Dieudonné Nzapalainga
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Dieudonné Nzapalainga (1967 – vivente), cardinale e arcivescovo cattolico centrafricano.
Citazioni di Nzapalainga
[modifica]- Non possiamo parlare di disarmo quando la Seleka uccide in modo indiscriminato e saccheggia gli averi di cittadini pacifici.[1]
Dall'intervista de La stampa
in Centrafrica, Arcivescovo di Bangui: basta con la legge della giungla, Lastampa.it, 15 febbraio 2014
- [Sulla Seconda guerra civile nella Repubblica Centrafricana] Noi non vogliamo che la Repubblica Centrafricana venga divisa. Questa è una situazione davvero triste, penosa! Molti camion che portano via uomini, donne e bambini, vengono dal vicino Ciad. I musulmani li vedono, hanno paura, salgono e se ne vanno. Succede anche qui a Bangui, ma soprattutto in periferia, dove non ci sono forze dell'ordine né militari a garantire l’ordine pubblico.
- Dobbiamo affidarci all'arte della parola, dirci la verità, raccontarci cos'è successo e chi si è reso colpevole di questi crimini. Solo così potremo guarire le ferite delle vittime. Se no vivremo per sempre nell'odio.
- Noi non abbiamo nulla a che fare con gli antibalaka. Il cristianesimo è accoglienza, ospitalità, dialogo. Un cristiano non può uccidere o distruggere.
Dall'intervista di Sir
in Dieudonné Nzapalainga primo cardinale del Centrafrica: sono un semplice servo a servizio della pace, Agensir.it, 18 novembre 2016
- Il Centrafrica è un Paese povero, abbandonato, dimenticato. Ha conosciuto crisi a ripetizione, con un problema reale di malgoverno. La popolazione ne soffre le conseguenze.
- Continuerò, insieme all'imam e al pastore, a lanciare appelli per la pacificazione nel contesto di un dialogo fraterno per la ricostruzione del Paese. La mano tesa ai protestanti e ai musulmani è l'espressione di questa ricerca fatta insieme.
- Il Centrafrica è un Paese benedetto e amato da Dio. È giunto il momento di guardarci in faccia per disarmare i nostri cuori e le nostre menti al fine di ricostruire questo bellissimo Paese. Il cammino da intraprendere passa attraverso la conversione, il dialogo, l’accettazione degli altri.
Dall'intervista di Tempi, 1
in Pronto a morire per la pace, Tempi.it, 22 novembre 2016
- I Seleka erano principalmente mercenari provenienti da Ciad e Sudan. Non parlavano né il sango né il francese, ma l’arabo. Spesso tra loro e i musulmani c’è stata una certa connivenza, perché tendevano a unirsi. Hanno rubato e ucciso. I giovani cristiani li vedevano insieme e pensavano che tutti i musulmani stessero dalla parte dei Seleka. Qualcuno magari sì, ma non tutti. Così come non tutti i cristiani stavano con gli anti-balaka. Non si può generalizzare. La comunità però si è divisa.
- Ho fondato con un imam e un pastore protestante la piattaforma interreligiosa per la pace, con un unico scopo: dire chiaramente a una voce che questa è una crisi militare e politica, non religiosa. Non è stato un imam a dire ai musulmani di uccidere i cristiani. Non è stato un prete a dire ai cristiani di uccidere i musulmani. Mettendoci insieme abbiamo salvato molte vite umane.
- In Occidente avete paura e pensate solo a voi stessi. Guardate l’altro come una minaccia e un pericolo. Penso ai rifugiati: è chiaro che non tutti possono venire in Europa ma c’è chi soffre e non sa dove andare per la guerra. Bisogna dargli un’alternativa. Questa è un’ottima occasione perché l’Occidente ripensi finalmente al suo modo di gestire la politica estera. Prendiamo la Libia: chi ha bombardato il paese? Queste sono le conseguenze di crisi causate da voi. La Francia ha cominciato a bombardare senza pensare alle conseguenze. Ora la gente non sa più dove andare e scappa e se voi li cacciate ne sarete responsabili. Queste cose bisognava prevederle prima di bombardare. Dovete prendervi le vostre responsabilità.
- L’Africa è un’enorme fonte spirituale. Qui tutti sono credenti, chi più chi meno. Ma per gli africani Dio non è morto, è vivo. Anche al cuore della crisi noi abbiamo continuato a pregare. L’Africa non ha perso la sua identità. Non esiste solo la dimensione materiale, c’è anche quella spirituale. Dio ha un posto importante nel cuore dei giovani africani, che hanno capito che la cosa più importante nella vita è la dimensione spirituale. L’Africa può far riscoprire questa verità all’Europa.
Dall'intervista di Tempi, 2
in Centrafrica. «La guerra non è finita, l’Onu non ci difende, ma io ho speranza», Tempi.it, 11 marzo 2017
- Ho parlato con il presidente Faustin-Archange Touadera e dice che il governo non ha mezzi. Però i ribelli e gli anti-balaka le armi le hanno! Io incontro tutti per invitarli a non reagire alla violenza con la violenza. Così non si ottiene niente. Però vado anche dalle autorità per dire che se non garantiscono loro la sicurezza, saranno i giovani a farlo da soli.
- L’Africa può continuare a portare speranza al mondo ma il mondo deve aiutarci a stabilizzarci. Invece siamo sfruttati: non solo vengono razziate le nostre risorse naturali, ma anche quelle intellettuali. Quando un giovane studia e si forma qui, non trova lavoro e quindi decide di andarsene. Se avesse un lavoro, anche piccolo, resterebbe e si stabilizzerebbe. L’Europa non deve aiutare i dittatori africani, che mettono in atto il nepotismo, il tribalismo, aiutano la propria tribù ed escludono tutti gli altri. Perché quando non c’è futuro oltre alla miseria, la gente scappa. L’Europa deve aiutarci a restare qui.
- L’Italia ha accolto tanti migranti ma i migranti non vogliono restare in Italia, lo sappiamo. Vogliono andare altrove. L’Italia non può svolgere questo lavoro di accoglienza da sola, deve essere aiutata dagli altri paesi europei. Però vorrei dirvi: non abbiate paura. La paura è il peggiore nemico. L’altro non è una minaccia, è un essere umano, bisogna incontrarlo e cercare insieme le soluzioni. Noi in Centrafrica l’abbiamo imparato. Speriamo che un domani riusciremo a dire che tutto questo è stato un dono, una ricchezza.
Dall'intervista de L'osservatore romano
in La Repubblica Centrafricana tra violenza e speranza, Osservatoreromano.va, 30 marzo 2017
- La Chiesa in Repubblica Centrafricana ha sempre avuto un ruolo importante. Ogni volta che i vescovi si incontrano e diffondono un messaggio è tutta la popolazione che lo attende. Siamo intervenuti su molti temi “sensibili”: mal governo, tribalismo, nepotismo, corruzione. E anche rispetto alla grave crisi che ha interessato il paese in questi ultimi anni abbiamo più volte giocato il ruolo di “sentinelle” per tenere desta la popolazione, ma anche e soprattutto per stimolare i leader del paese ad assumersi pienamente le proprie responsabilità.
- L’ultima crisi ha avuto una progressione folgorante e ha visto il concorso di mercenari venuti dal Ciad e dal Sudan, gente che non parla né la lingua nazionale, il sango, né il francese, ma l’arabo. Qui c’è stato il primo fraintendimento e la gente è stata indotta a fare un’equazione pericolosa: si è cominciato a dire che tutti i Seleka erano musulmani e che tutti i musulmani erano Seleka. Chiaramente non è così. Lo stesso vale per i cristiani, che non sono tutti anti balaka, ovvero appartenenti alle milizie di autodifesa: basti vedere come vanno in giro ricoperti di amuleti. La connotazione etnico-religiosa che ha preso la crisi centrafricana non ha fatto altro che peggiorare le cose, cosicché ancora oggi è particolarmente difficile portare avanti il processo di pacificazione e di riconciliazione.
- Nel nostro paese la diversità religiosa anche all’interno di una stessa famiglia è ricorrente. Nel mio caso, per esempio, mia madre è protestante e mio padre cattolico. Non ci sono mai stati conflitti in casa. Così come ci sono famiglie con cristiani e musulmani che vivono tranquillamente insieme. Questo per dire che da noi l’accettazione e il rispetto dell’altro nella sua diversità di religione è una cosa normale. Purtroppo il conflitto ha seminato paura, diffidenza e odio.
- L’obiettivo principale del nostro impegno è riportare l’unità nel Paese e la coesione sociale. Lavoriamo soprattutto per la pace, la riconciliazione e lo sviluppo della popolazione del Centrafrica, cercando di promuovere la comprensione reciproca pur nelle differenze.
- Fuori dalla capitale non c’è nessun controllo né da parte delle autorità civili né da parte delle forze dell’ordine. E allora vari gruppi di ribelli spadroneggiano dove e come possono: dagli ex Seleka ai gruppi di autodifesa anti balaka, dai pastori peul ai miliziani dell’Esercito di liberazione del Signore. Chi ha le armi le usa per controllare il territorio, per taglieggiare e sottomettere la popolazione e soprattutto per sfruttare le risorse minerarie del paese, come nel caso di Bambari: oro e diamanti, in particolare, ma anche uranio e petrolio. Non c’è una vera e propria autorità che controlli il paese fuori dalla capitale. Alcuni prefetti non hanno neppure i gendarmi o, se li hanno, non sono armati.
Note
[modifica]- ↑ Citato in Centrafrica, stragi e raid Chiesa profanata, Avvenire.it, 23 agosto 2013
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