Giacomo Papi
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Giacomo Papi (1968 — vivente), scrittore e giornalista italiano.
Citazioni di Giacomo Papi
[modifica]- [...] sono andato in piazza del Duomo a Milano per vedere i funerali di Berlusconi. Mi aspettavo di partecipare a un evento storico [...]. E invece quello che ho visto in piazza – senza aver visto le dirette televisive, senza avere ascoltato i talk show, senza avere letto le 40 pagine dedicate da ogni quotidiano alla morte di Berlusconi e avendo evitato il più possibile i social – è stato un evento poco partecipato, poco emozionante ed emozionato, in definitiva molto triste: un finale minore per un'epoca intera e per una vita sgargiante e chiassosa che, comunque la si giudichi, ha avuto una sua grandiosità. [...] piazza del Duomo è apparsa a chi c'era molto più vuota che per qualsiasi evento di qualsiasi radio privata, influencer, manifestazione o partita. [...] però intanto ogni televisione, sito e giornale parlava di marea e gonfiava i numeri, per giustificare la pompa con cui stava dando la notizia. [...] Gran parte del sistema dell'informazione italiano, di destra e di sinistra, di Berlusconi, pro Berlusconi o anti Berlusconi, ha raccontato che in piazza Duomo ci siano state 15mila persone. Se lo erano lo sono state solo di passaggio. [...] Per spiegarmi questa corsa collettiva e spontanea a gonfiare i numeri non trovo una ragione più plausibile dell'esigenza di ingigantire il nemico in modo da poter giustificare il proprio ruolo e il proprio racconto, a ulteriore dimostrazione del solco sempre più profondo tra informazione e spettacolo, tra informazione e verità, tra informazione e pubblicità. E mi sembra questo l'esito più paradossale e coerente del berlusconismo, la vittoria della sua visione pubblicitaria del mondo e dell'Italia, cioè della politica e della storia come messe in scena [...]. Intorno al corpo di Berlusconi [...] è andata in scena un'ultima gara ad accaparrarsene un brandello per brillare, un'ultima volta, della sua capacità di tramutarsi in spettacolo. Ma quel che è più triste [...] è che passeggiando per piazza del Duomo, con l'emozione di uno che [...], comunque, saluta un uomo che ha scandito tutta la sua vita adulta, non ho avvertito nessuna particolare emozione. Non tanto mia, collettiva. Mi è parso che il sentimento dominante sia stato una stanca curiosità [...], per farsi qualche selfie e vedere chi c'era. Ma i tifosi del Milan erano molti di più dei sostenitori di Forza Italia, a dimostrazione del nulla lasciato in politica e di quali invece siano le imprese che restano [...], quelle per cui molti pensano valga la pena di prendere un giorno di ferie, pur di esserci e ringraziare.[1]
ilpost.it, 22 ottobre 2015.
- Quasi tutti i libri italiani sono in Garamond, anzi, per essere più precisi, in Simoncini Garamond, un carattere disegnato da un tipografo francese nel Cinquecento – Claude Garamond – e rimaneggiato da un tipografo bolognese nel 1958 – Francesco Simoncini. Significa che se i libri italiani fossero nudi, senza copertine, sarebbe impossibile distinguere tra i vari editori se non sulla base della gabbia (il rettangolo di testo sulla pagina) e della carta. Una serie di libri presi a caso e fatti esaminare da un esperto ha dato il seguente risultato: in caratteri Simoncini Garamond sono i libri Bompiani, Sellerio, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, Feltrinelli, Salani, Longanesi, Guanda, Saggiatore, Nottetempo e Iperborea. Il carattere dei libri Einaudi, invece, si chiama Einaudi Garamond, perché fu commissionato da Giulio Einaudi nel 1956 a Francesco Simoncini, ma in realtà è un Simoncini Garamond con inconsueti e vezzosi accenti acuti su í e ú, anche se normalmente sono gravi. La narrativa italiana e straniera di Mondadori è in Palatino, che assomiglia al Garamond, alcuni lo chiamano il «Garamond tedesco», ma ha l'«occhio del carattere» – cioè il vuoto dentro le lettere – leggermente più grande, e le ascendenti e discendenti – cioè le stanghette delle b e delle p – leggermente più corte. Il Simoncini Garamond, insomma, si è imposto come standard.
- I caratteri sono gli atomi dell'editoria, l'elemento base della comunicazione stampata, come i mattoni per l'architettura o le note per la musica. Tutti li vedono, ma raramente qualcuno li guarda. Eppure rappresentano letteralmente il carattere di un testo e la faccia di un libro. In inglese, infatti, «carattere» si dice «type-face», mentre il temine «font» deriva dal francese medievale «fonte», che significa «fuso», l'etimologia è quella di fonderia. Il riferimento è alla macchina a caratteri mobili inventata da Johannes Gutenberg nel 1454 (o 1455) che ricavava i caratteri, appunto, dalla fusione del metallo. La storia dell'editoria scorre parallela a quella storia della stampa.
- Di fronte alle novità tecnologiche, i libri tendono a rispondere aggrappandosi alla propria fondazione, all'essere fatti di segni di inchiostro impressi su carta da caratteri mobili. Possono decidere di ignorare deliberatamente lo spirito del tempo, e forse il tempo, per rimanerne fuori.
- Nel 1972 al Reed College Steve Jobs si iscrisse a un corso di lettering tenuto da un monaco trappista di nome Robert Palladino. [...] «Imparai la differenze tra caratteri graziati e non graziati, sul variare la quantità di spazio tra le combinazioni di lettere, su ciò che rende grande la grande tipografia. Era bello, storico, sottilmente artistico in un modo che la scienza non può afferrare, e lo trovavo affascinante. Niente che avrebbe avuto nemmeno una speranza di trovare un'applicazione pratica nella mia vita. Invece dieci anni dopo, quando stavamo progettando il primo computer Macintosh, mi ritornò in mente e mettemmo tutto nel Mac». Nel 1984 il Macintosh permise di vedere sullo schermo, per la prima volta, quello che sarebbe andato in stampa. Dopo cinque secoli di stampa, scrivere e comporre coincisero: per stampare bastava rileggere e premere Invio e il foglio elettronico si sarebbe trasformato in un foglio di carta.
- Non c'è niente di resistente come i caratteri di stampa. A guardarli da vicino trasportano ancora scalpellini romani, stampatori rinascimentali, artisti novecenteschi e inventori di computer. Verba volant, scripta manent, dicevano quelli. Mentre la stampa cambiava, i libri sono restati immobili [...]
I primi tornarono a nuoto la notte del secondo giorno.[2]
Note
[modifica]- ↑ Da La piazza che non c'era, ilpost.it, 15 giugno 2023.
- ↑ Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
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