriso, il desiderio di comprendere. Gli scontri non fanno per me.[2]
  • Io non sono un tecnico e per quanto riguarda il mio ruolo di gestore delle risorse, umane, finanziare e logistiche, essere in un team ufficiale o essere in un team satellite è esattamente la stessa cosa. Non vedo una grande differenza [...] nella gestione in pista, se togli l'aspetto tecnico. Cercare di assicurarsi le persone migliori, i piloti, migliorare su marketing e comunicazione: il lavoro è sempre quello.[3]
  • [«Non sei stato via molto dalla MotoGP, l'hai comunque trovata cambiata al tuo ritorno?»] Non tanto dal punto di viste delle persone o della mentalità, quanto dal punto di vista tecnologico perché le moto si sono evolute molto. Non direi che è cambiata tanto e forse è il momento di fare qualcosa. [...] Guardare alla F1 va benissimo, può essere una fonte di ispirazione per alcune cose, ma non bisogna fare un copia e incolla, quello non funziona. Bisogna farsi venire delle idee e per riuscirci non bisogna limitarsi alla F1, ma guardare al calcio, al golf, al tennis, a tanti sport diversi. Nell'era moderna, lo sport – che ci piaccia o no – è mosso dal business. A noi appassionati piace parlare di piloti e prestazioni, ma dobbiamo essere consapevoli – e non scandalizzarci – che tutto questo deve essere sostenibile, quindi devono esserci delle aziende disposte a investire, spettatori che vengono alle gare, tv interessate. Tutto questo ci serve per continuare a fare il nostro sport e dobbiamo cercare di favorirlo il più possibile. [...] Devi essere tu ad andare incontro al pubblico e non aspettare che arrivi [...]. Dobbiamo sempre pensare che il pubblico è eterogeneo, non c'è solo lo smanettone che conosce ogni dettaglio, ma anche il suo amico che è venuto per fargli compagnia e non sa nemmeno che numero abbia Bagnaia. [...] [«Non basta più lo spettacolo in pista?»] Ogni sport ha la sue caratteristiche, bisogna capire come renderlo interessante anche al di fuori, nel nostro caso, dei 45 minuti della gara e dei 25 della Sprint. Può essere una partita di calcio o di basket, una gara di F1 o di MotoGP, il gesto sportivo è diventato un pretesto per riunire le persone e una volta che riesci a farlo, devi offrire loro il più possibile. Questo non è facile, bisogna essere creativi. Mi sembra che anche in MotoGP ci stiano provando.[3]

Intervista di Serena Zunino, motosprint.corrieredellosport.it, 3 febbraio 2022.

  • [«[...] come definiresti gli anni vissuti con Rossi in Yamaha?»] Magici. Ero in Yamaha MotoGP da due anni e vivevamo una situazione difficile. Soprattutto nel 2003 eravamo saliti sul podio soltanto una volta, e la Honda era un'assoluta dominatrice. All'epoca c'erano soltanto Honda, Ducati e Yamaha, con la prima dominante e noi ad arrancare. L'arrivo di Valentino, unito al contributo di Furusawa che prese in mano l'organizzazione, cambiò la storia della Yamaha in MotoGP. [«Si ribaltarono i ruoli con la rivale storica»] Da sfidante impotente della Honda, la Yamaha divenne una grande concorrente. Furono anni importantissimi, la base di quello che poi è stata la Yamaha negli anni successivi.
  • Un conto è partecipare alle gare cercando di fare il massimo e un conto è farlo perché devi vincere il campionato. È un lavoro completamente diverso.
  • [Su Valentino Rossi] [...] credo abbia dimostrato e abbia fatto vedere – perché è parte del suo carattere, non per una strategia – che si può essere altamente professionali e vincere anche con leggerezza e divertendosi. A volte il fatto di ridere o scherzare viene visto come poco serio, invece lui ha dimostrato che si può essere molto professionali quando bisogna allenarsi e quando si scende in pista. In quei momenti c'è la massima concentrazione e si spinge al massimo. Poi quando è finita la gara, si va a cena la sera e ci si può anche divertire senza che questo vada a influenzare l’altra parte. È stato per me un grande insegnamento.

Intervista di Enrico Borghi, slick-magazine.com, 2022.

  • [Sulla MotoGP degli anni Duemilaventi] [...] negli ultimi anni le Case italiane sono state più aggressive nella ricerca tecnologica e nello sviluppo di un metodo, mentre quelle giapponesi hanno considerato più che altro il cosiddetto "business standard" come si è sempre fatto storicamente: fare un buon telaio, un buon motore, lavorare sull'elettronica; quindi maneggevolezza, frenata, accelerazione. Invece gli altri, Ducati in testa, si sono spinti più avanti. [...] Le aziende italiane non sono mai contente, continuano a fare ricerca, a cercare nuove idee, a sperimentare, per capire dove si può trovare anche un decimo di secondo. A volte si corrono dei rischi ma ogni decimo di secondo al giro è importante, pensate sulla distanza di una gara! E questa appunto è la mentalità della Formula 1, dove studiano e investono anche per guadagnare mezzo decimo, per risparmiare qualche decina di grammi! [«Quindi siamo entrati in una nuova era»] Infatti il problema delle Case giapponesi è che non hanno perfettamente capito che questa MotoGP non ha nulla a che vedere con quella di venti anni fa. Fino a che i Gran Premi erano un affare tra di loro, cioè tra le aziende giapponesi, lo sviluppo delle moto avveniva secondo le regole delle aziende giapponesi: una lunga programmazione, il lavoro diluito nei mesi doveva portare a fine campionato senza scossoni. Ecco perché le novità arrivano sempre lentamente. Avevi bisogno di un telaio? Ci volevano tre mesi. Ci voleva un motore diverso? Se ne parlava per l'anno successivo. [«Le italiane quindi hanno velocizzato questo processo»] [...] parlerei di Case europee, non solo italiane: sono state sempre molto aggressive, ma in certi anni hanno anche fatto del casino secondo me: nel senso che a volte c'erano troppe novità non provate adeguatamente. A volte hanno sbagliato strada, oppure l'hanno persa, però hanno sempre mantenuto questo spirito aggressivo e una volta che hanno sistemato le cose gli è rimasto. E adesso è quella la mentalità vincente: introdurre novità in continuazione, anche piccole cose, per cercare di migliorare la moto continuamente. Ed è grazie a questa aggressività se sono arrivate a stravolgere gli equilibri. [«Invece i giapponesi non hanno cambiato mentalità, giusto?»] Eh sì. Su questo i giapponesi hanno avuto sempre un approccio conservativo, ed è rimasto: cioè si prova tutto bene e se non dà beneficio non si usa, se il test team non ha provato un pezzo il pilota ufficiale non lo vede mai... Per loro, oggi è come ieri: una volta fatta una moto, si fa una piccola evoluzione e poi il resto lo mettono sulla moto dell'anno dopo. Hanno sempre fatto così. Anche perché negli anni d'oro – da Doohan a Marquez, passando per Valentino – quella moto bastava per vincere: non c'era bisogno di fare evoluzioni frettolose, perciò quando venivano delle idee nuove le si metteva l'anno dopo. Ma adesso l'approccio alle corse impone un continuo sviluppo ed una costante evoluzione.
  • [Sulla MotoGP degli anni Duemilaventi] In un team vecchio stile, un pilota dice: "la nostra moto non ha la frenata della Ducati". E la squadra dice all’ingegnere giapponese: "dobbiamo migliorare la frenata". Bene, e poi? Cioè, loro non spiegano come bisogna fare, perciò l'ingegnere non riceve dei dati certi su cui lavorare. Deve cercare un pò da solo la natura del problema lasciando lavorare il Team nella sua routine del weekend. Ma è ben diverso, se si va dall'ingegnere e si dice: "Abbiamo fatto un confronto con la Ducati, in base ai nostri dati e alle nostre analisi abbiamo visto che frena (faccio un esempio, eh) mediamente 7 metri più in giù". E glielo dimostri col conforto dei dati. Quindi si può spiegare, per esempio: "noi riteniamo che probabilmente loro hanno questa differenza tecnica che abbiamo analizzato e che li aiuta, che noi dobbiamo compensare in qualche modo, ma se riusciamo a fare questo anche noi forse ci avvicinano a loro...". Voglio dire che parlando così, è più facile capire i problemi e risolverli. Ma per fare questi discorsi, serve il sostegno di un livello di analisi di alto livello ed ingegneri che li capiscano e sappiano come spiegarsi. [«Quindi il commento del pilota, ritenuto un tempo sacro, non basta più?»] Nella MotoGP di oggi, no. Il pilota va benissimo, perché è lui che guida, però il suo giudizio, la sua sensazione, va sostenuta da dati scientifici più precisi. Diventa solo lo stimolo ad avviare la ricerca. È una "denuncia" poi devono partire le indagini. È questa l'evoluzione. La MotoGP adesso è un ambiente molto più tecnologico, e le nuove tecnologie vanno usate. Perché i piloti dicono sempre le stesse cose: c'è poco grip, non c'è accelerazione, c'è poco feeling in ingresso curva... Ma bisogna capire perché, e oggi questo viene spiegato dall'analisi più seria e sofisticata dei dati. La MotoGP moderna impone che si faccia così, e le Case europee adesso fanno così.
  • [Sulla MotoGP degli anni Duemilaventi, «[...] ha ancora senso, oggi, fare la moto su misura per le esigenze di un pilota?»] Non così tanto, infatti questo è un altro aspetto della MotoGP di oggi. I dati e la tecnologia impongono un lavoro molto diverso per arrivare a rendere efficace la moto, cioè in grado di sfruttare il grip delle gomme. Non è più il periodo in cui il problema si risolve con un telaio dedicato ad un pilota, oppure facendo la moto con le caratteristiche di un determinato pilota. [«Appunto, come accade per le auto di F1»] Sì, perché è sbagliato quello che c'è stato prima! Bisogna prima organizzare il lavoro a casa e in pista, poi coordinare tutto. Il lavoro inizia lì.

Note

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  1. a b Dall'intervista di Alessio Brunori, MotoGP | Esclusiva: Davide Brivio (Suzuki), "Marquez un fenomeno, a Rossi pesa non vincere", motograndprix.motorionline.com, 29 novembre 2019.
  2. Da un'intervista a la Repubblica; citato in MotoGP | Brivio: "Con Suzuki partiti davvero da zero", formulapassion.it, 15 novembre 2020.
  3. a b Dall'intervista di Matteo Aglio, MotoGP, Brivio: "Ormai lo sport è un pretesto per attirare il pubblico", gpone.com, 13 marzo 2024.

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