Henry Jenkins

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Henry Jenkins

Henry Jenkins (1958 – vivente), accademico e saggista statunitense, studioso dei media e della cultura popolare.

Cultura convergente[modifica]

  • La parola stampata non ha soppiantato quella orale, il cinema non ha ucciso il teatro, la tv non ha ucciso la radio. Vecchi e nuovi media sono stati costretti a coesistere. Ecco perché la convergenza, piuttosto che il paradigma della rivoluzione digitale, sembra essere la spiegazione più plausibile del cambiamento mediatico degli ultimi anni. Lungi dall'essere sostituiti, i vecchi media vedono trasformare la loro funzione e il loro status, per effetto dell'introduzione di nuove tecnologie. (p. XXXVII)
  • [...] l'era della convergenza dei media rende possibili modalità di ricezione comuni, invece che individualistiche. Ancora non tutti i consumatori di media interagiscono con una comunità virtuale; alcuni semplicemente discutono di quel che vedono con amici, famigliari, compagni di lavoro. Ma pochi guardano la televisione in completo silenzio e totale isolamento. Per la maggior parte di noi, la televisione è il carburante che alimenta le conversazioni davanti alla macchinetta del caffè. E, per un numero sempre più elevato di persone, la macchinetta del caffè è diventata digitale: i forum online danno la possibilità di condividere conoscenze e opinioni. (p. 2)
  • Ciò che tiene unita una intelligenza collettiva non è il possesso del sapere – relativamente statico – ma il processo sociale di acquisizione della conoscenza in quanto dinamico e partecipativo, che continuamente mette alla prova e riafferma i legami del gruppo. (p. 34)
  • In Internet, sostiene Pierre Lévy, i singoli incanalano la loro competenza individuale verso fini e obiettivi condivisi: "Nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa, la totalità del sapere risiede nell'umanità".[1] "Intelligenza collettiva" è questa capacità delle comunità virtuali di far leva sulla competenza. Quel che non possiamo sapere o fare da soli, possiamo essere in grado di farlo collettivamente. (p. 3)
  • Lévy traccia una distinzione tra il sapere condiviso, cioè l'informazione ritenuta attendibile e mantenuta in comune dall'intero gruppo, e l'intelligenza collettiva, ovvero la somma delle informazioni trattenute individualmente dai membri del gruppo e resa disponibile qualora ce ne fosse bisogno: "Il sapere della comunità pensante non è più un sapere comune, perché ormai è impossibile che un solo essere umano, o anche un gruppo, dominino tutte le conoscenze, tutte le competenze, è un sapere essenzialmente collettivo, impossibile da riunire in un unico corpo". Solo alcuni dati sono noti a tutti: le cose di cui la comunità ha bisogno per sostenere la sua esistenza e portare a termine i suoi obiettivi. Tutti gli altri sono conosciuti da individui che vengono chiamati a condividerli quando ne capita l'occasione. Le comunità devono tuttavia valutare con cura ogni informazione che sta per divenire parte della propria conoscenza condivisa, poiché la disinformazione può portare a malintesi sempre più problematici – poiché ogni nuova idea viene letta nel contesto di quello che il gruppo considera il suo sapere fondamentale.[2] (p. 4)
  • Proprio come non abbiamo mai considerato "alfabeta" qualcuno che sappia leggere ma non scrivere, allo stesso modo non possiamo concepire che qualcuno sia, per così dire, medialfabeta se può solo consumare ma non ha alcuna possibilità di espressione. (p. 180)
  • Molti adulti sono preoccupati perché questi ragazzi "copiano" contenuti mediatici già esistenti invece di creare opere originali. Le loro appropriazioni si dovrebbero invece considerare come una sorta di apprendistato. Una volta i giovani artisti imparavano dai maestri affermati, a volte contribuendo ai loro lavori, spesso seguendo il loro modello prima di sviluppare stili e tecniche proprie. Le nostre aspettative moderne circa l'originalità creativa rappresentano un carico pesante per chiunque si trovi agli esordi della carriera. (p. 193)
  • La legge vigente sul copyright, semplicemente, non contempla una categoria che comprende l'espressione creatica amatoriale. Laddove è stato incluso un "pubblico interesse" nella definizione di uso equo – come per la volontà di proteggere il diritto delle biblioteche a far circolare i libri, quello dei giornalisti a citarli o la possibilità per gli studiosi di citare opere di altri ricercatori – se ne parla per gruppi particolari di utenti, e non come diritto pubblico generale alla partecipazione culturale. La nostra nozione corrente di uso equo è l'artefatto di un'era in cui l'accesso al mercato delle idee era limitato a poche persone, legate peraltro a specifiche classi professionali. La materia richiede indubbiamente un aggiornamento, considerando lo sviluppo tecnologico che determina l'ampliamento del numero dei creatori e dei distributori di prodotti culturali. I giudici sanno come agire nei riguardi di persone che hanno interessi professionali nella produzione e circolazione della cultura; viceversa, si trovano spiazzati di fronte agli amatori o presunti tali. (p. 201)

Culture partecipative e competenze digitali: media education per il XXI secolo[modifica]

  • Una cultura partecipativa è una cultura con barriere relativamente basse per l'espressione artistica e l'impegno civico, che dà un forte sostegno alle attività di produzione e condivisione delle creazioni e prevede una qualche forma di mentorship informale, secondo la quale i partecipanti più esperti condividono conoscenza con i principianti. All'interno di una cultura partecipativa, i soggetti sono convinti dell'importanza del loro contributo e si sentono in qualche modo connessi gli uni con gli altri (o, perlomeno, i partecipanti sono interessati alle opinioni che gli altri hanno delle loro creazioni). (p. 57)
  • La produzione sociale del significato è più della moltiplicazione delle interpretazioni individuali; comporta una differenza qualitativa nei modi in cui diamo senso alle esperienze culturali, e in questo senso implica un profondo cambiamento nei modi in cui comprendiamo il tema delle competenze. In un mondo come l'attuale, i giovani hanno bisogno di abilità per lavorare all'interno dei social network, per condividere conoscenza all'interno di un'intelligenza collettiva, per negoziare attraversando le differenze culturali che caratterizzano gli assunti che governano le diverse comunità e per riconciliare i frammenti contrastanti di informazione al fine di formare un quadro coerente del mondo che li circonda. (p. 95)

Note[modifica]

  1. Pierre Lévy, L'intelligenza collettiva: per un'antropologia del cyberspazio, traduzione di M. Colò e D. Feroldi, Feltrinelli, Milano 2002, p. 211. ISBN 978-88-078-1716-8
  2. Pierre Lévy 2002, cit., p. 209.

Bibliografia[modifica]

  • Henry Jenkins, Cultura convergente, traduzione di V. Susca, M. Papacchioli e V. B. Sala, Apogeo, Milano 2007. ISBN 978-88-503-2629-7.
  • Henry Jenkins, Culture partecipative e competenze digitali: media education per il XXI secolo, traduzione di G. Marinelli, Guerini studio, Milano, 2010. ISBN 9788862502337.

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