Ettore Cantoni
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Ettore Cantoni (1888 – 1927), scrittore italiano.
Quasi una fantasia
[modifica]La bontà, il sacrificio, la disciplina, l'amore allo studio, l'affetto ai parenti e tante virtù e tanti doveri che s'insegnano ai ragazzi son tutte bellissime cose, così a parole; ma in realtà non sono che una lustra, un candido velo teso dinanzi ai loro occhi, dietro il quale i grandi nascondono le loro infamie e i loro impudichi segreti.
Citazioni
[modifica]- Perché bisogna sapere che il mondo si divide in due categorie: i grandi e i piccoli, tra cui ferve diuturnamente una lotta accanita: tragica ed ìmpari lotta fra il male e il bene, fra i grandi forti, ricchi, prepotenti ed i piccoli che per il duro combattimento non sono armati che di una tenace e disperata volontà di vivere e anche, perché non dirlo?, di un'intelligenza più robusta e svelta. Sì, i piccoli sono più intelligenti, perché son essi che rinnovelleranno il mondo; mentre i grandi noi li vediamo beati nella loro ignavia, conservatori d'ogni più vetusto ordinamento, intenti solo ad angariare i loro nemici sotto il manto ipocrita dell'affetto e a nascondere in strani, spesso notturni conciliaboli i loro innominabili misteri. Ànno fini diversi, ànno armi occulte, ànno un cifrario per i segni convenzionali, per cui, anche senza far mostra, s'intendon fra di loro; sanno molte cose paurose che dovrebbero pur dire e che non dicono; – anzi s'industriano a renderle ancora più paurose per la cura gelosa che si danno di non tradirsi mai, nemmeno per isbaglio. (cap. I, p. 4)
- Iddio, ch'è perfetto, ama i grandi cimenti, le lotte contro gli uragani e le fiere; e perciò protegge gli uomini che stanno nella natura e fa che il loro eroismo finisca sempre per trionfare, mentre non può che allontanar disgustato il suo sguardo dagli uomini che se ne stanno nella civiltà, dove non si combatte nessuna cruenta battaglia e si vive una vita grama, fatta di piccoli e noiosi doveri, sotto l'egida di un infrollito stuolo di femmine. (cap. IV, p. 75)
- Avevano tanta esperienza della vita da conoscere quanto importi ispirare alle masse reverenza e prestigio e quanto tale scopo s'ottenga più con mezzucci puerili che non con l'effettiva grandezza. La genialità vera va posta nell'elaborazione dei piani grandiosi che il capo coordina in solitudine e non dev'esser data in pasto alla folla, che d'ogni cosa non comprende se non l'esteriorità più grossa ed immediata. (cap. VIII, p. 139)
- Robinson Crusoé è in fondo, di tutti i Robinson, l'unico veramente geniale.
Gli altri sbarcando nelle loro isole possedevano molti oggetti di prima necessità e sopratutto avevano dei compagni, bravi, forti, addestrati a compiti diversi.
Egli invece giunge all'isola solo, senza viveri, senz'armi, senza utensili, senza nulla: e ci vive quattordici anni.
Bisogna avere intensamente vissuto, sia pure con l'immaginazione, le ore terribili dei primi giorni per comprendere quale immensa miseria possa rappresentare in tali frangenti la mancanza d'un martello, d'un'accetta, di una pentola, d'una scatola di fiammiferi! (cap. X, p. 193) - Da qualche tempo s'erano impossessati di questa parola [pregiudizio], prima titubanti, poi con superba baldanza. Era una parola magica che occorreva tener sempre a portata di mano, perché aveva la facoltà di dischiudere vasti orizzonti, d'invertire i valori abituali, di porre in nuova e più giusta luce ogni problema fastidioso, concedendo alle anime assetate di libertà le più sconfinate licenze.
Un po' per volta, con logica perfetta, essi vennero alla conclusione, sbalorditiva se si vuole, ma rigorosamente esatta, che quasi tutti i doveri imposti dalla morale vigente traevano origine da pregiudizi. Non che non vi fossero al mondo doveri gravosi da compiere e peccati attraenti da evitare; ma erano altri, e peccati e doveri, sempre altri: non quelli che diceva la gente.
Così questa parola era diventata un Deus ex machina, che sbrogliava i nodi più intricati, risolveva le situazioni più penose, toglieva dal cuore il peso dei rimorsi, e l'adoperavano continuamente, meravigliati essi stessi ch'essa trovasse un posto adeguato in ogni frase, in ogni occasione. (cap. X, p. 205) - – Anzitutto devi rinnovare il giuramento di rimaner fedele alla nostra causa qualunque cosa accada e d'impostare le lettere che noi t'invieremo, chiudendole in buste che porteranno il solo timbro di città e bruciando con cura le buste originali.
– Senza conservarne i francobolli, per quanto rari! – aggiunse Renato.
– Giura!
– Giuro parola d'onore.
– Non basta. Giura sbi!
– Giuro sbi! – fece Pierino compunto, con la mano stesa.
Questa formola, che nella loro lingua significava «il grande giuramento», sostituiva legittimamente i soliti giuramenti, i quali per essere basati sulla fede religiosa o su convenzioni mondane possono essere traditi senza eccessivi rimorsi da chi quei sentimenti o quelle credenze non condivida: un giuramento fatto sopra un feticcio degli ottentotti, chi lo prenderebbe sul serio? (cap. XV, p. 292)
Queste e tant'altre cose più o meno sconclusionate, ch'egli pensò tornandosene a casa, gli diedero una nuova coscienza della sua forza, e gli sembrò che in quella sera si fosse chiusa per sempre una parte oscura della sua vita, mentre un'altra s'iniziava, tutta piena di promesse.
Bibliografia
[modifica]- Ettore Cantoni, Quasi una fantasia, Treves, Milano, 1926.
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