Benedetto Croce

Al 2024 le opere di un autore italiano morto prima del 1954 sono di pubblico dominio in Italia. PD
Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Benedetto Croce

Benedetto Croce (1866 – 1952), filosofo, storico, politico, critico letterario e scrittore italiano.

Citazioni di Benedetto Croce[modifica]

  • A Napoli ho svolto la mia attività di uomo di studio, tra compagni carissimi e giovani che mi si son fatti spontanei discepoli. Eppure io ho tenuto sempre viva la coscienza di qualcosa che nel mio temperamento non è napoletano. Quando l'acuta chiaroveggenza di quella popolazione si cangia in scetticismo e in gaia indifferenza, quando c'è bisogno non solo di intelligenza agile e di spirito versatile, ma di volontà ferma e di persistenza e resistenza, io mi son detto spesso a bassa voce, tra me e me, e qualche volta l'ho detto anche a voce alta: - Tu non sei napoletano, sei abruzzese! - e in questo ricordo ho trovato un po' d'orgoglio e molta forza.[1]
  • A questi poveri e fallaci teorizzamenti si deve l'origine dell'erronea credenza che liberalismo sia individualismo utilitario (o, come lo si definisce, riecheggiando Hegel, «atomismo»), e che abbassi lo Stato a strumento dell'edonismo dei singoli.[2]
  • Abbiamo deciso di dare il voto di fiducia. Ma, intendiamoci, fiducia condizionata. Nell'ordine del giorno che abbiamo redatto è detto esplicitamente che il Senato si aspetta che il Governo restauri la legalità e la giustizia, come del resto Mussolini ha promesso nel suo discorso. A questo modo noi lo teniamo prigioniero, pronti a negargli la fiducia se non tiene fede alla parola data. Vedete: il fascismo è stato un bene; adesso è divenuto un male, e bisogna che se ne vada. Ma deve andarsene senza scosse, nel momento opportuno, e questo momento potremo sceglierlo noi, giacché la permanenza di Mussolini al potere è condizionata al nostro beneplacito.[3]
  • Accanto o di fronte agli uomini che stimano Parigi valer bene una messa, sono altri pei quali l'ascoltare o no una messa è cosa che vale infinitamente più di Parigi perché è affare di coscienza. Guai alla società, alla storia umana, se uomini che così diversamente sentono, le fossero mancati o le mancassero.[4]
  • Anche nella vendetta, insomma, non si gode del male di altri, ma del nostro bene [...].[5]
  • Carmine Crocco, che ebbe sotto di sé numerose bande di contadini e di soldati del disciolto esercito, nel 1862 depose ogni maschera politica e continuò a fare alla scoperta quello che in sostanza aveva fatto sempre, puro brigantaggio, e poi dal grosso brigantaggio discese al piccolo, e finalmente abbandonò la sua provincia nativa e l'Italia meridionale, passando il confine e rifugiandosi a Roma nell'agosto del 1864. Le sue posteriori vicende non meritano l'attenzione dello storico. Il governo italiano lo ritrovò a Roma, prigione, nel 1870, e lo sottopose a processo, nel quale egli, pur mentendo quanto poteva, non si atteggiò a campione politico, e disse chiaro che egli era, e non poteva essere, se non un capo di briganti.[6]
  • Che cosa sta facendo, che cosa sta facendo l'esercito italiano, che combatte sotto la guida energica e sapiente del Cadorna? Nientedimeno che questo: sta redimendo in modo definitivo il popolo italiano da una taccia quindici volte secolare. Sta provando cioè col fatto che il popolo italiano ha raggiunto ormai la compattezza nazionale e politica, la cui espressione è la forza dell'esercito.[7]
  • Chi ha ricercato le storie d'Italia senza appagarsi della superficiale e convenzionale cognizione che se ne somministra nelle scuole, non ignora che una delle taccie più antiche e persistenti, anzi la principale e quasi unica taccia, data agli Italiani dagli altri popoli d'Europa, e specie dai francesi e dai tedeschi, era quella d'"imbelli". Questo giudizio si formò sopratutto sul cadere del secolo decimoquinto, per effetto della resistenza nulla o fiacca opposta agli stranieri, nelle loro calate nel nostro paese, che divenne il loro campo di battaglia; ma se ne trovano i segni precursori nel medioevo, quando, tra l'altro, era divulgato in Europa l'apologo del "Lombardo e la lumaca", e i duri e ferrei feudatari d'oltr'Alpe spregiavano gli italiani borghesi, "che cinsero pur ieri – Ai lor mal pingui ventri l'acciar de' cavalieri". Né esso poteva essere cancellato dallo spettacolo che generalmente offrirono gli Italiani nella nuova calata francese, non più regia ma repubblicana, sul finire del settecento e nelle vicende della restaurazione; e di poco fu modificato dalle guerre, non sempre concordi, tenaci o fortunate, del nostro Risorgimento.[8]
  • [Su Francesco Mazzarella Farao] Ciascuno ha i suoi passatempi, e, il tuo, erano le cattive etimologie.[9]
  • [Gotthold Ephraim Lessing] Con le sue polemiche ha strappato a un meritatissimo oblio più di un nome. Egli ha avviluppato, per così dire, molti minuscoli scrittorelli in una rete di spiritosi motteggi, di prezioso umorismo, e ora essi si conservano in eterno nelle opere di Lessing come insetti rimasti chiusi in un pezzo d'ambra.[10]
  • Credo che, a guerra finita, si giudicherà che il suolo d'Europa, non solo ha tremato per più mesi o per più anni sotto il peso delle armi, ma anche sotto quello degli spropositi. E Francesi, Inglesi, Tedeschi e Italiani si vergogneranno e chiederanno venia poi giudizi che hanno pronunciati, e diranno che non erano giudizi ma espressioni di affetti. E anche più arrossiremo noi, neutrali, che molto spesso abbiamo parlato, come di cosa evidente, della "barbarie germanica". Fra tutti gli spropositi, frutti di stagione, questo otterrà il primato, perché certo è il più grandioso.[11]
  • Da mia parte, non provo il rossore di cui altri sentirebbe inondato il volto nel dire che mi piacciono e giudico condotti con grande brio e spigliatezza i Trois mousquetaires di Alessandro Dumas padre. Ancora molti li leggono e li godono senza nessun'offesa della poesia, ma nascondono in seno il loro compiacimento come si fa per gli illeciti diletti; ed è bene incoraggiarli a deporre la falsa vergogna e il congiunto imbarazzo.[12]
  • È appunto l'opposizione che ringiovanisce. Se fossi rimasto senatore, avrei avuto una vita troppo comoda, sarei da un pezzo diventato di mente pigra ed inconseguente. Nulla è di danno all'intelletto quanto la mancanza di opposizione; solo da quando sono solo e non ho più giovani intorno a me, mi sento costretto a ringiovanire io stesso.[13]
  • È stato detto che il Candelaio è una fosca rappresentazione pessimistica; ma né il Bruno in quanto filosofo può dirsi pessimista, né in questa sua commedia c'è la poesia del pessimismo. E sebbene si usi ora discorrerne come di una possente creazione d'arte, il giudizio del De Sanctis [...] mi pare che, se non in ogni deduzione, nella sua conclusione, debba rimaner saldo, per quel che concerne il Candelaio: un uomo come il Bruno (egli dice) «era destinato a speculare sull'uno e sul medesimo, non certo a fare un'opera d'arte».[14]
  • E stimo un tal grande beneficio la cura a cui il fascismo ha sottoposto l'Italia che mi do pensiero piuttosto che la convalescente non si levi troppo presto dal letto a rischio di qualche grave ricaduta.[15]
  • [Per una Storia del Risorgimento concepita non come strumento di lotta politica, ma compresa alla luce di una autentica indagine storica] E veramente (se debbo manifestare anch'io il mio avviso) converrebbe all'uopo dissolvere addirittura questo «corpo letterario» che si è venuto formando col nome di «Storia del Risorgimento»: questo corpo letterario, che ha al suo servigio innumerevoli scrittori e scrittorelli, pubblicisti e dilettanti, e una rete di «società storiche» con «riviste speciali», e pel quale si annunzia persino di tanto in tanto l'istituzione di speciali «cattedre». [...] Lo spirito animatore della cosiddetta «Storia del Risorgimento» è, tutt'al più, poetico, ma non certamente storico; e, a dissolverla, basterebbe nient'altro che introdurvi lo spirito storico, perché in questo caso essa si fonderebbe nella storia politica del secolo decimonono, nella quale il moto italiano prenderebbe il suo significato proprio, spogliandosi dei colori onde il sentimento e l'immaginazione lo hanno finora rivestito. E si renderebbe giustizia, come in istoria è doveroso fare, alle forze di resistenza che al moto liberale opponevano la vecchia Italia e la vecchia Europa, o, nella fraseologia dei politicanti, l'oscurantismo e la reazione. Giustizia: il che non significa recriminazione o rimpianto pel passato, che è morto e ben morto, ma semplicemente intelligenza di quel passato, e, mercè di essa, intelligenza del presente e dei problemi del presente. Troppo volentieri ci siamo velati gli occhi per non vedere ciò che, veduto e riconosciuto, avrebbe da noi richiesto fatica di opere. Ma forse una delle conseguenze della presente guerra sarà il disinteresse per la «Storia del Risorgimento», quale è stata finora concepita, venendo a spegnersi (com'è da augurare) le risonanze delle passioni e dei motivi sentimentali che impedivano la conversione critica di quella fantasmagoria in vera e propria storia. La storia, che dovrà ricercarsi e insegnarsi da ora in poi in Italia, sarà, non la storia edificante del Risorgimento, ma la più grande e varia – e non sempre adattabile all'edificazione – storia del mondo moderno, perché non ci accada una seconda volta di essere sorpresi da una guerra europea, ignari delle materie in contestazione e costretti a farci istruire in fretta e furia da istruttori, che essi stessi, in fretta e furia, s'istruivano.[16]
  • Eliminando le case chiuse non si distruggerebbe il male che rappresentano, ma si distruggerebbe il bene con il quale è contenuto, accerchiato e attenuato quel male.[17]
  • [Raimondo di Sangro fu] enciclopedico, misterioso, sempre intento a esperienze di chimica, sempre annunziatore di suoi ritrovati mirabili che nessuno vide mai in atto, o che in ogni caso non ebbero capacità di sopravvivere al loro inventore, un po' fantastico e appassionato e un po' altresì divertentesi a canzonare il prossimo [...].[18]
  • [Paul Valéry] Fa a volte bei versi, ma li fabbrica con la macchina dell'intelletto... Ma anche l'intelletto suo è disorganico, frammentario. È un dilettante dell'intelligenza.[19]
  • [Subito dopo la Liberazione] Gli uomini nuovi verranno. Bisogna non lasciarsi scoraggiare dal feticismo delle competenze. Gli uomini onesti assumano con coraggio i posti di responsabilità, e attraverso l'esperienza gli adatti non tarderanno a rivelarsi.[20]
  • [Antonio Capece Minutolo] Il Don Chisciotte della reazione italiana.[21]
  • I teatri di Napoli (mi suggerisce qui il nostro maestro Giuseppe De Blasiis) hanno a capo della loro storia perfino una grande memoria classica, le recite che vi venne a fare di persona l'imperatore Nerone. E, sebbene un'introduzione "archeologica" sembri ora di tanto cattivo gusto quanto una volta di ottimo, sia ricordato dunque che Nerone, avido di popolari applausi, e non osando presentarsi dapprima sulle scene di Roma, preferì pel suo esordio la nostra città, quasi graecam urbem. Napoli, che possedeva, allora un ampio teatro scoperto, ricco di marmi e di statue, del quale ancora restano i ruderi, e la cui scena sorgeva di sbieco alle spalle della presente chiesa di San Paolo e la cavea volgeva verso la presente strada dell'Anticaglia; e un teatro coperto, un Odeo, posto probabilmente tra l'Anticaglia e gl'Incurabili, nelle vicinanze del luogo dove è adesso l'ex monastero di Santa Patrizia.[22]
  • I versi, che Isabella di Morra scrisse, sono di carattere assai personale e privato, e non erano tali da circolare tra letterati e accademie [...] Sparsene le copie in Napoli, furono letti con pietà e ammirazione [...] Il nome d'Isabella di Morra rimase oscuramente raccomandato che nessuno dei contemporanei (salvo, nel secolo seguente, il nipote nella storia della famiglia) scrisse un ricordo di lei [...] Il carattere personale dei versi della Morra e il non vedervisi segno alcuno di esercitazione o bellurie letteraria formano la loro prima attrattiva. L'autrice possedeva certamente buoni studi, aveva letto poesie classiche e aveva pratica del verseggiare e della forma italiana; ma mise in opera questa abilità, acquistata con l'educazione e con la scuola, all'unico fine di dare qualche placamento o mitigazione al suo affanno e travaglio, e a questo fine la piegò e asservì del tutto.[23]
  • Il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il carattere di "storia contemporanea", perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni.[24]
  • Il filosofo, oggi, deve non già fare il puro filosofo, ma esercitare un qualche mestiere, e in primo luogo, il mestiere dell'uomo.[25]
  • Il monumento parlato del buon senso si trova nella stessa letteratura popolare, e sono i proverbi, la sapienza (come la chiamano) di tutte le età, la sapienza del mondo di cui tante volte è stata lodata l'incrollabile saldezza; e tuttavia nessuno, pur ridicendoli con assenso, li scambierà mai con la serie delle opere della critica, della scienza e della filosofia, con le indagini, le discussioni, i trattati e i sistemi. Molte indagini filosofiche si possono conchiudere con la formola di qualche antico e comune detto o proverbio; ma questo proverbio, fungendo da conclusione di un'indagine, non è più l'antico e comune.[26]
  • Il Pianell era, dopo il vecchio principe di Satriano Fialangieri, la maggiore capacità militare dell'ex-Reame di Napoli, nei tempi dell'ultimo Borbone: distintosi già nella campagna di Sicilia del 1848-9, aveva adempiuto con intelligenza e ferma volontà parecchi incarichi gravi e difficili.[27]
  • [...] il principe di Sansevero, o il «Principe» per antonomasia, che cosa è altro in Napoli, per il popolino delle strade che attorniano la Cappella dei Sangro, ricolma di barocche e stupefacenti opere d'arte, se non l'incarnazione napoletana del dottor Faust o del mago salernitano Pietro Barliario, che ha fatto il patto col diavolo, ed è divenuto un quasi diavolo esso stesso, per padroneggiare i più riposti segreti della natura o compiere cose che sforzano le leggi della natura?[28]
  • Intimorito per le minacce fatteli dallo scrivano fiscale Not. Antonio di Sauro, con una crasta di piatto si aperse il ventre,; essendosi confessato, dopo sei ore morì, il dì 10 febbraio 1755, nelle carceri del Ponte di Tappia.[29]
  • Io, modestamente, so di vivere in un continuo colloquio con Dio, così serio e intenso che molti cattolici e molti preti non hanno mai sentito nella loro anima.[30]
  • L'impedimento che urge rimuovere è la persona del re, Vittorio Emanuele III, che ha aperto le porte al fascismo, lo ha favorito, sostenuto, servito per oltre vent'anni, lo ha seguito in tutte le sue azioni e persecuzioni più contrarie alla moralità... Pretendere che l'Italia conservi il presente re, è come pretendere che un redivivo resti abbracciato con un cadavere.[31]
  • L'ala destra [della scuola hegeliana] interpretava Hegel teisticamente: il soggetto, il Logo di Hegel, era il Dio personale; e la relazione della filosofia hegeliana col cristianesimo non consisteva soltanto nel riconoscimento del grande elemento filosofico incluso nella teologia cristiana, ma in un accordo ben altrimenti sostanziale. L'ala sinistra si opponeva ad ogni trascendenza e ad ogni concetto di un Dio personale; e, dando rilievo al carattere d'immanenza del sistema, giungeva fino a simpatizzare col materialismo filosofico, in quanto anch'esso, a suo modo, ha carattere immanente e non trascendente.[32]
  • L'Italia[33] di Volpe cammina ma non pensa. (citato in: Marcello Veneziani, Imperdonabili, Venezia, 2017, ISBN 978-88-317-2858-4, p. 305)
  • [Riferendosi a Benito Mussolini] [...] l'uomo, nella sua realtà, era di corta intelligenza, correlativa alla sua radicale deficienza di sensibilità morale, ignorante di quella ignoranza sostanziale che è nel non intendere e non conoscere gli elementari rapporti della vita umana e civile, incapace di autocritica al pari che di scrupoli di coscienza, vanitosissimo, privo di ogni gusto in ogni sua parola o gesto, sempre tra il pacchiano e l'arrogante.[34]
  • La conoscenza umana ha due forme: è o conoscenza intuitiva o conoscenza logica; conoscenza per la fantasia o conoscenza per l'intelletto; [...] è, insomma, o produttrice d'immagini o produttrice di concetti.[35]
  • La critica è un fucile molto bello: deve sparare raramente![36]
  • La giustizia vera è fatta di compassione.[37]
  • [Su Matelda, personaggio del Purgatorio di Dante] la fata della primavera, diventa ancella ed esecutrice di Riti espiatori.[38]
  • [Sulla rivoluzione di luglio francese] La inesperienza o la troppo breve pratica della vita libera non aveva permesso ancora la formazione di quel senso del cangiamento e della continuità ad una, che il popolo inglese possedeva, non certo per dono di natura, ma per la formazione storica.[39]
  • La iettatura è una cosa che non esiste, ma della quale bisogna tener conto.[40]
  • La libertà al singolare esiste soltanto nelle libertà al plurale.[41]
  • La morte sopravverrà a metterci in riposo, a toglierci dalle mani il compito a cui attendevamo; ma essa non può fare altro che così interromperci, come noi non possiamo fare altro che lasciarci interrompere, perché in ozio stupido essa non ci può trovare.[42]
  • La poesia solo in piccola parte si trova negli innumeri libri detti di poesia.[24]
  • La realtà è spiritualità e creatività, e non si lascia opprimere da concezioni naturalistiche, che si rivolgono sempre in fantastiche e pessimistiche.[43]
  • La sovranità in una relazione non è di nessuno dei componenti singolarmente preso, ma della relazione stessa, cioè dell'incontro.[44]
  • La storia non è mai giustiziera, ma sempre giustificatrice; e giustiziera non potrebbe farsi se non facendosi ingiusta, ossia confondendo il pensiero con la vita, e assumendo come giudizio del pensiero le attrazioni e le repulsioni del sentimento.[45]
  • La storia nostra è storia della nostra anima; e storia dell'anima umana è la storia del mondo.[24]
  • La violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggerla.[24]
  • Le verità definite dai filosofi non si abbattono a vicenda, ma si sommano e si integrano le une con le altre, e dominano il pensiero e la vita, se anche il volgo di questo non si avveda e non si avvede di esserne anch'esso dominato.[46]
  • Lottano metallurgici e magistrati, ferrovieri e professori universitari, tranvieri e ufficiali di marina, e, perfino i pensionati dello Stato, perfino gli scolaretti delle scuole secondarie contro lo sfruttamento che eserciterebbero sopra di essi i loro maestri. [...] Lo Stato è concepito come una lotteria, alla quale tutti giocano e nella quale si può vincere studiando un libro meno mistico di quello della Cabala, facendo chiasso sui giornali, agitandosi, minacciando e premendo su deputati e ministri.[47]
  • Malinconica e triste che possa sembrare la morte, sono troppo filosofo per non vedere chiaramente che il terribile sarebbe che l'uomo non potesse morire mai, chiuso nel carcere che è la vita, a ripetere sempre lo stesso ritmo vitale che egli come individuo possiede solo nei confronti della sua individualità a cui è assegnato un compito che si esaurisce.
    Ma altri crede che in un tempo della vita questo pensiero della morte debba regolare quel che rimane della vita, che diventa così una preparazione alla morte. Ora, la vita intera è preparazione alla morte, e non c'è da fare altro sino alla fine che continuarla, attendendo con zelo e devozione a tutti i doveri che ci spettano. La morte sopravverrà a metterci a riposo, a toglierci dalle mani il compito a cui attendevamo; ma essa non può far altro che così interromperci, come noi non possiamo fare altro che lasciarci interrompere, perché in ozio stupido essa non ci può trovare.
    Vero è che questa preparazione alla morte è intesa da taluni come un necessario raccoglimento della nostra anima in Dio; ma anche qui occorre osservare che con Dio siamo e dobbiamo essere a contatto tutta la vita e niente di straordinario ora accade che ci imponga una pratica inconsueta. Le anime pie di solito non la pensano così e si affannano a propiziarsi Dio con una serie di atti che dovrebbero correggere l'ordinario egoismo della loro vita precedente e che invece sono l'espressione intima di questo egoismo.[48]
  • Molta parte dell'anima nostra è dialetto.[49]
  • Napoli è un paese in cui è impossibile promuovere un pubblico interesse senza rimetterci il cervello e la salute.[50]
  • [Su Giovanni Cotta] Né gli mancano più forti corde, quali vibrano nell'ode all'Alviano per la guerra che conduceva in difesa della Serenissima.[51]
  • Nessuno pensava che i cosidetti arii di Germania avessero avuto bisogno di tanto aiuto e tanto avessero accettato dai non arii. Quale vergogna sfruttare il lavoro dell'estraneo e adornarne, come hanno fatto finora, la loro storia! E quale animo dignitoso e disdegnoso e fiero è quel Julius Streicher, che adesso viene chiedendo che non si curino più gl'infermi cristiani coi ritrovati medici dei Wassermann, dei Neisser, dei Fraenkel e di altri scienziati ebrei, e piuttosto li si lasci morire che accettare la lurida elemosina! Bravo: questa è rinunzia eroica, degna di un vero ario: alla quale si potrebbe solo obiettare (ma è obiezione che non conta) che, per questa via, la parola "ario" finirà a prendere il significato d'imbecille.[52]
  • Noi vogliamo, in fatto di scuola, a preferenza di sterminati eserciti di Serse, piccoli eserciti ateniesi e spartani, di quelli che vinsero l'Asia e fondarono la civiltà europea.[53]
  • [...] non bisogna dimenticare che il liberalismo disgiunto dalla democrazia inclina sensibilmente verso il conservatorismo e che la democrazia, smarrendo la severità dell'idea liberale, trapassa nella demagogia e, di là, nella dittatura.[54]
  • Non è vero, ma ci credo.[55]
  • Non possiamo distaccarci dal bene e dal male della nostra Patria, né dalle sue vittorie né dalle sue sconfitte.[56]
  • Non possiamo non essere cristiani, anche se non seguiamo più le pratiche del culto, perché il cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c'è fra noi e gli antichi [...] è proprio dovuta a questo gran fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il verbo cristiano.[57]
  • Non sarebbe il tempo di smettere di aver fiducia nelle opposizioni e distinzioni dei partiti politici, tanto più che l'esperienza politica ci mostra che il partito che governa o governa è sempre uno solo e ha il consenso di tutti gli altri, che fanno le finte di opporsi? Non sarebbe meglio contare sugli uomini saggi, lavoratori e consapevoli del loro dovere verso la patria, i quali in Italia sono in maggior numero che non credano i pessimisti?[58]
  • Non si poteva aspettare e neppure desiderare che il fascismo cadesse a un tratto. Esso non è stato un infatuamento o un giochetto. Ha risposto a seri bisogni e ha fatto molto di buono.[59]
  • Ogni vera storia è sempre autobiografica.[60]
  • [Su Giovanni Gentile] Per suo merito la pedagogia italiana è giunta ad una profondità e semplicità di concetti alla quale altrove non si è ancora sollevata, e per suo precipuo merito non solo la scienza ma la pratica e la politica dell'educazione è ora in Italia tutta in rivolgimento e crescenza. Grande è infatti l'autorità di lui in ogni ordine di scuole, perché ha vissuto profondamente la vita della scuola e l'ama con ardore.[61]
  • [Su Giustino Fortunato] Portò la questione meridionale a chiarezza di coscienza e di definizione, iniziandone la discussione in termini politici e storici, fino a farla riconoscere come la questione massima dello Stato italiano unitario.[62]
  • Qual nome di autore nostro di tragedie, di commedie e drammi possiamo pronunciare con vanto, nel secolo passato[63]e per la prima metà del presente? L'importanza che Napoli non ha avuto nel teatro letterario, l'ha avuta invece nella commedia popolare e dialettale, nell'opera buffa, nelle rappresentazioni all'improvviso, negli attori e nei personaggi comici che ha messo in circolazione.[64]
  • Quel giudizio, di cui si rimprovera a lei [alla storia] l'omissione, non è dunque veramente il giudizio, il solo giudizio che sia tale, l'atto del pensiero, ma un'approvazione o una condanna in rapporto a certi fini ideali che si vuol difendere, sostenere e far trionfare, e dinanzi ai quali, come dinanzi ai tribunali, si citano gli uomini del passato affinché rispondano delle loro azioni e ne ottengano il premio o ne vengano segnati dallo stigma che meritano di malvagità, di vizio, di sciocchezza, di inettitudine o altro che sia. In ciò fare nei loro riguardi, non si pon mente alla non piccola differenza che i tribunali nostri (giuridici o morali che siano) sono tribunali del presente e per uomini vivi e agenti e pericolosi, e quelli sostennero già i tribunali del loro tempo, e non possono essere assoluti o condannati due volte. Non sono essi responsabili dinanzi a nessun nuovo tribunale appunto perché, uomini del passato, entrati nella pace del passato, e come tali oggetto solamente di storia, non sopportano altro giudizio che quello che penetra nello spirito dell'opera loro e li comprende. Li comprende e non già insieme, come vuole il motto (« tout comprendre c'est tout pardonner »), li perdona, perché stanno ormai di là dalla severità e dall'indulgenza come dal biasimo e dalla lode. Coloro che, assumendo di narrare storie, si affannano a far giustizia, condannando e assolvendo, perché stimano che questo sia l'uffizio della storia, e prendono in senso materiale il suo metaforico tribunale, sono concordemente riconosciuti manchevoli di senso storico; e si chiamino pure Alessandro Manzoni.[24]
  • Salvemini fu ossessionato da un odio ferocissimo contro Giolitti e non vedeva altra via per il popolo italiano che il suffragio universale. Nel cervello di Salvemini vi è caos.[65]
  • Scocciatore è uno che ti toglie il piacere della solitudine e non ti dà quello della compagnia.[66]
  • [Su Martin Heidegger] Scrittore di generiche sottigliezze, arieggiante a un Proust cattedratico, egli che, nei suoi libri non ha dato mai segno di prendere alcun interesse o di avere alcuna conoscenza della storia, dell'etica, della politica, della poesia, dell'arte, della concreta vita spirituale nelle sue varie forme – quale decadenza a fronte dei filosofi, veri filosofi tedeschi di un tempo, dei Kant, degli Schelling, degli Hegel! –, oggi si sprofonda di colpo nel gorgo del più falso storicismo, in quello, che la storia nega, per il quale il moto della storia viene rozzamente e materialisticamente concepito come asserzione di etnicismi e di razzismi, come celebrazione delle gesta di lupi e volpi, leoni e sciacalli, assente l'unico e vero attore, l'umanità. [...] E cosi si appresta o si offre a rendere servigi filosofico-politici: che è certamente un modo di prostituire la filosofia.[67]
  • [La cultura e più di ogni altra la cultura greca] si era spenta, suscitando continuatori altrove: quel monaco calabrese Barlaamo e quel suo scolaro, Leonzio Pilato, [che insieme ad] altri traduttori ... operosi alla corte dei sovrani angioini, rappresentano l'ultima trasfusione della cultura normanno-sveva e meridionale nell'incipiente umanesimo.[68]
  • [Su John Ruskin] Temperamento d'artista, impressionabile, eccitabile, volubile, ricco di sentimento dava tono dommatico e forma apparente di teoria, in pagine leggiadre ed entusiastiche ai suoi sogni e capricci.[69]
  • Tosti si era foggiata la propria figura, da artista, e, sentendo battere il suo cuore d'italiano e facendo scorrere lo sguardo sulla sua nera veste di benedettino, provava il sentimento della realtà di quella figura, e operava e parlava in accordo con essa, non per calcolo politico o oratorio, ma sinceramente, per darle forma nei fatti.[70]
  • Un'altra manifestazione della volgare inintelligenza circa le cose della politica è la petulante richiesta che si fa della "onestà" nella vita politica. [...] L'onestà politica non è altro che la capacità politica: come l'onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze.[71]
  • [Su Diego Sandoval de Castro] [...] un petrarchista garbato e, come allora piaceva dire "soave" [...].[72]
  • L'Unesco aveva della cultura un'idea semplicemente sbagliata perché sciolta dalla sua sorella di sangue e spirito, la libertà.[73]
  • Un velo di mestizia par che avvolga la Bellezza, e non è velo, ma il volto stesso della Bellezza. (da La poesia, Laterza)
  • [Su José Borjes] Uno dei più rinomati cabecillas delle guerre carliste, coraggioso, esperto di guerra, sincero e devoto uomo.[74]
  • Vedete un po' se vi riesce di far che un gruppo di artisti collabori a un monumento. Questo che si otteneva sessanta o settant'anni fa, da scultori e pittori che avevano frequentato l'accademia e si recavano a messa la domenica (ossia si sottomettevano interiormente a qualcosa o qualcuno), ora è inconseguibile: [...] I nostri monumenti saranno per i posteri i documenti della nostra convulsione morale.[75]
  • Vedo che l'esattezza dell'esposizione del Borsa e la giustezza dei suoi giudizi vengono riconosciute da uno dei più esperti critici teatrali inglesi, da William Archer (in un articolo della Tribune, del 3 novembre 1906). L'Archer rimprovera soltanto al Borsa la troppa severità della tesi generale, che un teatro inglese contemporaneo non esista: la quale tesi gli sembra contradetta dalle analisi particolari che l'autore poi dà delle singole opere. E mi pare che l'Archer abbia ragione, e che un teatro in cui sono opere come quelle che Borsa fa conoscere ai lettori italiani, sia bene qualcosa di esistente; perché l'esistenza di un teatro non può significare chiaramente altro che l'esistenza di alcuni autori e di alcune opere, fornite di caratteri originali.[76]
  • [...] l'altro pericolo, quello degli ignoranti che teorizzano, giudicano, sentenziano, che fanno scorrere fiumi di spropositi, che mettono in giro formule senza senso, che credono di possedere nella loro ignoranza stessa una miracolosa sapienza, lo conosciamo perché lo abbiamo sperimentato bene. Si è chiamato, nella sua forma più recente, «fascismo». Io ho pensato denominarlo in greco: onagrocrazia.[77]

Ariosto, Shakespeare e Corneille[modifica]

Avvertenza[modifica]

  • I tre saggi, raccolti in questo volume, non vi si trovano a caso, e neanche per la ragione estrinseca che i tre poeti, da cui prendono il titolo, appartengono in certo senso a tre momenti consecutivi di una stessa epoca storica. Ho raccostato questi tre poeti, perché mi davano modo di studiare tre tipi assai diversi d'arte; di provare nel fatto come con gli stessi principî si ottenga l'intelligenza delle forme artistiche più diverse e quasi opposte; di rendere più perspicua la caratteristica di ciascuno mercé il contrasto con gli altri; e d'illustrare ed esemplificare e confermare alcuni concetti estetici, e in genere filosofici, che mi stanno particolarmente a cuore. Quanto al metodo da me tenuto in questi saggi, non ho bisogno di dichiararlo ai miei vecchi lettori, e d'altronde mi sembra che essi portino con sé gli schiarimenti necessari e sufficienti. Ma chi desideri vederlo più direttamente dibattuto e ragionato in teoria, può consultare il volume, che è uscito in luce poco prima di questo, dei Nuovi saggi di estetica. (B. C., Napoli, maggio 1920)
  • Nella seconda edizione (1928) fu aggiunta al saggio sul Corneille una recensione del libro del Vossler su Racine. Del saggio sullo Shakespeare si ha ora una eccellente edizione presso Laterza, corredata di introduzione critica e di note filologiche da Napoleone Orsini (1948). (B.C., marzo 1950)

Ariosto[modifica]

Incipit[modifica]

La fortuna dell'Orlando furioso si può comparare a quella di una donna leggiadra e sorridente, che tutti guardano con letizia, senza che l'ammirazione sia impacciata da alcuna perplessità d'intelletto, bastando, per ammirare, aver occhi e volgerli al grato oggetto. Limpidissimo com'è quel poema, nitidissimo in ogni particolare, facilmente apprendibile da chiunque possieda una generale cultura, non ha mai presentato seri ostacoli d'interpretazione, e perciò non ha avuto bisogno delle industrie dei commentatori e non è stato aduggiato dalle loro litiganti sottigliezze; né poi è andato soggetto, o assai lievemente, alle intermittenze che, per le varie disposizioni culturali dei vari tempi, hanno pur sofferto altre insigni opere di poesia. Grandi uomini e comuni lettori si sono trovati intorno ad esso in pieno accordo, come appunto intorno alla bellezza, poniamo di una signora Récamier; e nella folla di coloro che furono presi dal suo fascino, si notano un Machiavelli e un Galilei, un Voltaire e un Goethe.

Citazioni[modifica]

  • Se l'Ariosto fosse stato un filosofo, o un poeta filosofo, avrebbe sciolto un inno all'Armonia, come non pochi se ne posseggono nella storia della letteratura, cantando quell'alta Idea che gli rendeva comprensibile la discorde concordia delle cose e, appagandogli l'intelletto, infondeva pace e gioia nell'animo. (p. 31)
  • Soverchia nel Furioso, la materia d'amore, perché soverchia nel cuore dell'Ariosto, nel quale essa agevolmente trapassava a sentimenti gentili, alla pietà che va oltre le tombe, alla rivendicazione dell'innocenza calunniata e della gratitudine brutalmente violata, al fervido culto pel santo nodo dell'amicizia. (p. 36)
  • Bontà e generosità erano anche la sostanza del suo sentimento politico, da onest'uomo di tutti i tempi, che piange sulle sventure della patria, aborre il dominio degli stranieri, giudica severamente le oppressioni dei signori, si scandalizza per la corruttela ed ipocrisia dei preti e Chiesa, lamenta che le armi unite di Europa non si volgono contro il Turco ossia contro il barbaro infesto. (p. 37)
  • L'Ariosto era irriverente, o, ch'è lo stesso, indifferente, spirito altrettanto areligioso quanto afilosofico, non angosciato da dubbi, non pensoso del destino umano, non curioso del significato e valore di questo mondo che vedeva e toccava, e nel quale amava e dolorava; estraneo del tutto, come a ogni altra filosofia, a quella del Rinascimento, sia del Ficini sia del Pomponazzi. (p. 40)

Shakespeare[modifica]

Incipit[modifica]

  • Potrà sembrare superfluo, ma in effetto giova a procedere spediti, porre subito qui in principio l'avvertenza, che ciò che forma oggetto di studio pel critico e lo storico dell'arte, non è la persona pratica dello Shakespeare, ma la persona poetica; non il carattere e lo svolgimento della sua vita, ma il carattere e lo svolgimento dell'arte sua.

Citazioni[modifica]

  • Il bene o la virtù è, senza dubbio, nello Shakespeare, più forte del male e del vizio, ma non perché superi e risolva in sé l'altro termine, sibbene semplicemente è luce verso la tenebra, è bene, è virtù; insomma, in ragione della sua qualità stessa, che il poeta discerne e coglie nella purezza e verità originale, senza sofisticarla e infiacchirla. (p. 86)
  • La quintessenza di tutte queste commede (al modo stesso che, rispetto alle grandi tragedie, si può in certo senso dire dell'Amleto) è il Sogno di una notte di mezza estate; dove le rapide accensioni, le incostanze, i capricci, le illusioni e le delusioni, le follie d'ogni sorta dell'amore si danno un corpo e tessono un loro mondo così vivo e reale come quello degli uomini che quegli affetti visitano, estasiandoli e tormentandoli, innalzandoli e abbassandoli; sicché tutto vi è parimente reale e parimente fantastico, secondo meglio piaccia chiamarlo. Il senso del sogno, di un sogno-realtà, permane e impedisce ogni freddezza di allegoria e di apologo. (p. 102)
  • Quando dopo il Sogno, si legge Romeo e Giulietta, par di non essere usciti da quell'ambiente poetico, al quale espressamente ci richiamano Mercutio, col suo ricamo fantastico sulla Regina Mab, e, quel che è più, lo stile, le rime e la generale fisionomia della breve favola. Tutti, parlando di Romeo e Giulietta, hanno provato il bisogno di ricorrere a parole e immagini soavi e gentili; e lo Schlegel vi ha sentito «i profumi della primavera, il canto dell'usignuolo, il delicato e fresco di una rosa mo' sbocciata», e lo Hegel ha pensato allo stesso fiore: alla «molle rosa nella valle di questo mondo, spezzata dalle rudi tempeste e dall'uragano»; ed il Coleridge, di nuovo, alla «primavera coi suoi odori, i suoi fiori e la sua fugacità». Tutti lo hanno considerato come il poema dell'amor giovanile, e hanno riposto l'acme del dramma nelle due scene del colloquio d'amore attraverso il notturno giardino e della dipartita dopo la notte nunziale, nelle quali è stato scorto da taluni il rinnovarsi di forme tradizionali della poesia d'amore, l'«epitalamio» e l'«alba». (p. 102)
  • Il male: ma se questo male fosse del tutto e apertamente male, turpe, ripugnante, la tragedia sarebbe finita prima che cominciata. Esso si chiamava, invece, per Macbeth, greatness, la grandezza: la grandezza che le fatali sorelle gli hanno profetata, che il corso destinato degli eventi comincia pronto a largirgli, additandogli prossimo e certo tutto il resto, sol ch'egli non stia ad attendere inerte, ma si muova, stenda la mano e lo afferri. (p. 130)
  • Nel Macbeth, il bene appare solo nella vendetta che il bene compie, nel rimorso, nella punizione. Nessuna figura ne impersona la presenza. (p. 133)
  • Nel Re Lear, il tempestoso dramma, che è tutto una sequela di tradimenti orrendi, la bontà s'impersona, prende un nome, Cordelia; e brilla essa sola nella tempesta, ad essa sola si guarda, come in un cielo cupo all'unica stella che vi scintilla. (p. 134)
  • Un odio infinito per la malvagità ingannatrice ha ispirato quest'opera [Re Lear]: l'egoismo puro e semplice, la crudeltà, la perversità muovono ripugnanza ed orrore, ma non inducono direttamente al tremendo dubbio che il bene non esista o quanto meno non sia riconoscibile e sceverabile dal suo contrario, come accade invece per l'inganno morale, che prende sembianza di rettitudine, di generosità, lealtà, e, poi che ha ottenuto il suo intento, disvela nel fatto l'impura cupidigia, l'aridità, la durezza di cuore, che sole realmente esistevano. (p. 134)
  • Nella tragedia di Otello, il male volge un'altra delle sue facce; e il sentimento che gli risponde è, questa volta, non la condanna mista di pietà, non l'orrore per l'ipocrisia e per la crudeltà, ma lo stupore. Jago non è il male commesso per un sogno di grandezza, non è il male per l'egoistico soddisfacimento delle proprie voglie, ma il male per il male, compiuto quasi per un bisogno artistico, per attuare il proprio essere e sentirlo potente e denominatore e distruttore anche nella subordinata condizione sociale in cui esso è posto. (p. 137)
  • Dal senso violento della voluttà nella sua possanza allettatrice e dominatrice, e insieme dal brivido pei suoi effetti di abiezione, di dissoluzione e di morte, è formata la tragedia di Antonio e Cleopatra.
    Baci, carezze, languori, suoni, profumi, luccicor d'oro e di drappi lussuosi, barbaglio di luci e silenzi d'ombre, un godere ora estasiato ora spasimante e furioso, è il mondo in cui essa si svolge; e regina di questo mondo è Cleopatra, avida di voluttà, datrice di voluttà, che diffonde a sé intorno quel fremito di piacere, ne offre insieme l'esempio e l'incitamento, e insieme conferisce all'orgia un carattere regale e quasi mistico. (p. 140-141)
  • Amleto è stato generalmente considerato come la tragedia delle tragedie shakespeariane, quella in cui il poeta ha messo più di sé stesso, ha dato la sua filosofia, e ha riposto la chiave delle altre tutte. Ma, a parlar con rigore, nell'Amleto lo Shakespeare ha messo sé stesso né più né meno che nelle altre tutte, cioè la poesia. (p. 146)

Corneille[modifica]

Incipit[modifica]

Una critica d'intonazione negativa circa le tragedie corneliane non è più da fare, perché si trova già in molti libri; e, d'altronde, se c'è un poeta estraneo al gusto e all'interessamento odierni (per lo meno fuori di Francia), questi è Corneille, e i più degli amatori di poesia e d'arte confessano senza ritegno di non reggere alla lettura di quelle tragedie, e che esse «non dicono loro niente».

Citazioni[modifica]

  • Lo Schiller, lette le opere più lodate del Corneille, si meravigliava della rinomanza in cui era salito un autore così povero d'inventiva, magro e secco nel trattamento dei caratteri, freddo negli affetti, stentato e duro nello svolgimento delle azioni, e privo quasi sempre d'interesse. (p. 195)
  • Guglielmo Schlegel notava in lui, al luogo della poesia, «epigrammi tragici» ed «arie di bravura», pompa e non grandezza; lo sentiva gelido nelle scene d'amore – un amore che di solito non era amore, ma un ben calcolato aimer par politique, secondo la parola dell'eroe Sertorio, – e lo vedeva assai rigirato e machiavellico, e per ciò stesso ingenuo e puerile, nel concepire le cose della politica; e la più parte delle tragedie definiva nient'altro che trattati sulla ragion di stato in forma di dibattiti, con mosse non da poeta ma da giocatore di scacchi. (p. 196)
  • L'ideale corneliano è stato riposto dai più recenti interpreti nella volontà per sé stessa, nella «volontà pura», superiore o anteriore al bene o al male, nella energia del volere in quanto tale, prescindendo dai suoi fini particolari. Con ciò si è ben eliminato il falso concetto che lo descriveva, invece, come l'ideale del dovere morale e della lotta trionfale tra il dovere e le passioni; e si è ottenuto l'accordo non solo con la realtà di quelle tragedie, ma anche con quanto il Corneille stesso, teorizzando, diceva nei suoi Discours circa il personaggio drammatico. (p. 210)

Breviario di estetica[modifica]

  • Alla domanda: – Che cosa è l'arte? – si potrebbe rispondere celiando (ma non sarebbe una celia sciocca): che l'arte è ciò che tutti sanno che cosa sia.
  • Io dirò subito, nel modo più semplice, che l'arte è visione o intuizione. L'artista produce un'immagine o fantasma; e colui che gusta l'arte volge l'occhio al punto che l'artista gli ha additato, guarda per lo spiraglio che colui gli ha aperto e riproduce in sé quell'immagine.
  • L'errore non è mai puro, ché, se fosse tale, sarebbe verità.
  • L'errore parla con doppia voce, una delle quali afferma il falso, ma l'altra lo smentisce.
  • [L'arte], poiché non nasce per opera di volontà, si sottrae altresì a ogni discriminazione morale, non perché le sia accordato un privilegio di esenzione, ma semplicemente perché la discriminazione morale non trova modo di applicarlesi. [...]. Altrettanto varrebbe giudicare immorale la Francesca di Dante o morale la Cordelia di Shakespeare [...], quanto giudicare morale il quadrato o immorale il triangolo.
  • Un'aspirazione chiusa nel giro di una rappresentazione, ecco l'arte.

La letteratura della nuova Italia[modifica]

  • Chi può ora sostenere la lettura dei romanzi dovuti alla penna del focoso giornalista-epigrammista che fu Ferdinando Petruccelli della Gattina [...], che vorrebbero dare quadri della Napoli borbonica e danno invece un cumulo di cose enormi, di delitti tenebrosi, di stranezze, di scempiaggini, senza disegno e senza stile, con una disinvoltura e un brio di maniera, meccanici e falsi? (Laterza, Bari, 1974)
  • Il legno, in cui è tagliato Pinocchio, è l'umanità. (Laterza, 1964, vol. V, p. 331)
  • Tal quale il Di Giacomo delle novelle e de versi si ritrova nei parecchi libri che ha pubblicati di ricerche storiche [...].
    L'erudito può fare qualche obiezione e dichiararsi mal soddisfatto e dell'accoppiamento di storia e immaginazione e della subordinazione dei problemi propriamente storici alla contemplazione sentimentale e passionale. Ma sotto l'aspetto artistico, come non accettare le pagine d'arte, che il Di Giacomo, non sapendo resistere alla propria natura, ha frammezzate ai suoi spogli di documenti? (da «Salvatore Di Giacomo», Letteratura della nuova Italia, Laterza, Bari 1973)
  • Tutta l'autobiografia è piena di bozzetti e raccontini che, staccandosene, costituirono poi, con qualche aggiunta, il volume: Goccie d'inchiostro. Alcuni sono bozzetti di bambini dove il Dossi, da un niente, sa trarre una pagina indimenticabile: come nella scenetta che s'intitola Le caramelle e che bisogna leggere piano, assaporando. (Laterza, Bari 1973)

La rivoluzione napoletana del 1799[modifica]

  • Una scena selvaggia coronò questi ultimi istanti del feroce martirio. La Luisa [Sanfelice], circondata e sorretta dai fratelli dei Bianchi, salì sul palco. E si facevano gli estremi preparativi, e le infami mani del carnefice l'acconciavano sotto il taglio della scure, quando un soldato, di quelli che assistevano all'esecuzione, lasciò sfuggire accidentalmente un colpo di fucile. Il carnefice, spaurito e già sospettoso di qualche tumulto, a questo si turbò e lasciò cadere in fretta la scure sulle spalle della vittima: sicché poi, tra le grida d'indignazione del popolo, fu costretto a troncarle la testa con un coltello.
    Quelle povere membra, che avevano finito di soffrire, vennero sepolte nella prossima chiesa di Santa Maria del Carmine. (cap. III, pp 165-166)
  • Il Colletta è passato e passa ancora, nell’opinione generale, per uno scrittore poco esatto e, quel ch’è peggio, di poca buonafede. Ora invece ogni studio particolare, che si pubblica sui fatti trattati nella sua storia (compresi i pochi esaminati di sopra), prova, se non sempre la sua esattezza (di quale storico si potrebbe pretendere codesto!), sempre la sua buona fede. Di che ho anch'io molti altri argomenti da esser persuaso, e son certo che, tra breve, riuscirà agevolissima la seguente dimostrazione. Che, cioè, il Colletta, nell’accingersi alla sua storia, si senti e si mise in disposizione di storico, alto, sereno, e, nel lavorarla, fece tutte le ricerche, che ai suoi tempi poteva fare, e non travisò volontariamente la verità, come è provato invece che la travisassero spesso volontariamente i servitori borbonici (per chiamarli col titolo da essi ambito), che scrissero in opposizione di lui. (cap. III, pp. 188-189)
  • Grande è l'importanza di Carlo Lauberg, l'anima di tutto il movimento rivoluzionario napoletano, colui che può ben dirsi «il primo cospiratore del moderno risorgimento italiano»[78]. La ragione, per la quale il Lauberg è stato trascurato dagli storici, è ben additata dal Rossi: l'attenzione si è rivolta, quasi esclusivamente, a coloro che perirono sul patibolo. (cap. V, p. 210)
  • Valente chimico e seguace delle teorie del Lavoisier [...], [Carlo Lauberg] cercò nel 1788 di estrarre l'indaco col macerare le foglie della Isatis tinctoria, e nel 1789 procurò di stabilire in Napoli una fabbrica di acido solforico.
    Ma non era soltanto chimico, sibbene versato altresì negli studi della meccanica e della matematica, [...]. (cap. V, p. 211)

Manifesto degli intellettuali antifascisti[modifica]

Incipit[modifica]

  • Gl'intellettuali fascistici, riuniti in congresso a Bologna, hanno indirizzato un manifesto agl'intellettuali di tutte le nazioni per spiegare e difendere innanzi ad essi la politica del partito fascista.[79][80]. Nell'accingersi a tale impresa, quei volenterosi signori non debbono essersi rammentati di un consimile famoso manifesto che, agli inizi della guerra europea, fu lanciato al mondo dagli intellettuali tedeschi: un manifesto che raccolse, allora, la riprovazione universale, e più tardi dai tedeschi stessi fu considerato un errore. [...] Contaminare politica e letteratura, politica e scienza è un errore, che, quando si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi nemmeno un errore generoso[81].

Citazioni[modifica]

  • E, veramente, gl'intellettuali, ossia i cultori della scienza e dell'arte, se come cittadini, esercitano il loro diritto e adempiono il loro dovere con l'ascriversi a un partito e fedelmente servirlo, come intellettuali hanno solo il dovere di attendere, con l'opera dell'indagine e della critica, e con le creazioni dell'arte, a innalzare parimenti tutti gli uomini e tutti i partiti a più alta sfera spirituale, affinché, con effetti sempre più benefici, combattano le lotte necessarie. Varcare questi limiti dell'ufficio a loro assegnato, contaminare politica, letteratura e scienza, è un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi neppure un errore generoso.
  • Nella sostanza, quella scrittura, è un imparaticcio scolaresco, nel quale in ogni punto si notano confusioni dottrinali e mal filati raziocini.
  • Ma il maltrattamento della dottrina e della storia è cosa di poco conto, in quella scrittura, a paragone dell'abuso che vi si fa della parola "religione"; perché, a senso dei signori intellettuali fascisti, noi ora in Italia saremmo allietati da una guerra di religione, dalle gesta di un nuovo evangelo e di un nuovo apostolato contro una vecchia superstizione, che rilutta alla morte, la quale le sta sopra e alla quale dovrà pur acconciarsi;
  • Chiamare contrasto di religione l'odio e il rancore che si accendono da un partito che nega ai componenti degli altri partiti il carattere d'italiani e li ingiuria stranieri, e in quest'atto stesso si pone esso agli occhi di quelli come straniero e oppressore, e introduce così nella vita della Patria i sentimenti e gli abiti che sono propri di altri conflitti; nobilitare col nome di religione il sospetto e l'animosità sparsi dappertutto, che hanno tolto perfino ai giovani dell'Università l'antica e fidente fratellanza nei comuni e giovanili ideali, e li tengono gli uni contro gli altri in sembianti ostili: è cosa che suona, a dir vero, come un'assai lugubre facezia.
  • Noi rivolgiamo gli occhi alle immagini degli uomini del Risorgimento, di coloro che per l'Italia patirono e morirono, e ci sembra di vederli offesi e turbati in volto alle parole che si pronunziano e agli atti che si compiono dai nostri italiani avversari, e gravi e ammonitori a noi perché teniamo salda in pugno la loro bandiera.
  • Ripetono gl'intellettuali fascisti, nel loro manifesto, la trista frase che il Risorgimento d'Italia fu opera di una minoranza; ma non avvertono che in ciò appunto fu la debolezza della nostra costituzione politica e sociale e anzi par quasi che si compiacciano della odierna per lo meno apparente indifferenza di gran parte dei cittadini d'Italia di fronte ai contrasti tra il fascismo e i suoi oppositori. I liberali di tal cosa non si compiacquero mai, e si studiarono a tutto potere di venire chiamando sempre maggior numero d'italiani alla vita pubblica; e in questo fu la precipua origine anche di qualcuno dei più disputati loro atti, come la largizione del suffragio universale.
  • La presente lotta politica in Italia varrà, per ragione di contrasto, a ravvivare e a fare intendere in modo più profondo e più concreto al nostro popolo il pregio degli ordinamenti e dei metodi liberali, e a farli amare con più consapevole affetto. E forse un giorno, guardando serenamente al passato, si giudicherà che la prova che ora sosteniamo, aspra e dolorosa a noi, era uno stadio che l'Italia doveva percorrere per rinvigorire la sua vita nazionale, per compiere la sua educazione politica, per sentire in modo più severo i suoi doveri di popolo civile.

Nuove pagine sparse[modifica]

  • C'è la formula della saggezza e della sapienza? C'è, ed è questa: riconoscere che senza il male la vita e il mondo non sarebbero, e tutt'insieme combattere sempre, praticamente e irremissibilmente, il male e cercare e attuare sempre indefessamente il bene. (vol. 1, p. 288)
  • Dirò che, in generale, gli autori da me criticati mi ricambiarono di benevolenza, forse perché sentirono che c'era in me sincero desiderio di cercare e di affermare il vero.
  • Gli umili e gli oppressi vedendo i dolori e le ingiustizie della vita, era ben difficile che la concezione ultronea di questa non fosse pessimistica.
  • Non è possibile disputare su ciò che è stato dichiarato di per sè inesistente, e cioè sul pensiero e sulla verità.
  • Con dolorosa meraviglia a me è accaduto notare di recente in uomini di molta levatura di un popolo atrocemente perseguitato e a cui favore e protezione si è schierata tutta la maggiore e migliore parte degli altri popoli della terra, non già solo la riluttanza a vincere il loro millenario separatismo, stimolo alle deplorevoli persecuzioni, ma il proposito di rinsaldarlo, rinsaldando l’idea messianica, e contrapponendosi a tutti gli altri popoli: proposito al quale si accompagna una sorta di sentimento tragico, come di popolo destinato a fare di sé stesso olocausto a una divinità feroce. (vol. 1, p. 345)

La poesia di Dante[modifica]

Incipit[modifica]

C'è ragione alcuna per la quale la poesia di Dante debba esser letta e giudicata con metodo diverso da quello di ogni altra poesia?

Citazioni[modifica]

  • E veramente in qualsiasi poeta e opera di poesia è dato rintracciare, più o meno copiosi e con risalto maggiore o minore, concetti scientifici e filosofici, tendenze e fini pratici, e anche intenzioni e riferimenti riposti, presentati sotto velo trasparente o adombrati in modo misterioso come ben chiusi nella mente dell'autore. Perciò di ogni poeta, che è sempre insieme uomo intero, e di ogni poesia, che è insieme un volume o un discorso e lega molte cose squadernate, è dato compiere, oltre l'interpetrazione poetica, una varia interpetrazione filosofica e pratica, che, sotto l'aspetto da cui guardiamo, possiamo chiamare «allotria». (p. 10)
  • E nella storia del buon avviamento di quelle indagini converrebbe segnare tra i più lontani precursori Vincenzo Borghini, che nel cinquecento comprese la necessità metodica di ricercare documenti autentici del pensiero e del sapere di Dante, e di rifarsi alla lingua e alle costumanze dell'età sua (p. 12)
  • Seguendo i principî dianzi stabiliti circa l'allegoria, non ci siamo dati pensiero di ricercare se alcuni o tutti i componimenti e le narrazioni di cui si è fatto cenno, e il libretto della Vita nuova nel suo complesso, siano allegorici; perché, allegorizzati o no, allegorizzati ante o post festum, il loro significato poetico, e il loro poetico pregio o difetto, resta il medesimo (p. 43)

Poesia e non poesia[modifica]

  • Il Monti fu, dunque rispetto ai poeti che con lui si usa mettere a contrasto, poeta di orecchio e d'immaginazione, e non punto rappresentante di un'età contro un'altra età: differenza di conformazione mentale, non di contenuto storico. E tanto poco egli chiuse un'età o appartenne a un'età chiusa, che, per contrario, formò scuola: una scuola certamente di valore scarso o nullo, ma sol perché scarso o nullo è il valore di tutte le scuole poetiche; e che per estensione e diffusione non fu inferiore ma piuttosto superiore alla foscoliana e alla leopardiana, [...]. (cap. II, Monti; p. 24)
  • È stato considerato talvolta il Leopardi come un poeta filosofo, cosa che, per le spiegazioni ora date, si dimostra non esatta per lui come è sempre inesatta per ogni poeta. La sua fondamentale condizione di spirito non solo era sentimentale e non già filosofica, ma si potrebbe addirittura definirla un ingorgo sentimentale, un vano desiderio e una disperazione cosi condensata e violenta, cosi estrema, da riversarsi nella sfera del pensiero e determinarne i concetti e i giudizi. (cap. X, Leopardi; pp. 109-110)
  • E quelle, tra le Operette morali, cosi intonate riuscirono di necessità frigidissime: vani sforzi di offrire rappresentazioni comiche (che non lo spirito polemico e il malumore ma solo lietezza e serena fantasia possono generare); personaggi, che sono meri nomi; dialoghi, che sono monologhi ; prosa lavoratissima ma estrinseca, e che tiene sovente qualcosa del vaniloquio accademico. (cap. X, Leopardi; p. 111)
  • Certe volte, nel leggere i dialoghi delle Operette morali si presentano con insistenza al ricordo (e non sono io che ho provato pel primo questa impressione, perché vedo ora che la provò anche il Pascoli) certi altri Dialoghetti, vergati dalla penna reazionaria del conte Monaldo, e si sente la somiglianza non solo nella comune predilezione letteraria per quel genere accademico, per quelle tanto abusate imitazioni da Luciano, per quei «ragguagli di Parnaso», ma anche nello spirito angusto, retrivo, reazionario, nell'antipatia pel nuovo e vivente; [...]. (cap. X, Leopardi; p. 111)
  • Per ritrovare, sotto il rispetto artistico, il Leopardi schietto e sano bisogna dunque cercarlo, non dove egli polemizza, ironizza e satireggia, e ride male, ma dove si esprime serio e commosso ; e questo è il Leopardi migliore delle stesse Operette quello, per es., di alcune pagine del dialogo di Timandro ed Eleandro, che tanto si avvicinano al tono delle più belle lettere dell'Epistolario. (cap. X, Leopardi; pp. 112-113)
  • Nel Sabato del villaggio la scena poetica che avrebbe dovuto suggerire coi suoi stessi tocchi il pensiero della gioia aspettata, che è unica e vera gioia, della gioia di fantasia, è commentata da una critica riflessione e appesantita da un allegorizzamento, che prende forma di rettorica esortazione al «garzoncello scherzoso». (cap. X, Leopardi; pp. 117-118)
  • [...] non bisogna lasciarsi fermare dalla somma correttezza e proprietà ed eleganza con la quale la poesia del Leopardi si presenta, ma guardare in là e osservare che sotto quella irreprensibilità letteraria, se non si avverte mai vuoto nel pensare e nel sentire, nondimeno, poeticamente, si ritrova ora il forte ora il fiacco, ora il pieno e ora il lacunoso, e affermare che la poesia del Leopardi è assai più travagliata di quanto non si sospetti o di quanto non si creda. C'è in essa dell'arido, c'è della prosa, c'è del formalmente letterario, e c'è insieme poesia dolcissima e purissima e armoniosissima ; e forse quell'impaccio, che precede o segue i liberi movimenti della fantasia e del ritmo, fa meglio sentire il miracolo della creazione poetica. (cap. X, Leopardi; pp. 118-119)
  • La rappresentazione della realtà e la bellezza sono in arte la stessa cosa, e [...], dove si sente che manca la bellezza, manca nient'altro che la perfezione stessa del rappresentare. (cap. XIX, Balzac; p. 247)
  • È proprio delle democrazie preferire in arte i valori scadenti ai genuini, che sono aristocratici e antiutilitari. ("Schiller")[82]

Storia del Regno di Napoli[modifica]

Incipit[modifica]

Qualche tempo fa, nel mettere ordine tra i miei libri e nel riunire in un solo scaffale tutti quelli attinenti alla storia napoletana, mi tornò tra mano il raro volume di Enrico Cenni, Studi di diritto pubblico, e lo lessi da cima a fondo come non avevo fatto per l'innanzi.

Citazioni[modifica]

  • Mi stava vivo nel ricordo Enrico Cenni, cattolico e liberale, napoletano e italiano, giurista e filosofo, così come l'avevo conosciuto negli ultimi suoi anni, con l'alta persona, i canuti capelli, gli occhi scintillanti, e mi pareva non solo comandarmi con la sua autorità l'accoglimento di quei concetti, ma, col richiamarmi ai doveri della pietà filiale, farmi vergognare di avere altra volta tenuto in proposito assai diverso pensiero. Pure, alla fine, non senza qualche riluttanza, il mio spirito critico riprese il sopravvento, e cominciai mentalmente a discutere col bravo Cenni, come se egli fosse ancora vivente ed io presso al suo letto d'infermo, dove mi recavo a visitarlo. (p. 19)
  • È ormai noto: il Vespro siciliano, che ingegni poco politici e molto rettorici esaltano ancora come grande avvenimento storico, laddove fu principio di molte sciagure e di nessuna grandezza. Non la conquista angioina, ma quella ribellione e distacco della Sicilia infranse l'unità della monarchia normanno-sveva, ne fiaccò le forze, le rapì la sua storica missione, e diè origine veramente al regno di Napoli, a quel «Regno» che visse più secoli di vita e di cui molte tracce permangono nelle odierne condizioni sociali e nei costumi di queste terre. (pp. 30-31)
  • Il possesso del regno di Napoli fu per la Spagna un accrescimento di potenza politica, e più ancora di prestigio, e un punto d'appoggio militare, ma, tutto sommato, una passività economica. (p. 189)
  • La Spagna governava il regno di Napoli come governava sé stessa, con la medesima sapienza o la medesima insipienza; e, per questo rispetto, tutt'al più si può lamentare che il regno di Napoli, poiché doveva di necessità unirsi ad altro stato più potente, cadesse proprio tra le braccia di quello che era il meno capace di avvivarne la vita economica, e col quale non gli restava da accomunare altro che la miseria e il difetto di attitudini industriali e commerciali. (p. 190)
  • Pure, nel crollo che seguì, quello stato che fu l'antico regno di Napoli non moriva del tutto ingloriosamente, e il suo esercito – quella parte del suo esercito che non si era dissipata o unita alla rivoluzione – salvò l'onore delle armi sul Volturno e a Gaeta. E noi dobbiamo inchinarci alla memoria di quegli estremi difensori, tra i quali erano nobili spiriti, come quel Matteo Negri che nel '48 era andato anche lui alla difesa di Venezia, ma nel '60 non seppe staccarsi dalla bandiera del suo reggimento, e, italiano, cadeva ucciso in combattimento contro italiani. (p. 331)

Explicit[modifica]

Ricercando la tradizione politica nell'Italia meridionale, ho trovato che la sola di cui essa possa trarre intero vanto è appunto quella che mette capo agli uomini di dottrina e di pensiero, i quali compierono quanto di bene si fece in questo paese, all'anima di questo paese, quanto gli conferì decoro e nobiltà, quanto gli preparò e gli schiuse un migliore avvenire, e l'unì all'Italia. Benedetta sia sempre la loro memoria e si rinnovi perpetua in noi l'efficacia del loro esempio!

Storia d'Italia dal 1871 al 1915[modifica]

Incipit[modifica]

Nel 1871, fermata la sede del regno in Roma, si ebbe in Italia il sentimento che un intero sistema di fini, a lungo perseguiti, si era in pieno attuata, e che un periodo storico si chiudeva.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Citazioni[modifica]

  • Si sostenne, oltre alle guerre, la lunga e dolorosa guerriglia del brigantaggio, inacerbitosi nell'Italia meridionale, come di solito nelle rivoluzioni e nei passaggi di governo, e che fu domato finalmente e per sempre: cosicché la parola "brigantaggio" poté a poco a poco dissociarsi dal nome del paese d'Italia, al quale era stata congiunta forse più che ad altra parte di Europa, almeno nei tempi moderni. (p. 29)
  • Lo schiacciamento, che seguì, della Francia da parte delle genti germaniche, e l'esegesi storico-filosofica che ne dettero i pensatori e professori d'oltre Reno, sembrarono avvolgere nel funebre sudario tutte le razze latine: la battaglia di Sedan prendeva l'aspetto di una finis Romae. (p. 111)

Storia d'Europa[modifica]

Incipit[modifica]

Alla fine dell'avventura napoleonica, sparito quel geniale despota dalla scena che tutta occupava, e mentre i suoi vincitori s'intendevano o procuravano d'intendersi fra loro e di procedere d'accordo per dare all'Europa, mercé restaurazioni di vecchi regimi e opportuni rimaneggiamenti territoriali, uno stabile assetto che sostituisce quello fortemente tenuto per sempre precario dell'Impero della nazione francese, – in tutti i popoli si accendevano speranze e si levavano richieste d'indipendenza e di libertà. E queste richieste si facevano più energiche e frementi quanto più si opponevano repulse e repressioni; e le speranze presto si ravvivavano, e i propositi si rafforzavano, attraverso le delusioni e le sconfitte.

Citazioni[modifica]

  • La libertà (ripeteva Luigi Blanc) è una «parola», è un'«esca per gli ingenui», non essendovi altra libertà che quella che si ottiene nello Stato con l'«organizzazione del lavoro». (p. 126)

La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte[modifica]

Incipit[modifica]

La storia è scienza o arte? – Questa domanda è stata fatta molte volte; ma l’opinione che se ne ha ordinariamente, nel mondo letterario, è che sia una domanda triviale, di quelle che soltanto il confusionismo volgare si suol proporre e malamente risolvere. Infatti, quei che l’han mossa e la muovono, o non le danno essi stessi un senso determinato o, quando son costretti a darglielo, si limitano a significar con essa, semplicemente: «se la storia, oltre all’essere esattamente appurata, debba essere rappresentata con vivacità e scritta artisticamente bene». E, al senso indeterminato della domanda, fa riscontro quello delle risposte, delle quali la più comune è questa: che «la storia sia scienza ed arte, al tempo stesso».

Explicit[modifica]

Con questo siamo giunti al termine del nostro assunto, ch’era di provare come ci sia difatti una ragione interna, per la quale le parole storia ed arte sono state messe tante volte in connessione, e di mostrare in che stia realmente la connessione. L’assunto è adempiuto colla riduzione della storia sotto il concetto generale dell’arte.

Teoria e storia della storiografia[modifica]

Incipit[modifica]

Quasi tutti gli scritti che compongono la presente trattazione furono inseriti in atti accademici e riviste italiane tra il 1912 e il '13; e poiché rispondevano a un disegno, poterono senza sforzo congiungersi in un libro, pubblicato in lingua tedesca col titolo: Zur Theorie und Geschichte der Historiographie (Tübingen, Mohr, 1915).

Citazioni[modifica]

  • è evidente che solo un interesse della vita presente ci può muovere a indagare un fatto passato; il quale, dunque, in quanto si unifica con un interesse della vita presente, non risponde a un interesse passato, ma presente. (p. 12)
  • Ma anche nei giorni nostri sarebbe divertente e istruttivo catalogare le forme d'insinuazione onde storici, che passano per gravissimi, si valgono per introdurre le loro personali immaginazioni: «forse», «parrebbe», «si direbbe», «piace pensare», «giova supporre», «è probabile», «è evidente», e simili; e notare come talvolta essi vengano omettendo insensibilmente codeste cautele e raccontino, quasi le avessero vedute, cose che essi stessi hanno escogitate per finire il loro quadro, e per le quali resterebbero assai imbarazzati se avvenisse che uno, indiscreto al pari di un enfant terrible, chiedesse loro: «Come lo sapete? chi ve lo ha detto?». (p. 33)
  • Le storie meramente politiche s'indirizzano in prima linea ai diplomatici, e quelle militari ai militari; ma la storia etico-politica s'indirizza agli uomini di coscienza, intenti al loro perfezionamento morale, che è inseparabile dal perfezionamento dell'umanità, e può dirsi veramente un grande esame di coscienza che l'umanità a volta a volta esegue di sé stessa nel suo operare e progredire. (p. 289)
  • Qual è il carattere di un popolo? La sua storia: tutta la sua storia e nient'altro che la sua storia. La coincidenza è, in questo caso, perfetta, o, piuttosto, non si tratta di coincidenza ma d'identità. (p. 291)

Storie e leggende napoletane[modifica]

Incipit[modifica]

Quando, levandomi dal tavolino, mi affaccio al balcone della mia stanza da studio, l'occhio scorre sulle vetuste fabbriche che l'una incontro all'altra sorgono all'incrocio della via della Trinità Maggiore con quelle di San Sebastiano e Santa Chiara.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Citazioni[modifica]

  • A me giova intanto, all'ombra degli alti tetti e tra le angustie delle vecchie vie, riparare nella più vasta ombra delle memorie; e il prossimo monastero di Santa Chiara, che re Roberto e la pia regina Sancia elevarono in questa parte di Napoli che si diceva «extra hortos», presso le mura e la porta cumana o «regale», e riccamente dotarono («Virginis hoc Clare templum struxere beate Postea dotarunt donis multisque bearunt», verseggia e rimeggia una delle iscrizioni del campanile), mi riporta al moto francescano, che con gli angioini si sparse anche nel mezzogiorno d'Italia. L'ideale del poverello d'Assisi consolò la dolorosa Sancia, non amata dal regio consorte; e finì col mostrare la sua virtù sullo stesso re, il quale, vecchio, affranto per la morte dell'unico figliuolo, indossò l'abito di terziario, e in quell'abito volle essere sepolto in Santa Chiara, e così si vede steso sul sarcofago, attorniato dalle tombe dei figliuoli e nipoti. Pittori e scultori, venuti di Toscana, adornarono di affreschi giotteschi e di storie in rilievo la semplice chiesa francescana, dal tetto composto di grandi travi di legno scoperte, che doveva essere alcuni secoli dopo furiosamente invasa e brutalmente violata dal fasto dei cartocci, degli ori e delle ammanierate pitture, ma non sì che vi rimanessero affatto soffocate le espressioni, e quasi direi le proteste, della ingenua arte del Trecento. (da Un angolo di Napoli, I, pp. 17-18)
  • [La Tomba di Jacopo Sannazaro, custodita all'interno della chiesa di Santa Maria del Parto a Mergellina, a Napoli] [...] si proverà sempre una commozione, quando, attraversata la piccola e ora povera chiesetta, che ha preso l'aria di una chiesa di villaggio, e girato dietro l'altar maggiore, ci si vede a un tratto, innanzi, la solenne mole marmorea della tomba del poeta. [...] Il critico d'arte troverà, come ha trovato, non poco da riprendere, sia nell'architettura e nelle proporzioni del mausoleo, sia nei particolari delle decorazioni, nelle due statue di Apollo e Minerva di disegno non puro, e nello stesso bassorilievo, confuso nella composizione ed esagerato nei movimenti delle figure. Ma, nonostante la scarsa originalità e la poca squisitezza dell'opera, l'effetto suo è grande come affermazione e celebrazione lussureggiante dell'arte classica del Sannazaro nel cuore dell'umile chiesetta cristiana. E in tutta quella gloria di simboli e di allegorie l'occhio cerca e affisa in alto il volto del poeta, grave e dolce, dai lineamenti segnati dalla mestizia, dallo sguardo da cui tralucono la genialità dell'arte e la bontà dell'animo affettuoso. (da La chiesetta di Jacopo Sannazaro, pp. 225-226)
  • [Sul San Michele che scaccia il demonio di Leonardo da Pistoia] Fatto sta, che nel quadro del Pistoia quel bel volto di giovane donna, dai biondi capelli e dai dolci occhi, appare calmo, quasi sorridente, ed ella piega le braccia e le mani in molle atto voluttuoso, e par che non si accorga nemmeno della lancia che l'angelo le ha infitta sul dorso serpentino, sia che non la prenda molto sul tragico, sia che non voglia, pur nel languire morendo, scomporre la propria attraente vaghezza. E il dipinto destinato a colpire le fantasie per la terribilità del castigo inflitto a colei[83]che tentò scrollare una salda virtù, le sedusse invece con quell'immagine; e nel linguaggio del popolino dei contorni rimase come paragone di elogio: «Bella come il diavolo di Mergellina». (da La chiesetta di Iacopo Sannazzaro, p. 229)
  • La Terracina si vantava che non le mancavano mai editori; e la cosa era vera. Segnatamente i Discorsi andarono a ruba, aiutati dalla voga del poema ariosteo e dalle figure onde li ornò il Giolito.
    Ma ciò non impedisce l'altra verità, che i versi della Terracina mancano di qualsiasi pregio poetico e hanno assai scarso anche quello letterario, perché, in tanto raffinamento della forma estrinseca a quei tempi di accurata letteratura, si dimostrano per solito rozzi e scorretti. La Terracina non era né poeta né letterato elegante, ma piuttosto, un precone di lodi. Io non saprei immaginarla in altro atto che di perpetua cupida ricercatrice, e aspettatrice al varco, di qualcuno da lodare: «lodando or questo ed or quel cavaliere», come dice ella medesima; ella che (ripete altrove) «tanti e tanti Lodato ha in carte con sue basse rime». (da La casa di una poetessa, p. 279)
  • [...] le vecchie leggende rapidamente tramontano nella odierna trasformazione edilizia e sociale di Napoli, e le nuove non nascono, o piuttosto noi non ce ne avvediamo, e se ne avvedranno i nostri posteri, quando raccoglieranno qualche frammento del nostro presente sentire e immaginare, reso vieppiù fantastico dalle esagerazioni tradizionali, circondato dal fascino dell'antico o del vecchio, e fissato sopra taluna delle nostre ora tanto vilipese architetture e sculture. E coloro, «che questo tempo chiameranno antico», lo chiameranno forse anche «il buon vecchio tempo», come noi ora diciamo della Napoli del Settecento, e già, quasi quasi, di quella anteriore al Sessanta. (da Leggende di luoghi ed edifizi di Napoli, p. 332)

Un paradiso abitato da diavoli[modifica]

  • [...] un popolo non è in grado di ribattere le calunnie come un individuo e alle sofistiche accuse scopre assai più indifeso il fianco che non gl'individui. Gli sciocchi, gl'ingenerosi, i combattitori a vuoto e con poca spesa e con poco rischio, i plebei di cuore e di mente, sono perciò sempre proclivi a ingiuriare i popoli [...] (p. 21)
  • Accade, d'altra parte, che, pur nella poco alacre vita civile e politica, l'umana virtù si affermi nei particolari, contrastando al generale, e talora negli episodi, e perfino essa sorga dal mezzo stesso dei vizi, come loro correlativo. Onde un popolo che non ha bastevole affetto per la cosa pubblica potrà avere assai vivo quello per la famiglia, per la quale sarà disposto a ogni sacrificio; un popolo indifferente avere la chiaroveggenza dell'indifferenza; un popolo poco operoso nei commerci e negli affari valer molto nella contemplazione dell'arte e nelle indagini dell'intelletto; un popolo privo di spirito di gloria saper ben cogliere il gonfio e il falso delle umane ambizioni e operare nel riso un lavacro di verità. E via discorrendo.
    Sulla logica di queste considerazioni, il popolo napoletano è stato perfino più volte difeso, e il suo atteggiamento verso la vita ha suscitato simpatie [...] Napoli è apparsa come un'oasi nella quale sia possibile ritrarsi per obliare, riposare e respirare in mezzo a un popolo che di politica non cura o, tutt'al più, la prende a mera materia di chiacchiera, e, chiacchierandone senza riscaldarsi, spesso la giudica con spregiudicato acume. (p. 25)
  • [...] se ancor oggi noi accettiamo senza proteste o per nostro conto rinnoviamo in diversa forma l'antico biasimo[84], e se, anzi, non lasciamo che ce lo diano gli stranieri o gli altri italiani ma ce lo diamo volentieri noi a noi stessi, è perché stimiamo che esso valga da sferza e da pungolo, e concorra a mantener viva in noi la coscienza di quello che è il dover nostro. E, sotto questo aspetto, c'importa poco ricercare fino a qual punto il detto proverbiale sia vero, giovandoci tenerlo verissimo per far che sia sempre men vero. (pp. 26-27)
  • [Su Francesco Mazzarella Farao] Uno di quei dotti a cui la dottrina nuoce. (p. 88)
  • I lazzari erano, dunque, l'infima classe dei proletari di Napoli, quella classe che i sociologi moderni contrappongono al proletariato industriale, del quale infatti forma spesso l'antitesi e talvolta l'avversaria, col nome di «proletariato cencioso» (Lumpenproletariat). Naturalmente, codesti proletari napoletani, oltre i caratteri comuni dei proletari in generale, e in ispecie a quelli delle grandi città, hanno alcuni caratteri particolari, determinati dalle condizioni particolari del nostro paese. Qui il clima è mite, la vita relativamente facile, si può dormire all'aria aperta e nutrirsi di poco, far di meno di molte cose e per conseguenza esser disposti alla spensieratezza; La conformazione morale e intellettuale non spinge alla rivolta, ma inclina agli accomodamenti e alla rassegnazione (p. 89).
  • Una cosa, di cui non mi so dar pace, è che in Napoli siano spariti tutti gli edifizi dei «Sedili» o «Seggi» della città.
    Si pensi un po'! Per secoli e secoli, dal medioevo fino all'anno 1800, i seggi avevano rappresentato l'organamento della cittadinanza napoletana, la distinzione della nobiltà e del popolo, l'amministrazione municipale. «Cavaliere di seggio» era la denominazione usuale del patriziato, che risonava accompagnata da ammirazione e reverenza: e aneddoti e novelle e commedie ne rimandavano a lor modo l'eco, quando si facevano a ritrarre scherzosamente i napoletani e le loro vanterie. Di una leggiadra gentildonna si madrigaleggiava, talvolta, che era un «fiore» del suo «seggio»; e «a la flor de Nido» è indirizzata una celebre canzone de Garcilaso de la Vega. Gli stemmi dei sedili – lo sfrenato cavallo di bronzo in campo d'oro di Nido, quello frenato in campo azzurro di Capuana, i tre verdi monti in campo d'argento di Montagna, la porta d'oro in campo azzurro di Portanova, l'Orione o, come si diceva popolarmente, il Pesce Nicolò di Porto – stavano innanzi agli occhi di tutti, familiari geroglifici, e il primo, il cavallo sfrenato, fu sovente tolto in iscambio con lo stemma stesso della città di Napoli. (da I seggi di Napoli, p. 115)
  • Nelle lotte che precessero, prepararono e accompagnarono la rivoluzione detta di Masaniello, Giulio Genoino, che ne fu la mente direttrice, coltivava il concetto o l'utopia del pareggiamento dei due primi sedili nobili e del sedile del Popolo, che si sarebbero dovuto dividere tra loro in parti uguali il governo della città. Utopia affatto anacronistica, di carattere medievale, perché la realtà effettuale era che i sedili invecchiavano, e invecchiava la nobiltà e il suo correlativo, il buon popolo; e fuori dei sedili così dei nobili come del popolo si moveva la nuova vita sociale, gli avvocati, i letterati, i pubblicisti, tutti quelli che poi, nel secolo decimottavo, promossero le riforme e fecero la rivoluzione dell'anno 99.
    Che cosa potevano essere agli occhi di costoro i sedili, che usurpavano l'amministrazione della città, e anzi addirittura la rappresentanza del Regno, in nome di una tradizione illanguidita, di classi sociali logore, e con gli abiti del servilismo e della vuota esteriorità formatisi durante il viceregno spagnuolo e non certo radicalmente mutati durante il nuovo regno borbonico? (da I seggi di Napoli, pp. 122-123)
  • I gelati napoletani, «les glaces à la napolitaine», acquistarono reputazione e diffusione mondiale, sicché qualche dotto tedesco non dubiterebbe d'includerli (come è stato fatto per altre cose simili, per esempio la birra nei rispetti dell'influsso germanico) tra i maggiori Kultureinflüsse, esercitati da Napoli. (pp. 147-148)
  • Il palazzo Cellamare a Chiaia appare tutto chiuso e appartato dalla frequentata e rumorosa strada sottostante. Posto in alto, sul declivio della collina delle Mortelle, ha un po' l'aria di una fortezza e volge verso il riguardante una maestosa facciata rossastra, lavorata a mattoni, sopra un largo basamento bruno di grossi quadroni di piperno, con un corpo avanzato di costruzione. Un cancello di ferro lo segrega dalla strada: un albero di palma l'ombreggia: una ricca porta barocca, una sorta d'arco di trionfo, sorge più indietro, quasi decorazione da teatro, e sotto di essa passa un viale, che si dirige in salita, senza che dal basso si scorga dove riesca.
    Anche a osservarlo di fuori, dà all'occhio la mescolanza di severo e di pomposo, di cinquecento e di settecento, rispondente alle due età della costruzione e del rifacimento. (da Il Palazzo Cellamare a Chiaia e il principe di Francavilla, p. 204)

La filosofia di Giambattista Vico[modifica]

  • Il gesuita padre Domenico Lodovico (autore del distico, che si legge sotto il ritratto del Vico), ricevuta la seconda Scienza nuova, mandò all'autore, con pratico senno, un po' di vino della cantina e un po' di pane della casa gesuitica della Nunziatella, con una graziosa letterina nella quale lo pregava di accettare codeste cosucce, comeché semplici, quando né pure il bambin Giesù rifiuta le rozze offerte dei pastorelli.(p. 305)

Citazioni su Benedetto Croce[modifica]

  • Al cerchio ristretto dei discepoli e amici di Croce – composto per lo più di uomini che rappresentano la cultura ufficiale (la scuola, le università, le accademie) io non ho mai appartenuto. Ma ho invece respirato l'aria di altri ambienti in cui l'insegnamento di Croce era penetrato per vie forse indirette. (Eugenio Montale)
  • Anche nell'archivio di Benedetto Croce è stata trovata una lettera di raccomandazione per Giambattista Vico. (Francesco De Lorenzo)
  • Coloro che immaginano un Croce che ha svalutato la scienza, soltanto perché dalla logica l'ha trasferita nella pratica, dimenticano che teoria e pratica sono presso il Croce un rapporto, sicché né la teoria è superiore all'azione né l'azione alla teoria; ma l'una e l'altra sono la perenne e dialettica sintesi della realtà. (Francesco Flora)
  • Croce [...] avrebbe potuto essere capo provvisorio dello Stato, se solo avesse accettato di candidarsi. Pietro Nenni gli aveva già promesso il voto dei socialisti, chiedendogli in cambio un segno di disponibilità. Ma il filosofo declinò con una nobile lettera: chissà, la storia d'Italia avrebbe potuto essere diversa, anticipando il centrosinistra. (Stefano Folli)
  • Croce è un caso rarissimo! Ed ecco che l'astuta tenacia che egli ha affermato lottando per un ventennio contro il fascismo – non all'estero ma restando in patria – ora ha la sua ricompensa. Il suo prestigio è enorme; il vecchio filosofo ha oggi più autorità morale, più influenza, più potere che qualsiasi uomo politico, Sforza non eccettuato. Sforza emigrò. Croce non emigrò. Perciò Croce è più forte. Interessante nevvero?... Con me fu delizioso. Temevo, all'inizio, di trovarlo senile: ha quasi ottant'anni e li dimostra. Ma nella conversazione il volto pergamenaceo si animò; e [a] un tratto mi apparve giovane, o, quanto meno, senz'età: un agile coboldo pieno di saggezza e di umorismo. Parlò molto della Germania, spesso con amarezza, ma poi di nuovo con ammirazione. Come intimamente gli è nota la poesia tedesca! Mi recitò Goethe con una pronunzia tutta sua, ma senz'errore. (Klaus Mann)
  • Croce era convinto che l'istituto monarchico offrisse maggiori garanzie di laicità rispetto alla repubblica guidata dalla Democrazia cristiana. Per molti cattolici l'Italia era "il giardino del Vaticano". (Eugenio Scalfari)
  • Croce fu certamente uno straordinario studioso, un attento amministratore delle sue fortune intellettuali, un ricercatore capace e paziente. Fu anche un critico letterario che decisamente accettò soltanto quello che rientrava nel suo «sistema». Fu anche un uomo politico libero dalle strutture dei partiti e sempre con lo sguardo rivolto alla storia, oltre la cronaca. Ma, per tutti, è stato la testimonianza di come si possa vivere sul pianeta Terra con la illusione di essere immortali. (Francesco Grisi)
  • Croce resta sempre e non solo una gloria napoletana di rara qualità e di alte dimensioni [...] Egli vive come vivono i classici, che sembrano lontani e sono, in realtà, costantemente accanto a noi. (Giuseppe Galasso)
  • Croce scoprì che le sue idee filosofiche perdevano terreno di fronte alla neo-scolastica dei cattolici e alle eresie del rinnegato Gentile. Se in un primo tempo aveva salutato con favore l'autoritarismo del regime, ora non poteva sopportarne il cattivo gusto e il materialismo, la crassa ignoranza e la confusione mentale. Non ci si poteva aspettare che gente che aveva ricevuto il suo tipo di educazione liberale desse la propria approvazione a un credo fondato sul misticismo irrazionale, né al fatto che Mussolini incoraggiasse la cultura soprattutto per ragioni di prestigio nei confronti del mondo esterno. (Denis Mack Smith)
  • «Da sempre», ho detto: perché, venuto su in ambiente di cultura e crescendo in età di ragione quando a Napoli il nome di Benedetto Croce si diffondeva occupando ogni anno più spazio nella mente dei suoi coetanei, mi è impossibile di risalire ad un momento in cui a me quel nome fosse ignoto. Anzi posso dire di averlo fin da ragazzo, cogliendolo sulle labbra di altri (forse di Vittorio Spinazzola, forse di Francesco Saverio Nitti), sentito come un bellissimo nome, esprimente già nel suono e nella connessione delle due parole l'alta personalità di chi lo portava. (Vincenzo Arangio-Ruiz)
  • Di quei tristi anni Benedetto Croce fu veramente il faro e la guida. (Barbara Allason)
  • E un altro sorrisetto, ma un po' più sardonico, regalò a un ritratto di Valéry che illustrava un articolo sui «Charmes». «Vi pare un poeta?» ci chiese. Osammo rispondere di sì. «Fa a volte bei versi, ma li fabbrica con la macchina dell'intelletto... Ma anche l'intelletto suo è disorganico, frammentario. È un dilettante dell'intelligenza». Restammo perplessi, forse impersuasi. E forse se ne accorse, ma finse di niente, e continuò a conversare amabilmente. (Giovanni Titta Rosa)
  • Giustino Fortunato e Benedetto Croce rappresentano [...] le chiavi di volta del sistema meridionale e, in un certo senso, sono le due più grandi figure della reazione italiana. (Antonio Gramsci)
  • I suoi libri e i suoi articoli erano per me – come per tanti altri – quello che gli scritti dei poeti, filosofi e storici di una volta erano stati per la generazione del Risorgimento. Quello che sentivamo, Croce ce lo diceva in parole chiare e diritte... Quando lo scoraggiamento – come talvolta avveniva – s'impadroniva di me, bastava pensare... (Massimo Salvadori)
  • Il Croce evitò con cura i tecnicismi d'ogni sorta: lo "aborrimento del gergo filosofico, che spesso cela l'incertezza e l'oscurità del pensiero" e la sua inclinazione a "servirsi del linguaggio ordinario" sono da lui esplicitamente dichiarate [...] giova non poco a conferire limpidezza alla pagina crociana. (Tullio De Mauro)
  • Il Croce, per conto suo, fu meno crociano di molti suoi seguaci per il fatto che in lui il temperamento, il gusto, non furono quasi mai sopraffatti dai suoi schemi teorici. (Leo Valiani)
  • Il Croce si è sempre trovato a suo agio di fronte ad artisti pienamente «sliricati», totalmente aderenti a un motivo fondamentale, a uno stato d'animo unitario. Artisti come Ariosto e Verga perevano nati apposta per lui perché ogni loro pagina li contiene per intero. (Leo Valiani)
  • Il merito di Croce fu di far piazza pulita, con spirito dialettico, di ogni misura estrinseca alla sostanza delle opere; Hegel ne fu impedito dal suo classicismo. (Theodor W. Adorno)
  • In fondo Croce era un campione di ignoranza scientifica e dunque di ignoranza tout court, oltre che un paladino delle cause perse. (Piergiorgio Odifreddi)
  • Innanzi alla corsa della maggior parte degli uomini di cultura di ogni paese a porre la scienza a servizio dei compiti della guerra, Croce fu allora tra i pochissimi che tenne fede al dovere verso la Verità, ed il solo, in Italia, a scrivere e a combattere apertamente le nuove storture mentali e morali. (Vittorio de Caprariis)
  • La più efficace difesa della civiltà e della cultura... si è avuta in Italia, per opera di Benedetto Croce. Se da noi solo una frazione della classe colta ha capitolato di fronte al nemico... a differenza di quel che è avvenuto in Germania, moltissimo è dovuto al Croce. (Guido De Ruggiero)
  • La protesta per il passo della morte è più religiosa che la sua accettazione, e il Leopardi è più religioso del Croce. Dal Leopardi possono venire le aperture pratiche religiose, dal Croce può venire il servizio ai valori. Il Croce è greco-europeo, perché la civiltà europea porta al suo sommo l'affermazione dei valori. Il Leopardi comprende questi (le virtù), ma cerca gl'individui, e li vede morire, non li trova più, sono i morti. È aperto, dunque, al tu; in potenza ci sono le aperture pratiche religiose. (Aldo Capitini)
  • Ma Croce, che proprio a due passi da qui, in mezzo ai suoi libri nella casa di calata Trinità Maggiore, odiava il fascismo e che per venticinque anni poté pubblicare i fascicoli della “Critica” e scrivere liberamente, ebbene: questo Croce valeva per Mussolini molto più di un Croce martirizzato, ridotto al silenzio o addirittura esiliato… (Sandor Marai)
  • Ma se di Croce restasse un solo pensiero, quello secondo il quale lui prestava fede alla lettera delle cose espresse, alla resa concreta di ogni arte, basterebbe da solo a tener diritta per la vita la spina dorsale di uno scrittore contro ogni confusione di lingua, distrazione dall'uomo e dalla «parola» nel significato «floriano» del termine. (Domenico Rea)
  • Merita schiaffi, pugni e fucilate nella schiena l'italiano che manifesta in sé la piu piccola traccia del vecchio pessimismo imbecille, denigratore e straccione che ha caratterizzata la vecchia Italia ormai sepolta, la vecchia Italia [...] di professori pacifisti (tipo Benedetto Croce, Claudio Treves, Enrico Ferri, Filippo Turati). (Manifesti futuristi)
  • Nella prima frattura tra Croce e Gentile è Croce il più vicino al fascismo originario. È Croce a immettere nella cultura italiana Georges Sorel che è uno dei primi riferimenti culturali del fascismo, è Croce che parla, sia pure in una dimensione critica, di Stato etico; è Croce che persino incoraggia il fascismo e lo paragona alle orde sanfediste del cardinale Ruffo, ritenendo che il fascismo abbia la funzione di spazzare il campo dal bolscevismo e dalla crisi spirituale e di rimettere in piedi l'autorevole Stato italiano. Ricordo infine che è Croce a suggerire Gentile come ministro della pubblica istruzione per realizzare quel progetto di riforma della scuola che lui, da ministro, aveva avviato in epoca giolittiana. In questa visione, il fascismo ha per Croce una funzione propedeutica al ripristino del vero liberalismo. (Marcello Veneziani)
  • Non capisce, ma non capisce con autorità e competenza. (Leo Longanesi)
  • Perché ho votato per la monarchia? Ero liberale e crociano. E Croce riteneva che soltanto la monarchia avrebbe potuto arginare la pressione del Vaticano. (Eugenio Scalfari)
  • Potei invece pochi giorni dopo vedere a Napoli un vero esiliato di particolar natura: Benedetto Croce. Per decenni era stato il capo spirituale della gioventù, aveva poi avuto, come senatore e come ministro, tutti gli onori esteriori del paese, sin che la sua opposizione al fascismo lo mise in conflitto con Mussolini. Rinunciò alle cariche e si trasse in disparte; ma questo non bastò agli intransigenti, che volevano spezzare e, se necessario, anche punire la sua opposizione. Gli studenti, che oggi, in contrasto al passato, sono dovunque le truppe d'avanguardia della reazione, gli assaltarono la casa e gli ruppero i vetri. Ma quell'uomo piccoletto e piuttosto pingue, dagli occhi intelligenti ed arguti, che sembrerebbe a tutta prima un comodo borghese, non si lasciò intimidire. Non lasciò il paese, rimase in casa sua dietro il gran bastione dei suoi libri, benché venisse invitato da università americane e straniere. (Stefan Zweig)
  • Proveniva dal Settecento europeo; armato di tutte le armi della Ragione e della Certezza. La solare perentorietà della storia lo domina e lo possiede; organizza e architetta il suo pensiero, lo dispone in un linguaggio vasto, ricco, fluente: un grande fiume di primavera, in pianura. Croce pensa per sé e per tutti; l'Enciclopedia storica e filosofica ch'egli rappresenta risponde a tutte le necessità. Egli non dimentica e non dubita: le sue certezze riposano sull'archivio e lo schedario. (Giovanni Artieri)
  • Secondo Croce, nessun sostanziale e intimo rapporto rilega l'opera d'arte al proprio tempo. In quanto prodotto di una personalità estetica, l'opera d'arte è fuori del suo tempo e di tutti i tempi. Non si può fare storia dell'arte perché, essendo fuori del tempo, l'arte è fuori della storia. La critica deve contentarsi di saggi sparsi, di monografie isolate, consacrate ciascuna a delineare le caratteristiche e la genesi di una personalità estetica. (Adriano Tilgher)
  • Se Gentile fu spesso il filosofo delle identificazioni, e soluzioni, meramente verbali, Croce fu sempre sollecito soprattutto della distinzione, ossia della chiarezza concettuale, giustamente memore del compito assegnato da Herbart alla filosofia, di Bearbeitung der Begriffen[85]. Solo che, fino dalle origini, egli si mosse piuttosto nell'ambito di determinazioni negative e polemiche (mostrando che cosa non è l'arte, che cosa non è il diritto), riducendo il positivo a sistemazioni classificatorie (l'arte è conoscenza, è la conoscenza dell'individuale, è intuizione) rischiando di precludersi, con la profonda radice unitaria delle distinzioni, il processo del reale, senza per questo individuare, nelle loro nervature, piani e strutture dell'esperienza. (Eugenio Garin)
  • V'è in Italia un nuovo dogma: il dogma di una nuova immacolata concezione; e l'immacolata concezione è l'Estetica di Benedetto Croce. (Enrico Thovez)

Note[modifica]

  1. Dal discorso tenuto nell'agosto del 1910, affacciandosi dal balcone di Palazzo Sipari, pronunciò il "Discorso di Pescasseroli".
  2. Da La religione della libertà, a cura di Girolamo Cotroneo, Rubbettino, Catanzaro, 2002, p. 115.
  3. Giugno 1924; citato in G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Venezia, 1966.
  4. Dal Discorso contro l'approvazione del concordato, 1929. Citato in Raffaele Carcano, Adele Orioli, Uscire dal gregge, Luca Sossella editore, 2008, p. 243. ISBN 9788889829646
  5. Da Frammenti di etica, cap. XVII, La gioia del male, Laterza, Bari, 1922, p. 78.
  6. Da Uomini e cose della vecchia Italia, Laterza, 1927, p. 337.
  7. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 667.
  8. Da La guerra italiana, l'esercito e il socialismo, in Pagine della guerra, Napoli, 1919, p. 220-229.
  9. Da Un paradiso abitato da diavoli, a cura di Giuseppe Galasso, Adelphi, Milano, 2006, p. 89. ISBN 88-459-2036-4
  10. Citato in Paolo Chiarini, Parola e immagini, introduzione a Heinrich Heine, Dalle memorie del Signor von Schnabelewopski, Marsilio Editori, Venezia 1991. ISBN 88-317-5548-X
  11. Da Giudizi passionali e nostro dovere, in L'Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla guerra, Laterza, Bari 1950, pp. 11-12.
  12. Da La poesia e la letteratura, in La Critica, vol. XXXIII, Laterza, 1935, p. 447.
  13. Citato in Stefan Zweig, Il mondo di ieri, traduzione di Lavinia Mazzuchetti, Mondadori, p. 292.
  14. Da Poesia popolare e poesia d'arte, Laterza, Bari, 1933; citato in Giudizi critici, in Giordano Bruno, Candelaio, BUR, Milano, 2002, p. 96. ISBN 88-17-12104-5
  15. Citato in Denis Mack Smith, Storia d'Italia dal 1861 al 1997, Laterza, Bari, 1997, p. 415.
  16. Da La cosiddetta « Storia del Risorgimento», in Pagine sparse: memorie, schizzi biografici e appunti storici, raccolte da Giovanni Castellano, serie terza, Riccardo Ricciardi Editore, Napoli, 1920, pp. 229-230.
  17. Citato in Armando Torno, Da Cavour alla Merlin. Le prostitute in strada? Regole, non moralismi, Corriere della Sera, 18 maggio 2007.
  18. Da Leggende di luoghi ed edifizi di Napoli, p. 329.
  19. Citato in Giovanni Titta Rosa, Una visita di Croce, La Fiera Letteraria, n. 5, 14 marzo 1971.
  20. Citato da Piero Calamandrei nel discorso tenuto il 28 febbraio 1954 al Teatro Lirico di Milano, alla presenza di Ferruccio Parri.
  21. Citato in Vittorio Gleijeses, Napoli dentro e... Napoli fuori, Adriano Gallina Editore, Napoli, stampa 1990, p. 112.
  22. Da I teatri di Napoli, Bari, 1926; citato in Il San Carlo e i Teatri della Campania, (Monumenti e Miti della campania Felix, Il Mattino), 1997, Pierro, p. 10.
  23. Da La Critica, Volume 27, Laterza, 1929, p. 30-31.
  24. a b c d e Da La storia come pensiero e come azione, Laterza.
  25. Da Lettere a Vittorio Enzo Alfieri (1925-1952), premessa, pagg. X-XI, Edizioni Spes, 1976.
  26. Citato in Giovanni Battista Bronzini, Cultura popolare, Dialettica e contestualità, Dedalo Libri, 1980, p. 102.
  27. Da Pagine sparse, Raccolte da G. Castellano, Serie terza, Riccardo Ricciardi editore, Napoli, 1920, Appunti storici, p. 217.
  28. Da Leggende di luoghi ed edifizi di Napoli, pp. 327-328.
  29. Da La morte del commediografo P. Trinchera; citato in Enzo Grana, prefazione a Pietro Trinchera, La moneca fauza o La forza de lo sango, Attività Bibliografica Editoriale, Napoli, 1975.
  30. Da Dialogo su Dio: carteggio 1941-1952, Archinto, Milano, 2007, p. 22.
  31. Citato in Corriere della Sera, 9 febbraio 2010.
  32. da Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, Gius. Laterza & Figli, Bari, 1907, p. 94
  33. Il riferimento è all'opera del Volpe, L'Italia che nasce
  34. Dai Taccuini, 2 dicembre 1943; citato in Walter Barberis, Il bisogno di patria, Giulio Einaudi editore, Torino, 2010, p.88. ISBN 978-88-06-20464-8
  35. Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.
  36. Citato in Gino Doria, Venticinque aneddoti crociani scelti e pubblicati in occasione del 75. compleanno dalla nascita di Benedetto Croce, SIEM, Napoli, 1936.
  37. Da Etica e politica, G. Laterza & figli.
  38. Da La poesia di Dante, Laterza, Bari, 1961; citato in Emilio Filieri, Matelda una e "trina". Sull'ideologia edenica di Dante, kadmos.info, maggio 2022.
  39. Da Storia d'Europa nel secolo decimonono, Laterza, Bari, 1965 (1932), p. 142.
  40. Citato in Camilla Cederna, Giovanni Leone, Feltrinelli, 1978. p. 35.
  41. Da Storia d'Europa nel secolo decimonono.
  42. Da Quaderni della critica; citato in Giovanni Casoli, Novecento letterario italiano ed europeo: autori e testi scelti, vol. 1, Città Nuova, 2002, p. 120.
  43. Dalla recensione di Oswald Spengler, Il tramonto dell'Occidente; citato in Domenico Conte, Benedetto Croce. La «patologia dello spirito», raicultura.it.
  44. Da Etica e politica; citato da Rina De Lorenzo nella Seduta n. 588 della Camera del 4 novembre 2021.
  45. Da Teoria e storia della storiografia; citato in Adelelmo Campana, Benedetto Croce: filosofia e cultura, Calderini, 1976, p. 150.
  46. Da Intorno al mio lavoro filosofico; in Filosofia Poesia Storia, Riccardo Ricciardi, Napoli, 1955, p. 4.
  47. Citato in Italo De Feo, Croce: l'uomo e l'opera, Mondadori, Milano, 1975, p. 453.
  48. Da Soliloquio, citato in Francesco Flora, Il Flora, Storia della letteratura italiana, cinque volumi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1972, vol. V, p. 600.
  49. Citato in Renato de Falco, Del parlar napoletano, p. 13, Colonnese, Napoli, 2007 [1997]. ISBN 978-88-87501-77-3
  50. Da Taccuini di lavoro, Arte Tipografica, Napoli, 1987 (ma 1992), vol. II, 1917-1926, p. 294; citato da Giuseppe Galasso in Benedetto Croce, Un paradiso abitato da diavoli, Nota del curatore, p. 299.
  51. Da Poesia popolare e poesia d'arte, Laterza, Bari, 1933, p. 457; citato in Gabriele Banterle, introduzione a Giovanni Cotta, I carmi, a cura di Gabriele Banterle, Edizioni di "Vita veronese", Verona, 1954.
  52. Citato in Francesco Flora, Il Flora, Storia della letteratura italiana, cinque volumi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1972, vol. V, p. 594.
  53. Da Discorsi parlamentari, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 75.
  54. Citato in Barbara Speca, Croce, la storia umana quale storia della libertà, rivoluzione-liberale.it, 22 febbraio 2012.
  55. Citato in Camillo Albanese, Un uomo di nome Benedetto: la vita di Croce nei suoi aspetti privati e poco noti.
  56. Da Scritti e discorsi politici (1943-1947), Laterza.
  57. Da Storia dell'Idea di Europa, pp. 162-163.
  58. Citato in Daniela Colli, La "religione della libertà" per Benedetto Croce, l'Occidentale.it, 11 novembre 2007
  59. Citato in Emilio Gentile, Novecento italiano, Laterza, Bari, 2008, p. 75.
  60. Da Il carattere della filosofia moderna; citato in Leo Valiani, La filosofia della libertà, Edizioni di Comunità, 1963.
  61. In appendice alla Riforma dell’educazione di Giovanni Gentile; citato da Angelo Nicosia nella seduta del 12 luglio 1954 della Camera dei Deputati.
  62. Citato in Gerardo Raffaele Zitarosa, Giustino Fortunato storico, L. Pellegrini, 1970, p. 15.
  63. Il secolo XVIII°.
  64. Dalla prefazione del 1890 alle Memorie di Eduardo Scarpetta, citato in Giovanni Artieri, Napoli, punto e basta?, Divertimenti, avventure, biografie, fantasie per napoletani e non, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1980, p. 462.
  65. Citato in Daniela Coli, Il filosofo, i libri, gli editori: Croce, Laterza e la cultura europea, Editoriale scientifica, Napoli, 2002, p. 63.
  66. Citato in Roberto Gervaso, Ve li racconto io, Milano, Mondadori, 2006, p. 132. ISBN 88-04-54931-9
  67. Da Conversazioni Critiche, Serie Quinta, Bari, Laterza, 1939, p. 362.
  68. Da Storia del Regno di Napoli, Bari, 1958, pp. 88-89; citato in Tobia Cornacchioli, Nobili, borghesi e intellettuali nella Cosenza del Quattrocento, L'academia parrasiana e l'Umanesimo cosentino, Edizioni Periferia, Cosenza, stampa 1990, p. 45.
  69. Da Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale: Teoria e storia, Laterza, 1908.
  70. Da Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, I, Laterza, Bari 1921, p. 146.
  71. Da La religione della libertà, a cura di Girolamo Cotroneo, Rubbettino, Catanzaro, 2002, p. 207.
  72. Da Isabella di Morra e Diego Sandoval de Castro, Sellerio, Palermo, 1983, p. 21 (saggio di introduzione ristampato da Vite di avventure, di fede e di passione, Laterza, Bari, 1947); citato in Diego Sandoval de Castro, Rime, a cura di Tobia R. Toscano, Salerno Editrice, Roma, 1997, p. 21. ISBN 8884022169
  73. Citato da: Nicola Porro, Benedetto Croce contro l'UNESCO: «Propositi sterili», su Il Giornale del 5 luglio 2020, p. 28
  74. Da Uomini e cose della vecchia Italia: serie seconda, Laterza, 1956.
  75. Citato in Adelina Bisignani, Croce: il partito politico, Palomar, Bari, 2000, p. 45
  76. da Conversazioni critiche, serie seconda, seconda edizione riveduta, Gius. Laterza & Figli, Bari, 1924, XX. Libri di critica e di storia della critica, p. 259
  77. Da "Politica e pensiero", in Scritti e discorsi politici (1943-1947), a cura di A. Carella, vol. II, pp. 196-197.
  78. Michele Rossi, Nuova luce risultante dai veri fatti avvenuti in Napoli pochi anni prima del 1799, Firenze, Barbera, 1890, p. 177. [N.d.A.]
  79. Testo qui [1]
  80. e in: A.R. Papa, Storia di due manifesti, Milano, Feltrinelli, 1958.
  81. Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.
  82. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  83. Secondo alcune indiscrezioni dell'epoca Vittoria d'Avalos che avrebbe tentato di sedurre il cardinale Diomede Carafa, committente del dipinto. Cfr. Storie e leggende napoletane, pp. 228-229.
  84. Il riferimento è al proverbio: Napoli è un paradiso abitato da diavoli.
  85. Elaborazione di concetti.

Bibliografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]