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Giorgio Gemisto Pletone

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Giorgio Gemisto Pletone

Giorgio Gemisto Pletone (1355 circa – 1452), filosofo bizantino.

Orazione in morte della imperatrice Elena Paleologina[modifica]

Incipit[modifica]

Non sarà egli cosa convenevole e giusta il rendere onore di lodi alla madre [Elena] dei nostri imperatori e duchi, passata novamente di questa vita; o sarà ella questa un'impresa agevole e proporzionata a qual che si sia lodatore? Non troveremo però che questa donna, tra quelle che furono collocate in pari grado di fortuna, abbia molte pari; e non sono poche le virtù e gli ornamenti che di lei si possono ricordare.

Citazioni[modifica]

  • La nazione dei traci è antica, e delle maggiori che sieno al mondo: io non dico solamente di quella di qua dal Danubio, le abitazioni della quale si distendono per insino dal mar Nero all'Italia; ma intendo parimente di quell'altra parte di là dal Danubio, i quali favellano la medesima lingua che questi di qua, e tengono un tratto di paese che va infino all'oceano che è da quella banda, e infin presso a quel continente che per lo estremo del freddo è disabitato: ed anco questa parte è molta, e più assai di quella di qua dal Danubio. Questa gente, per essere animosa e di non rozzo sentimento, non fu senza il suo pregio insino ab antico. Perocché colui che in Atene instituì quei misteri eleusini, il suggetto dei quali si era l'immortalità dell'anima, fu Eumolpo trace; e da essi traci è fama che la Grecia apprendesse il culto delle Muse. Ora una gente usata di onorare le Muse, non può essere goffa né incólta; e così una che abbia riti e credenze attenenti alla immortalità dello spirito umano, non può essere d'animo ignobile. (pp. 197-198)
  • E in che altro si può dir che consista la rettitudine più propriamente, che in non far pregiudizio, di volontà nostra, a chicchessia, e far bene a più che si può? (p. 199)
  • Di poi, non bisogna che altri, attendendo a quello che l'uomo ha comune cogli altri animali, conchiuda però che tutta la nostra essenza sia prossima a quella delle bestie; ma vuolsi eziandio guardare a quelle altre operazioni dell'uomo che hanno più del divino, e di qui conchiudere che in noi debba anco essere un'altra essenza, molto più divina di quella degli animali. (p. 200)
  • E certo in niuna maniera è credibile che Iddio, con essere sommamente buono, e rimoto da qualunque invidia, non abbia nelle sostanze prossime a sé, oltre agli altri doni, conferita eziandio l'immortalità. Che se quelle sono immortali, ancora quel tanto della nostra essenza che è proporzionata alla loro, sarà immortale. (p. 201)
  • Coloro eziandio che si uccidono da sé stessi (come che in ciò adoprino secondo ragione o altrimenti, che questo non rileva nulla a quel che noi vogliamo provare), danno a conoscere che l'uomo è composto di due diverse essenze, e come l'una di esse è immortale, e l'altra mortale. Perocché niuna cosa è al mondo di tal natura, che essa alcuna volta appetisca e procacci la distruzione propria; anzi tutte le cose sempre, con tutto il potere, procacciano di essere e di conservarsi. Laonde è impossibile che l'uomo, quando egli si uccide da sé medesimo, uccida col suo mortale il suo stesso mortale; ma sì bene egli spegne la natura mortale che è in lui, colla natura immortale. (pp. 201-202)
  • Adunque con buona ragione ancora noi abbiamo detto non altro essere le morti, sì dei congiunti e degli amici, e sì le nostre proprie, se non peregrinazioni della più degna parte dell'uomo ad un qualunque luogo a lei accomodato, e separazioni degli uni dagli altri per alcun tempo solamente, e non già in perpetuo. (p. 202)

Citazioni su Giorgio Gemisto Pletone[modifica]

  • Tace la fama al presente di Giorgio Gemisto Pletone costantinopolitano; non per altra causa se non che la celebrità degli uomini, siccome, si può dire, ogni cosa nostra, dipende più da fortuna che da ragione. E niuno può assicurarsi, non solo di acquistarla per merito, quantunque grande, ma acquistata eziandio che debba durargli. Certo è che Gemisto fu de' maggiori ingegni e de' più pellegrini del tempo suo, che fu il decimoquinto secolo. Visse onorato dalla patria; e poi trovatosi sopravvivere alla patria, ed al nome greco (o, come esso diceva, romano), fu accolto ed avuto caro in Italia, dove stette gran tempo e morì; ed ebbe una splendidissima riputazione in questa sua nuova patria, e medesimamente nelle altre province d'Europa, per quanto si stendeva in quei tempi lo studio delle lettere. (Giacomo Leopardi)

Bibliografia[modifica]

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