Gianfrancesco Turano

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Gianfrancesco Turano (1962 – vivente), giornalista e scrittore italiano.

Incipit di Fuori gioco[modifica]

Nel novembre del 1992, nove mesi dopo l'arresto di Mario Chiesa a Milano che ha fatto partire la sarabanda di Tangentopoli, «Il Messaggero» titola: «Arrestato un imprenditore, appalti miliardari». La descrizione, illustrata da foto segnaletica, recita: «Bella presenza, trentacinque anni, pistola in tasca, telefonino, è fidanzato con una delle figlie del costruttore Gianni Mezzaroma; l'ordine di cattura parla di turbativa d'asta e violazione di segreti d'ufficio». Il possesso di un telefonino è ancora una rarità degna di nota in cronaca, ma la pistola è regolarmente registrata. L'arrestato di bella presenza è Claudio Lotito, che nel luglio del 2004 diventerà proprietario della Lazio.

Ragù di capra[modifica]

Incipit[modifica]

«Siete una banca oppure no? Le ho fatto una domanda. Siete una banca? Allora nella vostra attività è compreso il rischio di impresa. Io non sto girando intorno a niente. Mi serve un altro mese per rientrare. Punto. Sessanta giorni e vi porto i soldi, due e sette più gli interessi che mi vorrete applicare. Fate voi: massimo scoperto, usura. Pago tutto. Però fra tre mesi: primo agosto 2000, se lo segni. Ha la mia parola e la mia parola è una. Se no, mi faccia fallire e non prendete un cazzo. Veda un po' lei. Poi però raccontiamo anche la storia dei Rolex, delle cravatte di Hermès ai settoristi e compagnia cantante».
Airaghi accese il rasoio elettrico e, tenendo il cellulare nella sinistra, incominciò a radersi la testa con la mano libera. I capelli castani si staccavano a ciocche.

Citazioni[modifica]

  • La spiaggia era chiarissima, infinita. Subito dietro, le case erano gettate in grumi vicino a una strada che doveva essere la statale 106 Reggio-Taranto. Risalendo, la costa si gonfiava in una collina che impennava per gradi. Un paese vero e proprio non si vedeva. Appena sotto la statale passò un treno con pochi vagoni. Fumava come nei film sul West. (p. 13)
  • Arrivò vicino alle barche in un bagno di sudore che, dalla camicia, aveva intaccato qui e là anche la giacca di lino.
    Gli uomini che lo fissavano, cinque metri più in là, vestivano di nero. Lana pesante. Alcuni portavano il panciotto. Sedevano su grandi pietre affondate nella sabbia. Il taglio degli abiti era grossolano. Le scarpe, nere e spesso con i lacci, scalcagnate, brizzolate di polvere.
    Dai taschini delle giacche spuntavano fazzoletti bianchi o a motivi stampati su fondo azzurro. Nessuno di loro sudava. Neppure Airaghi, quindi, volle ammettere di sudare, benché dal cranio rasato gli piovessero in bocca rivoli salati. Dominò la tentazione di scuotere la testa come un cane appena uscito dall'acqua. (pp. 15-16)
  • Il paese era brutto. Insisteva nella bruttezza con intenzione, al termine del lavoro svolto per decenni dagli abitanti concordi.
    Se la natura perforata dallo stradone fra i giallogrigi dei muri non fosse stata così bella, il visitatore avrebbe pensato al caso, alla povertà. Invece, le tracce che macchiavano la bruttura erano proprio negli edifici più vecchi e modesti, in qualche rudere colonico o in una casa di pescatori semidisfatta.
    La determinazione al brutto era stata un atto di pura volontà, in odio a quelle cose che erano di tutti, quindi di nessuno, quindi meritevoli del rispetto che si deve alle puttane. Una natura bella era solo più colpevole. (p. 20)
  • Giugno era il verde. Eruttato dall'Aspromonte fino alla riva del mare, occupava tutto con tante sfumature quanti sono gli altri colori messi insieme. Dopo quei primi giorni del mese avrebbe sceso la scala opposta, propagandosi nel giallo della sua morte man mano che la montagna inaridiva e il residuo delle fiumare si salmistrava sparendo in pochi giorni sotto il sole maturo. (p. 39)
  • Prima o poi perdono tutti, si disse Airaghi, anche i cagoni che pensano al uichènd e a dicembre già prenotano le vacanze per agosto. Lui, a dicembre aveva il più grande negozio di hi-fi di Milano. A maggio era già morto una volta e adesso stava per fare il bis, senza lagne. (p. 216)
  • «Voi non costruirete mai un cazzo», fu tutto quello che venne da dire ad Airaghi.
    «Milanese», replico 'zzi Saro, «vedi che qua è già tutto costruito, più di Milano e da prima. Ora vi saluto. Tante belle cose». (p. 222)

Explicit[modifica]

«A parte gli scherzi», disse, «che vuoi fare ora?».
Airaghi distolse lo sguardo dal felceto che spumava nel vento del sud e vide a poca distanza, appoggiate sul tavolino, le piante tozze e segnate dei piedi di sua madre.
«Cosa voglio fare?», ripeté. Torno a guardare il soffitto, l'artificio dei fini. Le felci muggivano all'avvicinarsi del temporale che caricava il sangue di elettricità portando ovunque semi profumati.
«Voglio farmi un altro bagno», disse Airaghi.

Bibliografia[modifica]

  • Gianfrancesco Turano, Fuori gioco. Calcio e potere. Da Della Valle a Berlusconi, da Preziosi a Moratti. La vera storia dei presidenti di serie A, Chiarelettere, 2012. ISBN 9788861902237
  • Gianfrancesco Turano, Ragù di capra, Dario Flaccovio Editore, Palermo 2005. ISBN 88-7758606-0