Gianni Savio

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Gianni Savio (2013)

Giovanni Savio (1948 – vivente), dirigente sportivo italiano.

Citazioni di Gianni Savio[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Non sono un fautore delle piccole squadre, io ho sempre avuto medie squadre con cui mi sono tolto grandi soddisfazioni. Riconosco il valore e la funzione delle grandi squadre ma non delle presunte grandi squadre. Oggi il ciclismo è un grande business che non consente 19 squadre World Tour, ma potrebbe arrivare a 15, perchè mancano i corridori. Ma lo si vede alle corse, fatta eccezione per Tour che è il terzo evento sportivo mondiale ed il paradiso ciclistico di tutti, poi però vediamo queste presunte grandi squadre, grandi solo nel budget, fare le comparse a Giro e Vuelta. Avevo fatto una statistica anni fa, ma mi sono fermato per non combattere contro i mulini a vento, allora c'erano squadre che non avevano mai piazzato un corridore nei primi cinque, forse una squadra ne aveva piazzato uno nei top ten, che per il budget che avevano non è nulla. Si vedevano corridori al foglio firma che non avevano entusiasmo perchè erano corridori delle seconde, terze squadre delle presunte "grandi" che facevano la corsa solo per allenarsi e questo ha iniziato a creare scompensi.[1]
  • In tutti gli sport tanti ragazzi che iniziano ad affermarsi ed ad avere dei soldi, quando iniziano ad avere una certa disponibilità economica perdono la testa.[1]
  • Se deciderò di non lasciare [il ciclismo], sarà solo per questi ragazzi. Sono come figli per me e so quanto sarebbero dispiaciuti. [...] Guarda qui. L'altro giorno ho fatto gli auguri di compleanno a un mio atleta di qualche anno fa. Ecco la risposta: "Grazie Gianni. Sai che, se hai bisogno, puoi contare su di me". Questo ti ripaga di tutti i sacrifici e ti convince a farne anche di più importanti, perché per questi ragazzi vale la pena.[2]
  • Io metto sempre in guardia gli atleti dalle illusioni e dall'ossessione per la vittoria. Le illusioni ti intrappolano, non ti permettono di vedere la realtà: non c'è cosa peggiore per un uomo. L'ossessione per la vittoria è cosa diversa dal voler vincere, che è buona dote per uno sportivo. Quando si è ossessionati dalla vittoria si perde lucidità, qualche volta si è disposti a commettere errori intollerabili, pur di vincere. In certi casi si arriva a giocare sporco. Ho sempre detto chiaramente ai miei ragazzi sino a dove, secondo me, sarebbero potuti arrivare. Alcuni lo hanno accettato, altri hanno preferito correre da chi assecondava quelle illusioni. Credo poi i risultati parlino chiaro.[2]

Io non sono Don Chisciotte: intervista a Gianni Savio

Davide Bernardini, suiveur.it, 28 marzo 2019.

  • Sono passati ormai [...] anni e questo sport, almeno ai miei occhi, continua a essere quel che è sempre stato: una maledetta passione. [«"Maledetta" in che senso? Come dobbiamo intendere questo aggettivo?»] In senso buono, ovviamente. Il ciclismo, seppur piccolo rispetto ai tanti altri nei quali entriamo e usciamo quotidianamente, è un universo a sé stante. E quindi è regolato dalle dinamiche che ben conosciamo dalla vita di tutti i giorni: alti e bassi, successi e sconfitte, gioia e delusione. Oggi vorresti smettere e domani sei ancora lì, più arrabbiato, appassionato e motivato di prima. Maledetto anche da un punto di vista esclusivamente manageriale. Prima gli onori pareggiavano gli oneri, adesso invece [...] è dura: ci sono più oneri che onori.
  • [«Gianni Savio c'era [...] nel periodo più buio del ciclismo, iniziato negli anni '90 e arrivato fino al decennio scorso»] È stato il momento dell'ipocrisia. C'era un vizio di forma: l'Epo era proibita ma non rintracciabile. Come se fosse legalizzata, praticamente. E ho la sensazione che alcune grandi case farmaceutiche avessero tutto l'interesse nel fare pressioni affinché l'Epo non venisse rilevata: ribadisco, però, che è solo una mia idea, non è una verità e non voglio accusare direttamente nessuno, dato che non ho nessuna prova reale in merito. È un discorso ampio che nelle ultime stagioni è stato affrontato più volte: da una parte c'è il ciclismo, che ha le sue colpe, con una buona parte di addetti ai lavori che non hanno fatto il necessario per combattere questa battaglia; dall'altra ci sono gli altri sport, che l'hanno sempre passata liscia facendo ricadere tutte le colpe solo sul ciclismo, il capro espiatorio perfetto. Quando sento dire che nel calcio, per esempio, il doping non serve, mi faccio una risata. Io vengo dal mondo del calcio, so come funziona: la tecnica conta, certo, ma per poter giocare il pallone bisogna averlo tra i piedi e per averlo tra i piedi bisogna arrivarci per primi. E per primi ci si arriva anche grazie alla condizione fisica, il paziente sul quale il doping opera. Le generalizzazioni le lascio agli altri: il ciclismo ha avuto le sue colpe e si è adoperato per migliorare la sua situazione, tanti altri sport sono stati tutelati ma questo non significa che abbiano sempre agito in malafede.
  • Nelson "Cacaíto" Rodríguez è il ciclista che mi ha dato di più. Andò così. Ero il team manager della ZG Mobile e presi questo ragazzetto colombiano che veniva da una bella batosta: la Kelme lo aveva rispedito in Colombia giudicandolo non adatto al ciclismo professionistico. Quando arrivò da noi, la mia idea era quella di affiancarlo a Leonardo Sierra: il ruolo di luogotenente lo avrebbe fatto sicuramente crescere. [...] Insomma, in breve tempo mi accorsi che "Cacaíto" Rodríguez non solo andava bene in salita ma recuperava con un facilità impressionante. Gli dissi che avrebbe dovuto abbandonare la mentalità del gregario per abbracciare quella del capitano. Al Tour de France del 1994, nella tappa di Val Thorens, vinse Nelson "Cacaíto" Rodríguez: secondo Ugrumov, terzo Pantani, quarto Virenque, quinto Indurain e sesto Zülle. Una soddisfazione enorme.
  • [Su José Rujano] Lo lanciai gradualmente fino al podio del Giro d'Italia 2005. Avrebbe potuto fare grandissime cose: era forte in salita e si difendeva a cronometro. Un campione dal punto di vista atletico ma con una mentalità particolare. È venuto a trovarmi [...]. Abbiamo scambiato due parole [...]. Gli ho ricordato il corridore che avrebbe potuto essere e che invece non è stato. "Tu tenía razón", continuava a dirmi.
  • Ognuno di noi ha pregi e difetti, e questo lo sappiamo più o meno tutti. Io credo d'avere intuizione. La capacità di poter leggere in anticipo situazioni che si verificheranno nell'immediato futuro: non saprei come altro descriverla. E non ci sono leggi, sintomi o segnali: è un qualcosa che si sente, che io sento quando mi trovo a prendere certe scelte.
  • [«Com'è nato il rapporto col Sudamerica?»] Era il 1989 e invitarono la mia squadra al Tour de las Américas. Era una corsa bella e importante, ricordo che in quegli anni partecipavano anche Bugno, Rooks, Theunisse, Delgado. Fummo invitati perché uno dei miei corridori, Roberto Gaggioli, aveva fatto bene negli USA vincendo anche la classica di Philadelphia, gara prestigiosa del calendario americano. Insomma, lo conoscevano e per questo ci invitarono. Rimasi affascinato fin da subito dal piglio e dal carattere coi quali una popolazione così povera come quella venezuelana riusciva ad andare avanti, a dare così tanto colore a giornate nelle quali non c'era niente da ridere. Un mondo fatto di contraddizioni e allegria. La mentalità positiva che si respirava in quelle terre mi entrò dentro, ecco. E così anche in Colombia. E fu così, un po' per passione e un po' grazie ad alcune amicizie che si instaurarono col tempo, che il mio destino e quello del Sudamerica si incrociarono. Mi piace ricordare le mie esperienze da commissario tecnico della Colombia prima e del Venezuela poi. [... Non posso non ricordare la medaglia d'oro vinta da Santiago Botero nella prova a cronometro dei campionati del mondo di Zolder: era il 2002 [...]. E anche le mie squadre hanno risentito di questo rapporto.

«Questa mia maledetta passione non si spegnerà mai!»

Intervista di Marco Francia, cicloweb.it, 14 febbraio 2023.

  • [...] in Colombia ho credibilità e popolarità, visti tutti i corridori di quel Paese che ho lanciato nel professionismo, su tutti Egan Bernal.
  • [«Per i team di medio livello [...] le cose si sono fatte sempre più difficili, negli ultimi anni: le squadre del World Tour sono sempre più organizzate, in grado di scovare talenti ovunque e di farli crescere nelle loro Continental o in quelle a loro affiliate»] Le squadre maggiori cannibalizzano tutto. Per sopravvivere e competere con le grandi, certe squadre devono fare i miracoli. Non si può pensare di garantire sempre un certo ricambio generazionale, di scoprire nuovi talenti uno dopo l'altro, tanto più ora che anche le squadre del World Tour fanno passare professionisti corridori giovanissimi. [...] Trovare un equilibrio economico-sportivo per le medie squadre è una vera e propria impresa.
  • [«Cosa rende così irrinunciabile la vita nelle corse?»] Il ritrovo di partenza, l'adrenalina della corsa, il momento magico dell'arrivo... Ma anche la grande soddisfazione di scoprire dei giovani, lanciarli nei professionisti e, in alcuni casi, riuscire a cambiare economicamente la vita di una persona. Sono soddisfazioni uniche.

Citazioni su Gianni Savio[modifica]

  • Molti italiani parlano male di Savio, ma è solo per il suo successo. Le persone sono gelose del fatto che abbia scovato ciclisti come Bernal ma, se lui fosse scomparso, ora il ciclismo italiano sarebbe finito. (Damiano Cunego)

Note[modifica]

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