Giulio Meotti

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Giulio Meotti (1980 - vivente), giornalista e scrittore italiano.

Da Chi ispira Putin

ilfoglio.it, 18 marzo 2018.

  • Per capire Putin, che sembra ormai estendere ovunque la sua lunga mano, da Salisbury, in Inghilterra, alla Siria, si deve comprendere il suo filosofo preferito, lo scrittore Ivan Ilyin [...]. Tutti, da Walter Laqueur a Peter Conradi, ovvero gli storici che hanno scritto del putinismo, concordano che Ilyin è il cuore intellettuale della ventennale presidenza Putin. [...] La sua visione dell'identità nazionale russa sembra oggi fatta su misura per il putinismo come forza contro-globalista nel mondo.
  • Non sorprende che Putin abbia inserito le opere di Ilyin in una lista di letture per i membri del partito "Russia Unita": Ilyin era critico nei confronti della democrazia occidentale e voleva un governo forte in accordo con l'eredità autocratica della Russia. Non credeva nella libertà religiosa come la maggior parte degli occidentali intende oggi questo termine, sostenendo invece il ruolo unico nella formazione della società russa che ha avuto la chiesa ortodossa. Fu ostile alla borghesia occidentale quanto ai bolscevichi.
  • Gumilev, specializzato in civiltà antiche, orientalista ed etnologo, fu sempre impegnato nella rivalutazione positiva del ruolo avuto dai popoli mongoli nella storia russa. Secondo Gumilev, il mondo intero era contagiato dall'"Antisistema", a eccezione dell'antica Rus. Regno dell'Antisistema è oggi l'Europa. È l'utopia degli slavofili, che credono nel glorioso avvenire della sola Russia, nella superiorità della chiesa ortodossa e del popolo russo, predestinato dalle sue qualità etico-spirituali a un ruolo dominante, anche con l'uso della forza.
  • Gumilev divenne un rinomato esperto delle steppe dell'Eurasia interiore: gli Sciti, gli Xiongnu, gli Unni, i Turchi, i Khitai, i Tanguti e i Mongoli. La loro storia non ha conosciuto l'Illuminismo, ma un ciclo infinito di migrazione, conquista e genocidio. Ogni centinaia di anni, i nomadi sono stati spazzati via dalle steppe, saccheggiando i fiorenti regni dell'Europa, del medio oriente o dell'Asia, per poi sparire nella nebbia della storia con la stessa rapidità con cui erano sopraggiunti. I vincitori di queste lotte non erano le società che guidavano il mondo in tecnologia, ricchezza e ragione. Invece, per Gumilev avevano passione. E in questa idea c'era il germe di un nuovo nazionalismo russo. L'Illuminismo, sotto forma di teorie sociali europee avanzate, aveva portato la Russia alla rovina, mentre c'era un'armonia nella natura selvaggia degli Unni, dei Turchi, dei Mongoli.
  • Entrare nel mondo dei filosofi preferiti di Putin significa varcare la porta di un mondo fatto di sofferenza, di melodramma, di misticismo, di complotti e di visioni escatologiche.
  • Ilyin era un sostenitore dell'idea che la Russia era una civiltà a sé stante, un misto tra la cultura bizantina cristiana e la forza politica mongola asiatica. [...] mise in guardia contro il linguaggio occidentale. Le parole "democratizzazione", "liberalizzazione", "libertà" erano solo mezzi per distruggere l'unità e lo spirito della civiltà russa. Il potere centrale che immaginava non era totalitario, ma piuttosto una autocrazia simile a quella della vecchia monarchia russa. Sotto questo regime ci sarebbe stata libertà, ma non anarchia, e il potere centrale, come il leviatano di Hobbes, avrebbe servito il popolo, assicurando l'ordine e la pace sociale.

Da Il libro di Putin

ilfoglio.it, 26 marzo 2022.

  • [Su Rossija i Evropa di Nikolaj Jakovlevič Danilevskij] Fu dibattuto da tutti i grandi del tempo, da Fëdor Dostoevskij che lo definì "la Bibbia di ogni russo", al filosofo Vladimir Solovev, che lo attaccò per eccessiva slavofilia. Dopo un'edizione nel 1895, tuttavia, il libro sarebbe andato fuori stampa per un secolo. La Rivoluzione d'Ottobre lo vedeva come reazionario, tossico. Il Dizionario enciclopedico sovietico del 1989 definisce il suo autore un pensatore che giustifica "le aspirazioni scioviniste del regime zarista". Il libro riapparirà soltanto nel 1991, quando Mikhail Gorbaciov mise fine all'Unione Sovietica. Fu stampato in 70 mila copie, che andarono a ruba in pochi giorni. Soltanto uno studioso occidentale nel 1967 si accorse dell'importanza di questo libro, Robert MacMaster, che pubblicò il saggio "A Russian totalitarian philosopher".
  • Danilevski, una sorta di precursore di Samuel Huntington, pensava alle relazioni internazionali in termini di scontri tra blocchi di civiltà e, come l'americano, denunciava l'illusione di un'omogeneizzazione del mondo sul modello occidentale. Danilevski considerava il popolo russo "scelto da Dio" per preservare un'autenticità culturale e una "energia vitale", di cui l'occidente, frivolo e imbastardito, sarebbe ormai privato. Danilevskij ha costruito l'Idea Russa in contrapposizione ai valori di un occidente cui andava negata la pretesa universalista. Un concetto che oggi torna con regolarità nella retorica conservatrice del Cremlino.
  • Per Danilevskij la civiltà europea non è universale, come ritenevano gli occidentalisti. Nella sua visione non esistevano valori o civiltà universali, ma "tipi" storico-culturali autonomi (ne indicava dieci), ognuno dei quali con un proprio, specifico processo di sviluppo. Danilevskij invocava cioè, anche come momento di mobilitazione culturale, la creazione di un'Unione degli Slavi da contrapporre alla naturale ostilità dell'occidente e alla sua aspirazione all'egemonia universale. In questa battaglia, la Russia può contare sia sulla dimensione del suo Impero, la cui espansione non sarebbe conquista coloniale, ma pacifico e naturale insediamento, sia sulla "particolarità etica" del suo popolo che deriva dall'osmosi con chi lo dirige. I russi sono inoltre il "popolo incaricato da Dio di preservare la verità religiosa nel mondo". Hanno un'energia primordiale derivante da steppa e foresta, dalla forza che esprime la natura del loro paese. Una "linfa vitale" di cui gli occidentali sarebbero sprovvisti. Secondo Danilevskij, una guerra con l'occidente era l'unico modo in cui la Russia avrebbe potuto ottenere una posizione di rilievo a livello internazionale.
  • Reazionario, radicale, lontano dalle idee di democrazia, libertà, eguaglianza, Leont'ev mise in guardia dal potere corrosivo dell'Europa sulla forza morale della Russia. In una delle sue opere più importanti, "Bizantinismo e mondo slavo", come Danilevskij profetizzò un'Europa federale che avrebbe inglobato la Russia, privandola della sua specificità. Leont'ev, influenzato da Danilevskij, articolava una teoria della civilizzazione che prevede tre fasi di sviluppo: un primo periodo di semplicità, una fase di "cvetušcaja složnost'" (complessità fiorente) che rappresenta il momento più alto nell'evoluzione di una nazione e, infine, un tempo di inevitabile declino. Leont'ev ammira la cultura occidentale medievale, ma considera l'Europa moderna in uno stato di irreversibile decadenza. Mosca non deve dunque imitare l'Europa, rischiando essa stessa il declino, ma impegnarsi a fondare una nuova civiltà.

Da Ceausescu, umanista e dittatore

ilfoglio.it, 9 dicembre 2019.

  • Fu una satrapia duocratica quella di Nicolae ed Elena Ceausescu, il conducatòr vegetariano che disobbedì a Mosca flirtando con l'occidente e facendosi perdonare metodi alla Pol Pot, l'apprendista calzolaio che si faceva confezionare gli abiti con stoffa pregiata importata, l'"amico del popolo" che impose al popolo l'autarchia socialista e che dal popolo fuggì con un elicottero sul tetto del suo faraonico palazzo presidenziale, per essere poi abbattuto da una raffica di mitra il giorno di Natale di trent'anni fa. Una surreale monarchia socialista familiare dove anche la carta era di tale scarsa qualità che i libri si deterioravano rapidamente, dove un cittadino su tre era informatore della Securitate, dove migliaia di orfani contrassero l'Aids e i manicomi si riempirono di oppositori, dove si realizzò la "piena uguaglianza" tramite la fame, dove fu istituito il coprifuoco domenicale, dove la televisione trasmetteva soltanto immagini di propaganda dei coniugi con musichette di sottofondo, dove le luci delle strade venivano spente e quelle delle case non dovevano superare la quota fissa di watt, dove fu razionato non solo il carburante ma anche il cibo (cinque uova e cinquanta grammi di burro al mese) in nome della "lotta all'obesità", dove i maiali venivano esportati all'estero tranne i piedi di porco che rimanevano in patria a "sfamare" la popolazione, dove si calcola che oltre diecimila persone siano sparite, mentre nelle regge presidenziali divennero leggendari gli arredamenti da Re Sole, l'argenteria, le pellicce, i marmi.
  • Elena Ceausescu, che aveva fatto solo le scuole medie inferiori, fu onorata da ben quindici lauree honoris causa. In Italia, nel 1980, uscì per la SugarCo un libro in cui si leggeva: "Prima di passare al libro credo che sia importante accennare alla personalità e all'attività del suo illustre autore, l'accademico dottore ingegnere Elena Ceausescu. Scienziata di fama internazionale, copre attualmente anche le cariche di presidente del Consiglio nazionale per la scienza e la tecnologia e direttore generale dell' Istituto centrale per la chimica". La firma era di Antonio Carrelli, presidente dell'Accademia nazionale dei Lincei. Il celebre genetista Giuseppe Montalenti nel 1983 scrisse invece la prefazione a un secondo libro della Ceausescu, "Nuove ricerche nel campo dei composti macromolecolari". La presidente della Camera Nilde Iotti, intanto, scriveva la prefazione del libro "Romania, socialismo, collaborazione e pace".
  • Se si calcola il numero di opere encomiastiche dedicate a Ceausescu che furono pubblicate durante gli anni Settanta ed Ottanta, l'Italia era al primo posto al mondo con 17 volumi, contro i sei della Gran Bretagna, i cinque della Francia e i tre della Repubblica Federale Tedesca.

Da Povera Armenia, sorella orfana dell'Europa e sentinella di civiltà

ilfoglio.it, 7 ottobre 2023.

  • [Sull'Armenia] Un paese piccolo, piccolissimo. Meno di trentamila chilometri quadrati per tre milioni di abitanti. Un secolo sul ciglio della morte, l'Armenia è sopravvissuta anche se non vive ancora in pace con il suo passato e i suoi vicini. Un popolo sovraccarico di memoria. Una terra di pietra, che la leggenda vuole che, dopo la creazione del mondo, Dio avrebbe scelto come luogo per riversare le rocce in eccesso. Un popolo di commercianti poliglotti, di viaggiatori, di poeti, di mistici e di contadini, che oggi abita un decimo dell'Armenia storica. Un popolo sempre sull'orlo della sparizione e la cui chiesa, durante le purghe sovietiche, ha pagato un prezzo pesante.
  • In Italia la causa armena è "per pochi", per usare un eufemismo. Non tira in televisione. I giornali non se ne occupano, se non quando (come in un rito stanco come per la Shoah) c'è da commemorare il genocidio. Si contano su una mano gli intellettuali e gli scrittori coinvolti in questa causa che "non rende", in termini mediatici e politici. Che vuoi che siano tre milioni di cristiani sopravvissuti a un genocidio in balia delle onde di un oceano islamico?
  • [Sull'offensiva azera nel Nagorno Karabakh del 2023] Donne, uomini, anziani che tirano fuori i vecchi fucili usati nella guerra del 1994, l'unica cosa che li separa da un nuovo sfollamento di massa, come quello che abbiamo visto in diretta mondiale nei giorni scorsi dall'Artsakh, come gli armeni chiamano il Nagorno Karabakh. Fra i caduti, molti di 40 e 50 anni, riservisti e volontari, anche professori universitari. Una guerra di popolo, come quella ucraina. E quando la guerra è di popolo, le scene della disfatta sono tremende.
  • [Sull'offensiva azera nel Nagorno Karabakh del 2023] L'anziana che dice addio al villaggio, l'uomo che bacia la casa, un altro che salva i peluche dei figli prima di dare fuoco a tutto, un preside che brucia la propria scuola, chi porta via le tombe, i ragazzi che formano un cerchio e intonano canti antichi mentre dicono addio alle chiese... L'armeno è il "popolo fedele".
  • È attraverso il suo incrollabile attaccamento al cristianesimo che l'Armenia è riuscita a mantenere la sua identità anche se è stata privata, per 1.500 anni, della sua indipendenza e della sua struttura statuale.
  • L'Armenia ha visto passare gli arabi, i bizantini, i mongoli, gli ottomani. La sua popolazione ha dovuto più volte scegliere l'esilio e la dispersione. Tuttavia, non ha mai smesso di essere una nazione.
  • [Sul genocidio armeno] Gli artefici del genocidio si festeggiano oggi nelle scuole come nelle strade della Turchia di Erdogan, che vorrebbe piazzare le tende del Sultano nel giardino della civiltà armena: Talaat Pasha ha diritto al suo viale ad Ankara e una scuola porta il suo nome a Istanbul. E ora anche una strada a Stepanakert, la città armena del Nagorno Karabakh da cui sono scappati in 70 mila.
  • [Sul conflitto del Nagorno Karabakh] Dopo il crollo dell'Unione sovietica nel 1991, il Nagorno Karabakh, dove ci sono alcune delle chiese armene più antiche, non ha mai fatto parte dell'Azerbaijan, e i cittadini della regione autonoma avevano proclamato la loro indipendenza con un referendum. La popolazione era per il 97-99 per cento di etnia armena e il popolo decise di uscire dall'Unione sovietica come uno stato indipendente, come tanti altri stati che ne sono usciti, come ha fatto l'Azerbaijan poco dopo. Già dal 1988 e poi dopo il crollo dell'Unione sovietica gli azeri (che sono i turchi del Caucaso) hanno cominciato ad ammazzare gli armeni a Sumgait e in Nakhichevan dove hanno anche distrutto tutti i monumenti armeni e un intero cimitero con oltre diecimila croci armene finemente scolpite (khatchkar).
  • [Sull'offensiva azera nel Nagorno Karabakh del 2023] [...] ora che è caduto il Nagorno Karabakh, trema Yerevan. [...] A sentire il capo dello stato turco parlare degli armeni come dei "resti della spada", si dubita che [gli azeri] abbiano finito. Sentendo il suo vassallo azero Ilham Aliyev affermare il suo desiderio di "cacciarli via come cani" dall'Artsakh o anche dal sud dell'attuale Armenia (Syunik), viene da dubitare che il genocidio sia una pagina di storia e basta. A vedere anche la sua politica di distruzione delle tracce della civiltà armena nei territori conquistati durante la "guerra dei 44 giorni" (settembre-novembre 2020), viene da dubitare: i turchi non fecero la stessa cosa tra il 1915 e il 1922, distruggendo 1.036 chiese e monasteri e 691 istituzioni religiose?
  • Se non ci fosse stato il genocidio, con una popolazione di due milioni di armeni nel 1915, senza contare le due guerre e 300 mila armeni uccisi durante i massacri Hamidiani del 1909, oggi avremmo potuto avere 3,5-5,5 milioni di armeni in Turchia. Se non ci fossero stati gli altri massacri ci sarebbero potuti essere 4-6,2 milioni di armeni. La Turchia oggi avrebbe potuto avere più armeni della Repubblica d'Armenia.
  • [Sull'offensiva azera nel Nagorno Karabakh del 2023] Nessuno oggi si è mosso per gli armeni. E in Armenia il dopoguerra sembra sempre un anteguerra. È come se il genocidio del 1915 non fosse avvenuto e la lunga via della croce di questo popolo continuasse per sempre. Questa isola democratica e cristiana nel Caucaso è rimasta sola: abbandonata dai russi cinici e affaccendati altrove, lontana dai radar dell'America, inservibile all'Europa nel grande gioco energetico, la piccola "Gerusalemme del Caucaso" attende come in un supplizio cinese un altro giro della storia.
  • Gli armeni sono la sentinella dell'Europa. C'è sempre un cielo carico di nuvole nere sopra di loro e da cui piovono bombe, odio, volontà di sterminio e di sottomissione, abbandono. Ma gli armeni ci sono ancora. Verranno di nuovo. Il ritorno dei sopravvissuti e dei loro discendenti ha richiesto molto tempo. Ma l'hanno fatto. Lo fanno sempre.

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