Giovanni Pettinato

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Giovanni Pettinato (1934 – 2011), storico e assiriologo italiano.

I sumeri[modifica]

  • La Ziqurrat di Babilonia, con i suoi sette piani, deve senz'altro avere originato la leggenda biblica secondo cui l'uomo aveva voluto con la sua costruzione accostarsi superbamente al cielo; ma la menzione di Ur nel libro della Genesi non può non far venire in mente l'esempio più fulgido di tale tipo di costruzione templare, la Ziqurrat della città di Ur. (p. 29)
  • Basti qui ricordare che proprio ai Sumeri va ascritto il merito di aver inventato la prima forma di scrittura del mondo, la scrittura cuneiforme, che, assieme alla urbanizzazione, ha costituito la base imprescendibile che ha permesso all'umanità tutta di entrare nella Storia. (p. 31)
  • L'ipotesi più accreditata archeologicamente – su questo punto si ha l'unanimità assoluta degli studiosi – è che i Sumeri non siano autoctoni, ma che siano immigrati in un imprecisato momento della preistoria nella Bassa Mesopotamia. Circa il luogo di provenienza prevale ancora oggi l'ipotesi di una migrazione dalla Valle dell'Indo, per via marittima. In tal senso può infatti venire spiegata la denominazione che i Sumeri danno a se stessi di Teste Nere, come pure l'importanza che riveste nella mitologia sumerica il paese di Dilmun, da ricercarsi nelle odierne isole Bahrein nel Golfo Persico-Arabico, chiamato in un testo addirittura ki-en-gi, cioè «Sumer». Non vanno però taciuti altri indizi che fanno ritenere altrettanto probabile una loro provenienza dalle montagne del Caucaso, la qual cosa potrebbe rendere ragione di uno degli appellativi del dio supremo del Pantheon, Enlil, come «montagna», e forse anche la struttura templare per eccellenza dell'architettura religiosa sumerica, la Ziqurrat, che si eleva al cielo come appunto una montagna – del resto, in un mito recentemente editato, viene raccontato che Enlil creò proprio nella montagna il grano, che fu dato poi in dono ai suoi Sumeri. (p. 59)
  • Le divinità sumeriche erano inscindibilmente legate alle città da esse tutelate e ne condividevano appieno il destino. Non per nulla uno dei loro epiteti più frequenti è «cresciuto/a assieme alla città». (p. 303)
  • I popoli mesopotamici, e tra essi i Sumeri, furono sempre coscienti della fragilità umana di fronte ai violenti fenomeni della natura. La loro esistenza minacciata continuamente dalla potenza della natura – si ricordi che la tradizione del Diluvio universale ebbe origine proprio a Sumer – comportava una lotta ostinata per la sopravvivenza. Non fa quindi meraviglia che il Sumero considerasse la natura non come inanimata, ma come piena di vita e la sperimentasse come un «tu» più potente dell'«io» umano. Proprio sotto questa visuale sarebbe sorta e si sarebbe sviluppata la religione sumerica, nella quale il concetto trascendente di «divino» e «divinità» fu sempre assente. Gli dèi sarebbero la personificazione della natura e dei suoi singoli fenomeni. Nella concezione del divino si ebbe però uno sviluppo in due fasi: 1) dapprima gli dèi si identificavano con le varie manifestazioni della natura, così come queste venivano sperimentate dall'uomo; 2) solo nell'età storica essi ricevettero una veste antropomorfa. (p. 307)
  • [Su Enlil] Egli fu, senz'altro, la divinità principale dei Sumeri per tutto il periodo della loro storia: è lui, infatti, che separa cielo e terra, che costella il firmamento e fa sorgere sulla terra la vita: piante, animali e uomo. (p. 309)
  • An è un deus quiescens, non sembra esercitare alcuna funzione attiva né nel mondo degli dèi né nel mondo degli esseri creati. (p. 311)
  • I Sumeri, riflettendo sull'organizzazione del mondo celeste, non hanno fatto altro che proiettare il loro sistema statale fondato sul principio monarchico. Per questo leggiamo in un mito che gli dèi principali, all'inizio dei tempi, si assegnano le mansioni, mettendosi a capo dei vari regni: An prese il cielo, Enlil la terra, mentre ad Ereshkigal, la regina degli Inferi, furono donati gli Inferi; ad Enki non fu assegnato alcun regno, per cui si dovette accontentare delle acque del sottosuolo terrestre. (p. 311)
  • Differentemente dagli Accadi, i quali consideravano il destino dell'uomo piuttosto negativamente, i Sumeri hanno giudicato il lavoro positivamente: l'uomo, per i Sumeri, era il continuatore dell'opera divina sulla terra e, lavorando, si assicurava la benedizione degli dèi. Del resto gli dèi si erano premurati di porre le condizioni adatte per un buon svolgimento del lavoro, così come apprendiamo dai succitati miti della organizzazione del mondo. Il lavoro dell'uomo consisteva soprattutto nell'agricoltura e nella costruzione dei templi per gli dèi; egli doveva quindi pensare al sostentamento proprio e degli dèi. Il Sumero accettò tale scopo della creazione come una missione, e gli stessi re amarono farsi rappresentare con la cesta da lavoro sulla testa. (pp. 324-325)
  • I Sumeri ebbero molta cura dei loro morti; già nei periodi preistorici e protostorici i morti venivano seppelliti in urne speciali ripiene di doni, la qual cosa fa supporre la credenza che il morto continuasse in un certo senso a vivere anche dopo la morte. Anche la posizione del cadavere nella tomba – adagiato come un dormiente oppure raggomitolato come l'embrione nel seno materno – ci induce a concludere che i Sumeri fossero convinti che l'uomo non ricadesse nel nulla. (pp. 326-327)
  • Per quanto, quindi, i Sumeri credessero in una vita oltreterrena, non conoscevano il concetto di retribuzione, come del resto era assente nella loro cultura la concezione del peccato. Non fa meraviglia che essi abbiano cercato in tutti i modi di prolungare la vita terrena: la più grande benedizione era quella di raggiungere un'età molto avanzata. La triste sorte che li aspettava nell'aldilà li spronava a immortalarsi in questa vita con opere imperiture, e la tematica presente in tutti i poemi sumerici di Gilgamesh è appunto il «raggiungimento di un nome duraturo e perenne». (p. 331)
  • Si è accennato che i Sumeri, pur credendo nell'aldilà, non avevano elaborato il concetto di retribuzione. Ciò non ha impedito l'esistenza di una vita morale, che consisteva soprattutto nell'osservanza fedele delle leggi divine. L'obbedienza è la virtù fondamentale dei Sumeri: obbedienza al dio creatore, al re, suo rappresentante nello Stato, e ai genitori nella famiglia. Gli dèi promettono una vita lunga e l'abbondanza dei beni solo a chi è obbediente, ed è il dio Sole, Utu, il garante di tutte le leggi divine nel mondo: egli giudica i buoni e punisce esemplarmente i cattivi. (p. 338)
  • Gli studi sulla vita sociale dei Sumeri confermano [...] la preoccupazione costante e continua per una giustizia sociale; non è certo a caso che la donna e lo schiavo godessero presso i Sumeri di più diritti di quanti ne avrebbero avuto presso i popoli semiti venuti dopo. (p. 339)

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