Giuseppe De Matthaeis

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Giuseppe De Matthaeis (1777 – 1857), chirurgo e archeologo italiano.

Sul culto reso dagli antichi romani alla dea Febbre[modifica]

Incipit[modifica]

Se Cicerone avesse preveduto tutto il mal'uso che avrebbero fatto gli uomini della sacra idea della Divinità, e quanto indegnamente l'avrebbero prostituita divinizzando sino li più infami tra i Tiranni, e li più vili tra gli Schiavi; non si sarebbe tanto meravigliato del culto reso dai Romani alla Febbre, alla Mala Fortuna, e a tante altre nocevoli cose annoverate tra' Dei, ed onorate di sagrificj e di altari.

Citazioni[modifica]

  • Roma che altrettanto umile co' Dei quanto superba cogli uomini vincendo, e soggiogando le diverse nazioni del mondo, sottopose se stessa alle tante e così varie loro divinità, non ebbe esempio da altri nel suo culto verso la Febbre. Ella che apprese a conoscere dagli stranieri, e dai vinti quasi tutti i numi che adorò, non ebbe comune con alcun'altra gente questa sua propria divinità: ella sola seppe divinizzare un tal morbo, ed onorarlo di sagrificj, e di tempj. (p. 6)
  • Pochi tra i tanti Dei Minori, e in specie tra quei conosciuti più particolarmente sotto nome di Averrunci, ebbero presso i Romani maggior venerazione della Febbre. I titoli, che a lei si davano eran quali si convenivano a tanta Divinità, quelli cioè di Magna, di Santa, e di Diva, [...]. (p. 7)

Sulle infermerie degli antichi e loro differenza dai moderni ospedali[modifica]

  • Un male inteso passo di Plinio il seniore[1] aveva fatto credere quasi generalmente sino a questi ultimi tempi che Roma per lo spazio di circa 600 anni non abbia avuto medici di sorte alcuna. Le contrarie testimonianze degli altri scrittori, che fanno frequente menzione di medici nell'antica Roma, l'inverisimiglianza della proposizione attribuita a Plinio, e la contradizione in cui essa ponevasi con molti altri passi dello stesso scrittore non furono bastanti per lunghissimo tempo a far bene intendere di quale specie di medici abbia parlato quell'istorico nello escluderli da Roma, e nello scagliare tanta bile contro di essi, facendo eco alle gravi parole di Catone il censore. Ma in oggi dopo la copiosa luce sparsa sull'antica istoria della medicina non havvi alcuno, comeché mediocremente istruito, il quale non sia persuaso che in Roma vi sieno stati medici in ogni tempo, e che soltanto i filosofanti e ciarlieri medici greci non vi fossero ricevuti sino al sesto secolo dalla sua fondazione, all'epoca cioè del famoso Asclepiade di Bitinia[2]. (pp. 3-4)
  • Nella medesima isola Tiberina esponevansi per testimonianza di Svetonio i poveri schiavi infermi di morbo incurabile; e sembra che neppure si ricevessero al coperto, per cui l'imperator Claudio comandò che se fortunatamente guarivano, si rendesse loro la libertà colla salute. (pp. 12-13)
  • I parti infelici per qualche mostruosità, come gli androgini o di dubbio sesso, erano gettati nel mare appena nati presso gli antichi romani: i poveri servi tormentati da lunghe e insanabili malattie erano uccisi o esposti allo scoperto ed abbandonati nell'isola tiberina. In fine quei ch'erano ricevuti e curati negli Asclepj[3] dovevano esser grati e riconoscenti verso il Nume, ed in sua vece verso i suoi sacerdoti con larghi doni e compensi, poiché il bene, l'ospitalità e la guarigione non si ottenevano, né si facevano gratuitamente neppur dagl'iddj. (p. 17)

Note[modifica]

  1. Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio (23 – 79).
  2. Medico greco antico, noto anche come Asclepiade di Prusa o di Chio. Attivo anche a Roma, ebbe tra i suoi pazienti Cicerone, Crasso e Marco Antonio.
  3. Da Asclepio o Esculapio, personaggio della mitologia greca, dio della medicina.

Bibliografia[modifica]

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