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Emilio Praga

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Emilio Praga

Emilio Praga (1839 – 1875), scrittore, poeta e pittore italiano.

Citazioni di Emilio Praga

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  • Gobba a ponente, | Luna crescente! | Fuori, lucertole – e moscerini, | Bruchi, larvucce – e farfallucce | Lumache e rane – fuor dalle tane! Il segno è certo, – Tutti all'aperto! | Presto, rotonda – e rubiconda | Nella bonaccia – la bella faccia | Risplenderà.[1]
  • Me lo ha detto il vino, | E il vin non erra![2]
  • O notturno splendore, | o vergine divina! | Tu che commuovi, sorridendo, il core | dell'uomo e dell'oceano, | solitaria dei cieli, | adoro la tua luce, amo i tuoi veli! || Te fra le viti e i gelsi | del mio suolo natio, | fanciullo io vidi e ad astro mio ti scelsi; | fosse felice o in lagrime, | da quel giorno, o mia Dea, | quest'anima, sperando, a te volgea! || Come sei bella, o luna, | quando il viso ti specchii | nel mite tremolio della laguna; | come bella, fra i pallidi | scogli della montagna, | quando sul ghiaccio il tuo raggio si bagna! || Ma chi dirà, divina, | di che fulgor ti vesti, | se tu sorgi infocata alla marina? | Il pelago scatenasi, | e placido e giocondo | il tuo disco s'innalza e irradia il mondo! || Ed io ti amai sul piano, | ti amai, luna, sui monti, | e nel cupo fragor dell'oceàno... | ma non mi tocchi l'anima | quando, dimessa e stanca, | seguiti il sole in camiciuola bianca! || O vergine d'amore, | se tua beltà lo vince, | non indugia a pregar nostro Signore, | che, quando il sol ci illumina, | ti tenga in paradiso, | perch'io solo di notte amo il tuo viso! (Ballata alla luna[3])

Incipit di alcune opere

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Due destini

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L'ultima cresta delle Alpi spiccava negra e tagliente sull'oro del cielo; – sembrava una bara rosicchiata da qualche tarlo mostruoso, e posta là, immensa, per ricevere il sole. Dalle falde più basse, i dirupi, i pini, le querce, i frassini chiassosi precipitavano nella valle una ridda gigantesca di ombre che si avvoltolavano pei culmini e le profondità, allungandosi, allargandosi, rimpicciolendosi, in su e in giù, a destra, a sinistra, da tutte le parti, tonde, aguzze, attortigliate, distese, come corpi senz'ossa rovesciati alla rinfusa da una mano invisibile.

I profughi fiamminghi

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Sotterraneo di una antíca chiesa abbandonata; lunga scala in rovina che mette alla porta – da una parte un piccolo uscio che conduce a un vestibolo abitato da Marta. – Qualche immagine sbiadita e lampade qua e là sulle pareti. – Da un'ampia fessura della vôlta appare una striscia di cielo.
Il Cav. di Nua fra uno stuolo di Armati.

Coro Pei taciti boschi che il volgo paventa
La schiera dei forti qui giunge al convegno.
Chi siete?
Voci dall'alto Fratelli! -
I primi D'Anversa? -
Gli altri (scendendo) Redenta! -
I primi Salute!
Gli altri Ed il Conte?
I primi Verrà; ne diè pegno! -

Memorie del presbiterio: scene di provincia

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Fra parecchie centinaia di versi che, in mancanza di meriti più assoluti, ebbero incontestabilmente quello di sciogliere per bene lo scilinguagnolo alla sonnolenta critica letteraria del bel Paese, v'hanno due componimenti sovra cui piovve con rara abbondanza la lode; la lode che è per l'anima di un autore ciò che è pei fiori la pia rugiada dell'alba. Uno di quei componimenti aveva nome il Professore di greco, l'altro portava il titolo che sta in cima di queste righe.
Senza ch'egli ripudii gli altri suoi figli, è naturale che questi due sieno i prediletti del poeta.
Guardate il sorriso trionfante della madre di cui vi prendete nelle braccia e accarezzate, ammirando, il bambino; per poco ella si ristà dal fare altrettanto con voi.

Penombre

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Noi siamo figli dei padri ammalati;
aquile al tempo di mutar le piume
svolazziam muti, attoniti, affamati,
sull'agonia di un nume.
Nebbia remota è lo splendor dell'arca,
e già all'idolo d'or torna l'umano,
e dal vertice sacro il patriarca
s'attende invano;
s'attende invano dalla musa bianca
che abitò venti secoli il Calvario,
e invan l'esausta vergine s'abbranca
ai lembi del Sudario...

Tavolozza

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Spesso una voce incognita
mi dice: – O giovinetto,
perché dolente hai l'anima,
e pallido l'aspetto?
Di desidèri inutili,
oh, non ascolta il grido;
l'aura che vien dagli uomini,
amico, è un verbo infido!

Trasparenze

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Era l'estate e l'alba – un'alba pura
di amaranto, di viola e di carmino -
parean soli olezzar nella natura
la viola e il gelsomino.
Dissi alla Musa : – Usciamo, andiam nei prati!
Di illusïoni abbellirà la strada
il ronzìo degli insetti spensierati
che imperla la rugiada.

Citazioni su Emilio Praga

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  • Sì. Emilio Praga fu un poveruomo, debole e malato. Lo ha visto bene il Croce tanti anni or sono, e non ci sarà chi voglia rifare al poeta una sanità intatta di corpo e di mente; ma è perché la sua poesia rimane in questa atmosfera di malattia e di debolezza ch'essa ci commuove e ci attrae. (Francesco Piccolo)

Note

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  1. Da Serenata alla luna, in Penombre.
  2. Da Notte di carnevale, in Penombre.
  3. In Tavolozza, Presso Gaetano Brigola, Milano, 1862, pp. 52-53.)

Bibliografia

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Voci correlate

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Altri progetti

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