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Henri Troyat

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Henri Troyat

Henri Troyat (1911 – 2007), scrittore e storico francese.

Citazioni di Henri Troyat

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  • [...] fin dai primi anni di regno, Ivan dimostra uno spirito d'ordine e una volontà di dominio che sconcertano il suo seguito. Quel giovane privo di affetto e di orientamento nell'infanzia, istruito a caso da scrivani di palazzo, spinto da Macario verso il misticismo, come ha fatto a raggiungere – sin dall'ascesa al trono – una così alta coscienza del proprio ruolo di sovrano? Persino quanti ne criticano in segreto la violenza, il despotismo e la crudeltà sono costretti ad ammettere di trovarsi di fronte a un condottiero di popoli. Tremano per se stessi, ma non tremano più per la Russia.[1]

In Russia al tempo dell'ultimo zar

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  • L'autorità suprema [della famiglia contadina] apparteneva al padre o al nonno finché questi conservava un minimo di lucidità. Spesso, dopo il matrimonio, i figli continuavano a vivere presso i genitori; più famiglie, quindi, vivevano sotto lo stesso tetto e lavoravano negli stessi campi. La coabitazione provocava anche drammi: non era raro che l'«anziano» ancora vigoroso desiderasse la nuora che aveva ogni momento davanti agli occhi. (p. 236)
  • Come ci si poteva stupire che in quelle condizioni la suocera avesse in genere un carattere bisbetico? Il giovane marito, a ogni buon conto, batteva la moglie con ogni pretesto. D'altra parte per lei non era una vergogna: se lo sposo non l'avesse picchiata ogni tanto, probabilmente non si sarebe sentita abbastanza amata. (p. 237)
  • Il contadino russo era pronto a credere a qualsiasi meraviglia. Per lui la religione era, più che una morale, un mistero. Non era per obbedire ai precetti di Cristo che si mostrava paziente, docile, ospitale, caritatevole ma per inclinazione naturale all'indulgenza. Quella bontà evangelica non gli impediva di essere baro, invidioso, avido o libertino e di pregare con calore i santi per la riuscita dei propri privatissimi affari. Del male aveva un'idea molto confusa e perciò cercava complici potenti in cielo. (p. 244)

Rasputin

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Un ragazzino come tanti, attaccabrighe, bugiardo, ladruncolo e violento: subito sospettato dagli abitanti del villaggio siberiano di Pokrovskoe ogni volta che sparisce loro una gallina dal pollaio o una pecora dall'ovile. Eppure la famiglia del presunto colpevole, il piccolo Grigorij Rasputin, non manca di nulla: i suoi genitori, Efim e Anna, sono contadini agiati. La loro abitazione conta otto stanze e la loro proprietà numerose «desjatine»[2] di terra fertile, bestiame a sufficienza e buoni cavalli da lavoro e da tiro.

Citazioni

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  • L'imperatrice [Aleksandra] è una donna alta dalla bellezza fredda, il contegno altero del capo, una folta capigliatura bionda e occhi azzurri che esprimono grande dolcezza; ma, alla minima emozione, il suo volto si costella di macchie rosse. È probabile che non abbia il controllo dei suoi nervi. Il suo atteggiamento sdegnoso è certo dettato da un'estrema timidezza; il che non le impedisce di mostrarsi categorica nei suoi giudizi. Stima immorale e futile la buona società di San Pietroburgo, e lo dice apertamente. (cap. 3, p. 35)
  • [Aleksandra] Di origine tedesca, dopo aver accettato di abbandonare il protestantesimo per amore del suo fidanzato [Nicola Romanov], si è votata alla nuova patria con l'entusiasmo del proselita. In virtù di questo cambiamento di nazione e di fede si è voluta più russa dei russi per nascita. Ciò che oggi insegue come un'assetata, non è la Russia che si incontra nei salotti, deflorata, contraffatta dalle maniere europee, ma la vera Russia, quella delle umili sofferenze, della pietà ancestrale, dei lavori oscuri, delle dolci tradizioni e delle credenze irrazionali. La sua immaginazione si compiace di troiche nella neve, di canzoni nostalgiche, del raccogliersi intorno a un samovar all'interno di una povera isba e di fedeli in ginocchio davanti a un pope di campagna. (cap. 3, pp. 39-40)
  • Si racconta che egli [Rasputin] abbia non soltanto il potere di consolare le coscienze, ma anche quello di saziare le carni assetate d'amore. La voce pubblica gli attribuisce un sesso di dimensioni eccezionali. Dotato del membro di un satiro, possiede, a detta delle dame che beneficiano dei suoi favori, il cuore di un santo. (cap. 3, p. 43)
  • Alla morte dello scrittore [Lev Tolstoj], il 7 novembre 1910, Il'jodor invia un telegramma a Nicola II in cui esige che si pronunci l'anatema contro quel falso cristiano. Ma sarà Rasputin a rispondergli al posto di Sua Maestà: «Telegramma troppo duro, Tolstoj confuso nelle sue idee. Colpa dei vescovi, che non lo amavano. Anche tu, i tuoi stessi fratelli ti criticano. Prova a riflettere». (cap. 4, pp. 54)
  • [...] Il'jodor colloca in una sala del suo monastero un ritratto di Tolstoj e invita i pellegrini a sputarvi sopra sino a che i tratti del modello scompaiono sotto le colate di saliva. Informato di quest'oltraggio alla memoria del defunto, Rasputin ne è rattristato. Ha sempre ammirato Tolstoj. Non come romanziere, è ovvio – nulla ha letto di suo – ma come predicatore religioso. Gli sembra di ravvisare una affinità spirituale tra sé e l'autore di Guerra e Pace, poiché entrambi fanno a meno della mediazione dei preti per comunicare con Cristo. (cap. 4, pp. 54-55)
  • [Riferito a Rasputin] Malgrado il pellegrinaggio a Gerusalemme, il suo motto non è cambiato: godere dell'esistenza per servire meglio Dio. L'Altissimo non condanna l'uomo che sazia la propria fame mangiando un pezzo di pane bianco; perché dunque lo condannerebbe quando soddisfa un altro bisogno naturale, quello di unirsi carnalmente a una donna? Per quale ragione ciò che è consentito allo stomaco sarebbe vietato al sesso? Perché dovrebbe esistere una parte del corpo sgradita al Creatore? Dio è logico, dunque tollerante. Sono i preti che confondono tutto! (cap. 5, p. 68)
  • L'imperatrice [Aleksandra] invia a Tjumen' l'eminente chirurgo von Breden perché esegua un nuovo intervento sul ferito [Rasputin]. Al suo ritorno il medico rassicura tutti: lo starec è fuori pericolo. Ma in privato si compiace di raccontare che la virilità di Rasputin non è così evidente come certi sostengono. L'immaginazione femminile – afferma von Breden – non ha bisogno di prove: esalta tutto ciò che tocca e finisce per trasformare un sesso dei più comuni in un attributo virile degno degli stalloni. Questa considerazione fa il giro della città. Chi avrà ragione? Le dame che esaltano le prodezze amorose di Rasputin o il dottore che lo ha esaminato da capo a piedi? (cap. 7, p. 89)
  • Il principe Feliks Feliksovič Jusupov, ventinovenne, appartiene ad una delle famiglie più nobili e ricche del paese. Un'infanzia troppo viziata ha fatto di lui un essere ambiguo, capriccioso, raffinato, pigro e impulsivo. Sin dalla più tenera età, si è sentito attratto dalle immagini del vizio e della morte. Gli basta che un'opera d'arte sia insolita per dichiararsene prossimo. (cap. 11, p. 147)
  • [Il principe Jusupov] Vuole essere un dandy nel pensiero come nella forma delle sue unghie o nei riccioli della sua pettinatura. Con la sua figura slanciata, il volto delicato, gli occhi languidi, ha preso gusto durante la sua adolescenza a travestirsi da donna. Ancora adesso, gli sguardi degli uomini maturi sulla sua persona, i loro complimenti, le loro avances, solleticano la sua vanità. Ma non per questo disdegna le donne. Soltanto, lo irritano perché esigono, per atavismo o educazione, di essere circondate da mille attenzioni ridicole. (cap. 11, pp. 147-148)
  • Cosa accadrà, ora che è morto? Quale sarà il destino della Russia dopo Rasputin? Vero o falso profeta, ha esercitato sulla Storia tutto il suo peso. Quelli che credevano in lui si sentono orfani e non sanno più a quale guida votarsi; coloro che lo consideravano un impostore si chiedono quale miracolo potrà salvare ancora la Russia, malata di follia collettiva. In realtà, la Russia ha prodotto Rasputin, così come un accesso di febbre provoca un herpes. Nella condizione di smarrimento morale in cui versavano i suoi compatrioti, la sua venuta era inevitabile. Egli è stato il prodotto di un intero popolo in ebollizione. E forse un personaggio simile non sarebbe potuto nascere altrove che in quella sconfinata terra di pianure, di miraggi e di devozione. (cap. 13, p. 180)

Al sangue di Rasputin, versato in una camera nel seminterrato del palazzo Jusupov, ha fatto eco il sangue dei Romanov, sprizzato dai colpi di fucile sulle pareti di un altro seminterrato, quello della casa Ipat'ev. Il cerchio si chiude. Dopo secoli di monarchia, il popolo russo dovrà cercarsi altri padroni da servire e da venerare prosternandosi. Si chiameranno Lenin, Stalin, Chruščëv, Brežnev e perpetueranno il dogma della necessaria dittatura del proletariato. Rasputin, invece, pur avendo contribuito al crollo dell'impero, avrà diritto soltanto al disprezzo dei rivoluzionari, dei quali ha involontariamente servito la causa.

Incipit di La barinja

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Il cocchiere tirò le briglie, i cavalli scalpitarono nel fango e la vettura si fermò davanti a una barriera.[3]

Note

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  1. In Ivan il Terribile, traduzione di Anna Silva, Rusconi, Milano, 1985, pp. 61-62. ISBN 88-18-18004-5
  2. Una «desjatina» corrisponde a poco più di un ettaro. [N.d.A.]
  3. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

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  • Henri Troyat, In Russia al tempo dell'ultimo zar (La Vie quotidienne en Russie au temps du dernier tsar, 1959), traduzione di Maria Grazia Meriggi, Fabbri Editori, 1998.
  • Henri Troyat, Rasputin (Raspoutine), traduzione di Catherine McGilvray, Oscar storia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1998. ISBN 88-04-45402-4

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