William Gibson

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William Gibson, 17 marzo 2008

William Ford Gibson (1948 – vivente), scrittore canadese di origine statunitense.

  • C'è una bambina che sta male nella mia casa. [...] Sento che il dado è stato gettato, per il suo vestito insanguinato. Molte sono le mani che scavano la sua fossa questa notte, e anche le tue. I nemici pregano per la tua morte, mercenario. Pregano fino a sudare. Le loro preghiere sono un fiume di febbre. (da Giù nel Cyberspazio)
  • Il futuro della fantascienza? Ci viviamo dentro. [...] Se c'è una cosa che ho imparato dalla fantascienza, è che ogni momento presente è al contempo il passato di qualcun altro e il futuro di qualcun altro.
The Future of Science Fiction? We're living in it. [...] The single most useful thing I've learned from science fiction is that every present moment, always, is someone else's past and someone else's future. (da Sci-fi special: William Gibson, New Scientist, n. 2682, 12 novembre 2008)
  • Nessuno scrive davvero del futuro. Tutto quello che ci rimane quando fingiamo di scrivere del futuro è il momento in cui stiamo scrivendo. Ecco perché ogni futuro immaginato diventa obsoleto come un gelato che si scioglie mentre uscite dalla gelateria all'angolo. Esso acquisirà immediatamente una patina pittoresca, fa parte di ciò che comporta l'immaginazione del futuro. (dall'intervista a Wired, 10 settembre 2010)

Monna Lisa Cyberpunk[modifica]

Incipit[modifica]

Il fantasma era un dono d'addio di suo padre, portatole da un segretario vestito di nero nella sala delle partenze di Narita.
Durante le prime due ore di volo verso Londra, restò come dimenticato nella sua borsa. Era un oggetto liscio e scuro di forma allungata; un lato portava impresso l'onnipresente logo della Maas-Neotek, l'altro, invece, era curvo, per adattarsi al palmo della mano.
Sedeva ben dritta nella sua poltrona di prima classe, i lineamenti composti in una maschera modellata sul volto della madre morta. I sedili intorno a lei erano vuoti; suo padre aveva comprato gli altri posti. Rifiutò il pranzo offertole da uno steward nervoso. I sedili vuoti lo impaurivano: erano la dimostrazione della ricchezza e del potere di suo padre. L'uomo esitò, poi si ritirò con un inchino. Per un attimo ella permise che, sulla maschera di sua madre, comparisse un sorriso.

Citazioni[modifica]

  • E comunque Gentry era proprio strano, pensò Slick, sentendo scricchiolare le ginocchia mentre si alzava in piedi ed estraeva l'unità di controllo del Giudice dalla tasca della giacca. Gentry era convinto che il ciberspazio avesse una Forma, una configurazione globale e totale. Non era certo l'idea più da picchiati che Slick avesse mai sentito, però Gentry era ossessionato dalla convinzione che la Forma avesse un'importanza capitale. La comprensione della Forma rappresentava il suo Graal. (p. 68)
  • «È stata ferita» disse Kumiko, guardando la cicatrice.
    Sally abbassò lo sguardo. «Già.»
    «Perché non se l'è fatta togliere?»
    «A volte fa bene tenere a mente certe cose.»
    «Di essere stati feriti?»
    «Di essere stati stupidi.» (p. 134)

Incipit di alcune opere[modifica]

Aidoru[modifica]

Dopo Slitscan, Laney ricevette una proposta di lavoro da Rydell, il guardiano notturno allo Chateau. Rydell era uno di quei tipi grossi e tranquilli del Tennessee, con un sorriso triste e timido, occhiali da sole a buon mercato e un walkie-talkie perennemente collegato a un orecchio.
– Paragon-Asia Dataflow – disse Rydell, verso le quattro del mattino, mentre tutti e due se ne stavano seduti su un paio di vecchie poltrone. Le travi di cemento sul soffitto erano dipinte a mano in maniera da assomigliare vagamente a rovere biondo. Le poltrone, come tutto il resto dell'arredamento nella hall dello Chateau, erano talmente grandi che chiunque ci si sedesse sembrava fatto in miniatura.
– Davvero? – chiese Laney, dando corda a Rydell, come se uno come lui fosse davvero in grado di procurargli un lavoro.

American Acropolis[modifica]

Attraverso questa corrente serale di facce ininfluenti, indistinte, in mezzo a frettolose scarpe nere, ombrelli chiusi e alla folla che scivola fusa come un unico organismo nel cuore soffocante della stazione, ecco farsi avanti Shinya Yamazaki, con il computer portatile stretto sotto braccio come la sacca d'uova di una specie marina poco nota ma di discreto successo biologico.
Evolutosi per tener testa a sgomitate alle sproporzionate borse della spesa di Ginza e alle spietate valigette, Yamazaki e il suo piccolo fardello di informazioni scendono nelle profondità al neon. Verso un ramo tributario di quiete relativa, un corridoio piastrellato che mette in comunicazione due scale mobili parallele.

Giù nel cyberspazio[modifica]

Misero un segugio esplosivo sulle tracce di Turner a Nuova Delhi, sintonizzato sui suoi feromoni e sul colore dei capelli. Lo raggiunse in una strada chiamata Chandni Chauk, e si lanciò verso la sua BMW noleggiata, fra una selva di gambe nude e brune e ruote di tassì a pedale. Il nucleo era costituito da un chilogrammo di esogene ricristallizzato e TNT in scaglie.
Turner non lo vide arrivare. L'ultima cosa che vide dell'India fu la facciata rosa di un posto che si chiamava Khush-Oil Hotel.

La notte che bruciammo Chrome[modifica]

Johnny Mnemonic[modifica]

Misi il fucile da caccia in una borsa Adidas e la imbottii con quattro paia di calze da tennis. Tutto il contrario del mio stile abituale, ma era proprio questo il mio scopo: se ti credono rozzo, fai il raffinato; se ti credono raffinato, mostrati rozzo. Io sono molto raffinato. Perciò decisi di sembrare il più rozzo possibile. Di questi tempi, poi, uno deve essere piuttosto raffinato prima di poter anche aspirare alla grossolanità. Mi ero dovuto fabbricare tutte e due le cartucce calibro 12 a partire da un blocco di ottone, su un tornio, e caricarle personalmente; avevo dovuto scovare un vecchio microfilm con le istruzioni per le cartucce da caricare a mano; avevo dovuto costruire un meccanismo a leva per collocare il fulminante... Una faccenda piuttosto complicata. Ma sapevo che avrebbe funzionato.

La notte che bruciammo Chrome[modifica]

Faceva caldo, la notte che bruciammo Chrome. Nei viali e nelle piazze le falene sbattevano fino a morire contro le luci al neon, ma nella mansarda di Bobby l'unica luce era quella del monitor e dei led rossi e verdi del simulatore di matrice. Conoscevo a memoria ogni chip del simulatore di Bobby: sembrava un normalissimo Ono-Sendai VII, il "Cyberspace Seven", ma l'avevo ricostruito tante di quelle volte che sarebbe stato difficile trovare un millimetro quadrato di circuiti originali in quel silicio.

Il continuum di Gernsback[modifica]

Per fortuna gli effetti stanno svanendo, la faccenda si sta rivelando un episodio temporaneo. Quando ancora mi capita di vedere qualcosa, è ai margini del campo visivo: frammenti di assurde macchine cromate, appena intraviste. Ho visto un'ala volante sopra San Francisco, la settimana scorsa, ma era quasi trasparente. E le auto con le pinne di squalo si sono fatte più rare, le autostrade evitano discretamente di espandersi in mostri scintillanti a ottanta corsie, come quello in cui sono stato costretto a guidare la settimana scorsa con la mia Toyota a nolo. E so che niente di tutto ciò mi seguirà fino a New York, il mio campo visivo si sta restringendo a una sola lunghezza d'onda probabilistica. Ho lavorato duro per ottenere questo risultato. La televisione mi è stata di grande aiuto.

Frammenti di una rosa olografica[modifica]

Quell'estate Parker faceva fatica a dormire.
C'erano interruzioni nell'erogazione dell'energia elettrica, e gli spegnimenti improvvisi dell'induttore-delta provocavano dolorosi e improvvisi ritorni alla coscienza.
Per evitare l'inconveniente usò dei cavi con morsetti e del nastro adesivo nero per collegare l'induttore a una piastra Asp a batteria. La caduta di tensione nell'induttore faceva scattare il circuito di riproduzione della piastra.

Hinterland[modifica]

Quando Hiro schiacciò il bottone, io stavo sognando Parigi, strade bagnate e buie in inverno. Il dolore mi esplose nel cranio, dietro gli occhi, come un muro blu fluorescente. Balzai fuori dall'amaca urlando. Urlo sempre: ci tengo. Il feedback mi percorse il cervello. L'interruttore del dolore è un circuito ausiliario della radio ossea, collegato direttamente ai centri nervosi: proprio quello che ci vuole per penetrare la nebbia di un surrogato di barbiturici. Mi ci vollero alcuni secondi per rimettere a posto il tutto, iceberg di ricordi che incombevano nella nebbia: chi ero, dov'ero, perché ero là, chi mi stava svegliando.

New Rose Hotel[modifica]

Sette notti a pagamento in questa bara, Sandii. New Rose Hotel. Come ti desidero, ora. Qualche volta ti colpisco. Rivivo tutto adagio, dolcemente e crudelmente. Riesco quasi a sentirlo. Qualche volta prendo dalla borsa la tua piccola automatica e faccio scorrere il pollice sulla cromatura liscia, da poco prezzo. Una calibro 22 cinese, il foro della canna non più grande della pupilla dilatata del tuo occhio scomparso.
Fox è morto, Sandii.
Fox mi aveva detto di dimenticarti.

Il mercato d'inverno[modifica]

Piove molto, quassù; ci sono giorni, in inverno, in cui il cielo non diventa mai veramente chiaro, solo di un grigio uniforme. Ma ci sono anche giorni in cui è come se si aprisse di colpo per tre minuti un sipario sulle montagne illuminate dal sole, sospese nell'aria: come il prologo di un film girato da Dio. Era così il giorno in cui telefonarono i suoi agenti, dal cuore della loro piramide di specchi sul Beverly Boulevard, per dirmi che lei era entrata nella rete, che era arrivata in cima e che I re del sonno era tre volte platino. Io ho curato la maggior parte dei Re, ho fatto il lavoro di rilevamento cerebrale, ho rivisto tutto con il modulo di cancellazione rapida, perciò mi spettava una parte dei diritti d'autore.

La razza giusta (con John Shirley)[modifica]

Forse era stato al Club Justine, o al Jimbo's, o al Sad Jack's, o al Rafters; Coretti non riusciva a ricordare dove l'avesse vista per la prima volta. Avrebbe potuto essere successo in qualsiasi momento in uno qualsiasi di quei bar. Lei nuotava nella pseudo-vita fatta di bottiglie e bicchieri e del lento salire del fumo delle sigarette... si muoveva nel suo elemento naturale, un bar dopo l'altro.

Stella rossa, orbita d'inverno (con Bruce Sterling)[modifica]

Il colonnello Korolev si girò lentamente nella rete, sognando l'inverno e la gravità. Di nuovo giovane, un cadetto, sferzava il suo cavallo sulle steppe del Kazakistan, alla fine di novembre, verso il paesaggio secco e rosso del tramonto marziano.
"Qualcosa non va" pensò...
E si risvegliò nel Museo del Trionfo Sovietico nello Spazio, sentendo il rumore di Romanenko e della moglie dell'agente del Kgb. Avevano ricominciato a darci dentro, dietro la paratia a poppa della Salyut. Le cinture di sicurezza e lo scafo imbottito scricchiolavano e cigolavano fra tonfi ritmici. Zoccoli sulla neve.

Duello (con Michael Swanwick)[modifica]

Aveva intenzione di proseguire senza fermarsi fino in Florida. Pagarsi il passaggio lavorando su qualche nave di contrabbandieri d'armi, magari finire per farsi arruolare in qualche esercito ribelle del cazzo nella zona di guerra. O magari, con il biglietto valido finché non interrompeva la corsa, poteva non scendere mai... l'Olandese Volante dei Greyhound. Rivolse un sogghigno alla sua immagine riflessa sul finestrino freddo e sporco, mentre le luci del centro di Norfolk scivolavano via e il pullman ondeggiava sugli ammortizzatori stanchi, eseguendo l'ultima curva. Si fermarono con uno scossone sul parcheggio della stazione, cemento grigio illuminato com il cortile di una prigione. Ma Deke si vedeva morire di fame, magari in una tempesta di neve dalle parti di Oswego, con la guancia appoggiata allo stesso finestrino, e vedeva i suoi resti spazzati via alla fermata successiva da un vecchio biascicante con addosso una tuta da lavoro sbiadita. Decise che in un modo o nell'altro non gliene fregava un accidente. Se non che le gambe gli sembravano già morte. L'autista annunciò una sosta di venti minuti: Tidewater Station, Virginia. Era un vecchio edificio in blocchi di scorie pressate con due entrate per ciascun bagno: un relitto del secolo precedente.

Luce virtuale[modifica]

Il corriere appoggia la fronte contro strati di vetro, argon, plastica anti-proiettile. Osserva una cannoniera sorvolare la città a media altezza, come una vespa cacciatrice, la morte appesa sotto il torace in un liscio baccello nero.
Qualche ora prima alcuni missili sono caduti in un sobborgo settentrionale; settantatré morti, ancora nessuna rivendicazione. Ma qui, sulle ziggurat coperte di specchi lungo il viale Lázaro Cárdenas, scorre la carne luminosa dei giganti, urlando la sua litania di sogni notturni alle avenidas in attesa: gli affari come al solito, il mondo non finisce questa sera.

Neuromante[modifica]

I traduzione[modifica]

Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto.
– Non è come al solito. – Case lo senti dire da qualcuno, mentre si faceva largo tra la calca, a gomitate, per infilarsi nella porta dello Chat. – È come se all'improvviso il mio corpo avesse un bisogno disperato di droga. – Era la voce dello Sprawl, una delle espressioni più tipiche. Il Chatsubo era un bar per espatriati di professione: potevate andarci per un'intera settimana senza mai sentire due sole parole in giapponese.

Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli[modifica]

Il cielo sopra il porto era del colore di uno schermo televisivo sintonizzato su un canale morto.
«Non è che mi faccio» disse qualcuno mentre Case si apriva un varco a spintoni tra la calca per infilarsi dentro il Chat. «Solo che all’improvviso il mio corpo ha una drastica carenza di droga.» Era un accento da Sprawl, in una delle espressioni più tipiche dello Sprawl. Il Chatsubo era un bar per espatriati di professione: potevi andarci a bere per una settimana di seguito senza mai sentire due sole parole in giapponese.

[William Gibson, Neuromante, La traduzione di Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli, Mondadori, 2017]

Zero history[modifica]

Inchmale le chiamò un taxi, uno di quelli che un tempo, quando era stata in città per la prima volta, erano tutti neri.
Questo era color argento perlaceo. Con una scritta gotica in blu di Prussia che pubblicizzava una banca tedesca, o forse un software commerciale; era un simulacro arrotondato dei suoi predecessori neri, con la tappezzeria in finta pelle in una tonalità chiara di marroncino ortopedico.

Citazioni su William Gibson[modifica]

  • Con Gibson sentiamo parlare un decennio che ha finalmente trovato la sua voce. Non è un rivoluzionario che batte i pugni sul tavolo, ma un rinnovatore dotato di spirito pratico. Sta aprendo i corridoi stagnanti della letteratura fantascientifica per farvi entrare l'aria fresca delle nuove conoscenze: la cultura degli anni Ottanta, con la sua bizzarra e crescente integrazione di moda e tecnologia. (Bruce Sterling)
  • Il suo stupefacente primo romanzo, Neuromante, che ha vinto tutti i premi del settore nel 1985, ha dimostrato la sua impareggiabile capacità di localizzare con precisione i punti nevralgici della società. L'effetto è stato quello di una scossa elettrica, che ha contribuito a svegliare la sf dal suo letargo dogmatico. Uscita dall'ibernazione, sta sbucando dalla sua caverna nella viva luce solare del moderno spirito dei tempi. (Bruce Sterling)

Bibliografia[modifica]

  • William Gibson, Aidoru, traduzione di Delio Zinoni, Mondadori.
  • William Gibson, America Acropolis, traduzione di Daniele Brolli, Mondadori, 2000. ISBN 8804479426
  • William Gibson, Giù nel cyberspazio, traduzione di Delio Zinoni, Mondadori, 1994. ISBN 8804403683
  • William Gibson, La notte che bruciammo Chrome, traduzione di Delio Zinoni, Mondadori, 1995. ISBN 88-04-40871-5
  • William Gibson, Luce virtuale, traduzione di Delio Zinoni, Mondadori, 1996. ISBN 9788804576662
  • William Gibson, Monna Lisa Cyberpunk (Mona Lisa Overdrive), traduzione di Marco Pensante, Mondadori, 1991, ISBN 978-88-04-46966-7.
  • William Gibson, Neuromante, traduzione di Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli, Editrice Nord, 2000, Milano. ISBN 88-429-1068-6
  • William Gibson, Zero history, traduzione di Daniele Brolli, Fanucci, 2012. ISBN 9788834719411
  • Marcus Chown, Is science fiction dying?, New Scientist, 12 novembre 2008

Film[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]