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Erwin Panofsky

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Erwin Panofsky (1892 – 1968), storico dell'arte tedesco.

Citazioni di Erwin Panofsky

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  • [Su Jan van Eyck] Il suo occhio era allo stesso tempo un microscopio e un telescopio.[1]
  • [Su Tiziano Vecellio] Nessun altro grande artista si appropriò di tanto facendo così poche concessioni; nessun altro grande artista fu tanto flessibile pur restando completamente sé stesso.[2]

La prospettiva come forma simbolica

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  • Nessuna meraviglia che un uomo come Giordano Bruno corredi questo mondo della spazialità infinita, sottratto in certo modo alla onnipotenza divina, e pure completamente misurabile, di una sublimità quasi religiosa e che gli attribuisca, «accanto all'estensione infinita del χενόν democriteo, l'infinita dinamica dell'anima del mondo neoplatonica».[3] Nonostante l'afflato mistico, questa concezione dello spazio è già quella che più tardi verrà razionalizzata da Cartesio e formalizzata nella teoria Kantiana. (p. 46)
  • Oggi potrà forse sembrare strano che un genio come Leonardo da Vinci definisse la prospettiva «briglia e timone della pittura», e che un pittore ricco di fantasia come Paolo Uccello rispondesse alla moglie, quando questa lo invitava a dormire: «Oh, che dolce cosa questa prospettiva!»;[4] ma è necessario cercare di chiarire quale fu allora il significato di questa scoperta. Non significò soltanto un'elevazione dell'arte a «scienza» (per il Rinascimento si trattava veramente di un'elevazione): l'impressione visiva soggettiva era stata razionalizzata a tal punto che poteva costituire il fondamento per la costruzione di un mondo empirico saldamente fondato eppure, in senso pienamente moderno, «infinito» (e si potrebbe addirittura paragonare la funzione della prospettiva rinascimentale a quella del criticismo, il valore della prospettiva romano-ellenistica a quello dello scetticismo). Era stato così realizzato il passaggio dallo spazio psicofisiologico allo spazio matematico: in altre parole, un'obiettivazione della soggettività. (pp. 46-47)
  • Non bisogna mai dimenticare che i resoconti contemporanei, o quasi, erano in grado di valutare il «naturalismo» di una raffigurazione artistica soltanto entro i limiti di ciò che già era stato scoperto e che quindi era dato immaginare (come nel caso di Boccaccio, che considerava tanto «veri» da trarre in inganno i dipinti di Giotto, i quali, agli osservatori successivi, appaiono invece estremamente «stilizzati»). (p. 77)

Note

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  1. Da Early Netherlandish Painting, 1953; citato in AA.VV., Il libro dell'arte, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 115. ISBN 9788858018330
  2. Da Problems in Titian; citato in Filippo Pedrocco, Tiziano, Rizzoli, 2000, p. 48. ISBN 88-17-86528-1
  3. [N.d.C.] L. Olschki; a questo proposito anche Jonas Cohn, Das Unendlichkeitsproblem, 1896. È particolarmente interessante il modo in cui Bruno, per poter fondare il suo concetto dello spazio infinito anche sull'«Autorità» degli antichi, contro la concezione scolastico-aristotelica, si rifà consapevolmente ai frammenti dei presocratici, e in particolare alle dottrine di Democrito: in certo modo – ed è un fatto sintomatico per tutto il movimento rinascimentale – egli si vale di una Antichità contro un'altra; il risultato è un terzo termine, appunto la specifica «modernità». L'opposto della bella definizione bruniana dello spazio come «quantitas continua, physica triplici dimensione constans» è la personificazione medioevale (ad esempio, nel Duomo di Parma) delle quattro dimensioni (parallele ai quattro evangelisti, ai quattro fiumi del paradiso, ai quattro elementi, ecc.).
  4. [N.d.C.] Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, ed. Milanesi, 1878-1885, p. 207.

Bibliografia

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  • Erwin Panofsky, La prospettiva come forma simbolica (Die Perspektive als «symbolische Form»), traduzione di Enrico Filippini, con un testo di Marisa Dalai Emiliani, Abscondita, Milano, 2007.

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