Walter Laqueur

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Walter Ze'ev Laqueur (1921 – 2018), storico e giornalista statunitense.

La Repubblica di Weimar[modifica]

  • Sotto un certo aspetto fu sintomatico che la sola idea di «amare la democrazia o la repubblica» costituisse di per sé un problema, come se un sistema politico fosse da riprovare se non era capace di suscitare sentimenti di questo genere. Un'idea che per i francesi e gli inglesi sarebbe stata assurda, un buffo concetto pervaso di esaltazione romantica. Ma il fatto è che moltissimi tedeschi erano per l'appunto romantici nel loro atteggiamento di fronte allo stato. E la repubblica, dacché era veramente poco romantica, per loro non poteva essere altro che «mal amata». (cap. I, pp. 13-14)
  • Alcuni scrittori tedeschi, compresi Thomas Mann e altri grandi spiriti dell'epoca, peccavano d'una spiccata propensione ad attribuire eccessiva importanza alla Bildung; soltanto a poco a poco si resero conto che anche gli incolti potevano essere umanitari e democratici per istinto, così come uomini coltissimi potevano farsi propugnatori di ideologie spietatamente distruttive e diventare addirittura comandanti di Einsatzgruppen delle SS. (cap. II, p. 45)
  • Il tentativo di classificare gli intellettuali prendendo come criterio linee politiche ben definite equivale a una navigazione in mezzo agli scogli sommersi. La vita culturale non ha paralleli parlamentari; i problemi dibattuti, in genere, non sono politici e di solito i voti non vengono dati in base all'affiliazione partitica. (cap. II, p. 59)
  • Ma che cos'era il Kulturbolschewismus? Gli intellettuali di destra avevano idee estremamente confuse in materia e in maggioranza davano un giudizio grottescamemte sbagliato sulla politica culturale del comunismo [...]. Non capivano che l'atteggiamento comunista di fronte alla bohème non differiva granché, in fondo, dal loro; non si erano accorti che nell'Unione Sovietica la politica culturale aveva mutato corso, dopo un breve interludio sperimentale, e adesso faceva cadere l'accento sui valori eroici, positivi; non si rendevano conto che sotto sotto, nella presa di posizione contro il «modernismo malsano», la destra e gli stalinisti erano fratelli. (cap. III, p. 112)
  • [Gli intellettuali di destra] A furia di denigrare l'intelletto e di scagliarsi contro il razionalismo, avevano finito con lo scalzarsi il terreno sotto i piedi. Perché, una volta stabilito definitivamente che le forze motrici erano la vitalità, il sangue, il mito e la volontà di potenza e che sarebbe stato ozioso sottoporli a un'analisi critica, ne conseguiva che gli esegeti intellettuali non erano più necessari. Si trattava di elementi che ciascuno poteva percepire da sé, le interpretazioni si equivalevano tutte, ciascuno era il proprio ideologo... e il Führer l'arbitro supremo. (cap. III, p. 118)
  • [Il tramonto dell'Occidente di Oswald Spengler] Aveva invocato inutilmente Clio; come poesia le sue visioni sarebbero state irrefutabili, come opera accademica fornita di tutto l'apparato esteriore della più rigorosa dottrina non era migliore del prodotto di qualsiasi altro ciarlatano colto e abile. (cap. III, p. 119)
  • Rilke aveva proclamato che la bellezza era il principio dell'orrore; essi [gli espressionisti] andarono più oltre d'un passo: la vera bellezza era nell'orrore degli individui tormentati, nell'annullamento dell'equilibrio e della simmetria. L'espressionismo, come altri movimenti radicali, voleva scavare alla ricerca delle radici, era spinto dal desiderio di ritornare alle origini. (cap. IV, p. 145)
  • Gli espressionisti furono un sismografo sensibilissimo dell'epoca; nel migliore dei casi erano quasi altrettanto commoventi di certi poeti del XVII secolo che scrivevano dopo il grande olocausto della guerra dei Trent'anni. Il punto più vulnerabile del movimento fu che non conobbe limiti... un difetto tedesco tutt'altro che raro. Non seppe più controllare le proprie emozioni, divenne disordinato e incoerente, incapace di parlare in maniera chiara al mondo esterno. Se fosse stato soltanto uno dei tanti movimenti d'avanguardia, le sue manchevolezze non avrebbero avuto gran peso. Ma siccome si proponeva di cambiare la vita e non soltanto di offrire una nuova forma d'arte, non è possibile valutarlo sulla base d'un metro puramente estetico. L'espressionismo, come disse Döblin in anni successivi era Gärung ohne Richtung, un fermento senza scopo. (cap. IV, p. 150)
  • In Germania lo spirito carnevalesco [del dadaismo] finì con l'essere il padrino di battesimo del realismo socialista. (cap. IV, p. 153)
  • [Thomas Mann] Sarebbe un tentativo destinato all'insuccesso voler riconoscere nel suo pensiero una costante definita, coerente. Un socialista conservatore in politica, un innovatore tradizionalista in letteratura, un credente nel progresso che traeva ispirazione da Arthur Schopenhauer e da Richard Wagner... le contraddizioni della sua personalità d'intellettuale erano le stesse di cui soffriva la cultura del tempo. (cap. IV, p. 157)
  • Chi si trovò nell'occhio del ciclone, per quanto fosse tutto, per carattere, tranne che un rivoluzionario, fu Arnold Schönberg. Debussy aveva scritto, è vero, che le siècle des aeroplanes a droit à sa musique[1], però Schönberg non aveva la minima intenzione di entrare nella storia della musica come il compositore dell'era dell'aeronautica: «Detesto che mi si definisca rivoluzionario... sin dai miei esordi sono stato sensibilissimo alla forma e ho avversato con tutta l'anima le esagerazioni». (cap. IV, p. 199)
  • I pittori, analogamente ai poeti e ai drammaturghi espressionisti, erano più che mai alla ricerca dell'uomo nuovo. Ma l'ispirazione di fondo, nonostante tutti gli appelli al socialismo, alla rivoluzione mondiale e all'«arte politica», era in sostanza molto più mistica, o perfino religiosa, che politica. «I nostri quadri sono i soli e le lune» proclamava il manifesto dell'«Espressionismo assoluto» pubblicato nello «Sturm». «Niente più Io e Tu, soltanto l'eternità e la nostra strada verso le stelle.» (cap. V, p. 212)
  • Sulla pietra tombale di Klee, a Basilea, è incisa una frase tratta dal suo diario: «In questo mondo io sono del tutto incomprensibile. Perché vivo in uguale misura con i morti e con quelli che non sono ancora nati». Scrisse che l'arte trascende l'oggetto, sia quello reale sia quello immaginario. Più d'ogni altro scrittore modernista intuì che i simboli e i messaggi dell'arte non avrebbero trovato un pubblico in grado di recepirne il significato. E in una conferenza tenuta nel 1924 ma pubblicata postuma («Sull'arte moderna»), pronunziò parole dettate da un profondo pessimismo: Uns trägt kein Volk («Nessuno si riconosce in noi e noi siamo avulsi da tutti»). Il dilemma dell'arte moderna è più manifesto nell'opera sua che in quella di qualsiasi altro pittore. (cap. V, pp. 217-218)

Note[modifica]

  1. Il secolo degli aeroplani ha diritto alla sua musica.

Bibliografia[modifica]

  • Walter Laqueur, La Repubblica di Weimar, traduzione di Lydia Magliano, Rizzoli, Milano, 1977.

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