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Fabio Cusin

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Fabio Cusin (1904 – 1955), storico italiano.

Antistoria d'Italia

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Il Medioevo cittadino, in cerca di una gloria che suonasse conferma di se stesso, ha creato le basi di un mito storiografico per cui l'Italia medievale appare quale continuazione di quella antica, romana e preromana. Questo mito, sopravvissuto nella moderna storiografia cittadina, si completa con un altro tutto erudito e letterario, che, svolgendosi dal primo, prende forma e concretezza nella coscienza letteraria dell'Italia post-rinascimentale e che è la fonte prima dell'ideologia politica che vuole l'Italia una e indipendente. Su questi due motivi si innesta la storiografia scientifica moderna che, bene o male, tiene l'occhio fisso a questi punti di arrivo e di partenza per cui storicismo geografico e politico, etnografia e razzismo cedono il passo di fronte alla coscienza dell'unità di cultura e di lingua. La nazione venne raffigurata con una sua lingua caratteristica in un suo proprio clima ambientale; quindi furono ricercate intorno al Mille le origini, nell'età dei Comuni le manifestazioni più originali di un'anima ad essa propria. Data l'impostazione di questa tradizione, la storiografia italiana, tutta presa dal problema letterario e idealisticamente protesa ad afferrare i valori individuali, lascia in non cale il problema delle origini etniche del popolo italiano. L'ambiente, scarso di residui razziali, non mostra grande interesse per queste cose e sente un certo fastidio quando lo si rende attento che gli stranieri accentuano una netta distinzione tra l'Italia del Nord e quella del Sud.

Citazioni

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  • Il peso della personalità di questo poeta [Dante] nella nostra storia morale impressionò sempre quanti hanno meditato la storia d'Italia. Pare che in lui si riassuma il problema etico-politico della vita italiana. In una nazione che si piegherà ad ogni convenienza egli è il grande eterno ribelle che, dopo aver invano lottato per ricondurre la giustizia tra il suo popolo, compiere la vendetta sui colpevoli e promuovere la pace tra i concittadini, evade nell'oltretomba, nel mondo della giustizia assoluta a chiedere l'estrema giustificazione per il suo mondo sociale e per lui stesso uomo. [...] nella catarsi dell'anima dantesca sembra siano contenute tutte le ulteriori esperienze della tragica vita della nazione. (Parte prima. Il passato, Capitolo III, Autorità ed eresia, pp. 18-19)
  • Nel secolo XIV la nazione italiana vive intensamente la sua conquistata maturità e l'individuo, trascinato nelle correnti mondane a cui invano cerca di contrapporre l'ascetismo cristiano, si sofferma con compiacenza intorno alle proprie fantasie e ai propri sogni. Le aspirazioni individualistiche offrono un rifugio contro le durezze della realtà. [...] La poesia e l'arte, considerate sino allora missione dell'uomo e mezzo per propugnare una verità, divengono soltanto espressione del proprio stato d'animo e fine a se stesse. (Parte prima. Il passato, Capitolo IV, La signoria e la concezione letteraria della vita, p. 22)
  • Con la Controriforma il costume sociale italiano entra quale regola di coscienza, quale paradigma di vita. L'individuo, con le sue preoccupazioni, col proprio spirito tormentato, con le proprie aspirazioni morali, con le angosce tra colpa e redenzione, rimane isolato. Non gli è lecito vivere la vita interiore della propria anima, come non gli è lecito parlare liberamente della propria patria. Quando avanza dubbi in proposito e cerca un conforto nella comprensione degli uomini gli succede, come avvenne a Torquato Tasso, di sentirsi opporre un precetto pratico alle ambasce dell'animo. (Parte prima. Il passato, Capitolo VI, Il principato e il conformismo, p. 55)
  • Per svolgere un'azione politica non c'è sempre bisogno di una idea, ma c'è sempre invece bisogno di un capo, soprattutto di un capo deciso ad agire e a trionfare a qualsiasi costo. In Italia, paese tendenzialmente abulico ed inerte, non erano mai mancati uomini pronti a sobbarcarsi anche per gli altri. Tra i tanti disposti a questa impresa, rifulse allora un vivace combinatore di concetti e di parole [Benito Mussolini], efficacissimo oratore, polemista passionale e uomo deciso a portare nella vita pratica tutto l'ardore della sua anima insaziabile; a completare le quali attitudini possedeva una sensibilità umana ed artistica mediocrissima, nonché un'indomabile ammirazione di sé, aggiunte a una disonestà morale e a una faccia tosta a tutta prova. (Parte seconda. La società italiana e il fascismo, Capitolo III, Il Capo, p. 173)
  • Ma la manifestazione precipua del carattere ufficiale e ufficioso della cultura italiana nell'età del fascismo è consegnato in un più poderoso monumento: l'Enciclopedia Treccani, che rappresenta il più perfetto commento storico di un compromesso inconclusivo. [...] Le brillanti sintesi, di cui talune di ottima penna, specialmente nel campo delle scienze morali, rappresentano spesso definizioni di posizioni critiche individuali [...] L'incapacità di illustrare lo scibile al profano è chiara nelle voci scientifiche in cui si parla il linguaggio ermetico del tecnico che, data la natura sintetica delle voci, non è possibile spiegare. (Parte seconda. La società italiana e il fascismo, Capitolo IX, Lo stile dei dominatori e il costume di un popolo, pp. 327-28)
  • Così Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940 con la convinzione di cavarsela a buon mercato: «una cosetta breve», dicevano i bene informati; c'era nell'aria un po' di paura; taluni temevano bombardamenti; altri si preoccupavano della «mobilitazione generale» e dell'intralcio per molte imprese e per molti affari. Ma sostanzialmente, abituatasi ormai alla guerra, la gente considerava questa impresa come cosa che non la riguardasse molto. Il Capo che ormai si sapeva così bravo a condurre a buon fine ogni cosa, anche apparentemente azzardata, l'aveva voluta e ordinata ed ora si era graziosamente degnato di comunicarla al popolo! (Parte seconda. La società italiana e il fascismo, Capitolo XII, La catastrofe, p. 425)

Citazioni su Fabio Cusin

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  • La sua idea d'Italia non resse all'Italia vera e a quella amarezza, insoddisfazione di sé e per sé, ma pure sdegno morale, che il vivere in essa implicava. Le miserie dell'accademie universitarie, e disgrazie familiari, lo schifo per il fascismo e il marxismo, lo guidarono al realismo senza speranza di Pareto e Mosca. L'otto settembre e le miserie del dopoguerra, gli confermarono di aver avuto ragione. [...] Libro questo suo [Antistoria d'Italia] fuori corso, da tutti dimenticato, eppure formidabile soprattutto nei capitoli primi, per spregiudicatezza, mai doma. (Geminello Alvi)

Bibliografia

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  • Fabio Cusin, Antistoria d'Italia, Gli Oscar, II edizione, Arnoldo Mondadori Editore, 1970.

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