Itala Vivan

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Itala Vivan (1936 – vivente), accademica e scrittrice italiana.

II colonialismo italiano? Sanguinario come gli altri

cislveneto.it, 19 marzo 2010.

  • [Professoressa, ci può riassumere in poche parole cosa è stato il colonialismo italiano?] L'Italia ha avuto colonie solo in Africa. Alcuni paesi sono stati a lungo sotto il dominio italiano, come l'Eritrea, per altri invece l'occupazione italiana è stata più breve. Nel caso dell'Etiopia poi si può dire che non è mai stata pienamente sotto il controllo italiano. La nostra presenza in questi paesi è stata altrettanto oppressiva e sanguinaria di quella degli altri paesi europei. Il riferimento è alle stragi perpetrate in Etiopia (siamo stati i primi ad usare l'iprite) con i massacri di ogni genere attuati contro la popolazione dopo l'attentato a Graziani, così come anche in Libia. Vicende che in Italia sono state dimenticate ma non nella memoria di quelle popolazioni. Va ricordato che sono state eliminati oltre che ai loro leader anche i loro intellettuali. In Somalia il razzismo italiano si espresse ad esempio obbligando i somali, considerati stirpe inferiore, a camminare scalzi. La memoria del colonialismo italiano e delle sue brutalità è ancora viva. Questo non significa che tutti gli italiani erano così. Ci furono dei fenomeni di osmosi culturali, si sono creati dei rapporti umani. Oggi ad esempio tutti mangiamo gli spaghetti.
  • [Quali sono, se ci sono state, le differenze tra il colonialismo italiano e quello degli altri paesi europei che pure avevano colonie in Africa come la Francia, il Belgio, il Portogallo, ecc.?] Una prima differenza è quella che non c'è mai stata né prima né dopo, nel periodo postcoloniale, una politica culturale italiana verso questi popoli. Con la fine del dominio l'Italia se ne andò tagliando ogni legame e peraltro, quando si ripresero le relazioni, le cose non sono migliorate. Ad esempio, l'università di Mogadiscio, realizzata dall'Università di Roma, è stata un disastro.
  • [Che ruolo ebbe la cultura nella lotta all'apartheid?] La poesia e il romanzo, l'arte della parola, scritta e orale, ebbero un ruolo importantissimo nel denunciare le violenze, per far sentire che si era vicini a chi lottava, per dare forza a chi veniva colpito dalla repressione. E poi per l'informazione: il regime cercava di nascondere le sue brutalità e di far tacere chi vi si opponeva. La poesia civile ad esempio ebbe grande diffusione grazie ai foglietti ciclostilati oppure veniva recitata a memoria in determinate occasioni. Mi ricordo che negli anni '80 mentre ero in Sudafrica uno dei massimi intellettuali neri, Sipho Sepamla mi disse che lui combatteva la sua battaglia civile organizzando funerali, stando cioè vicino alla gente nei momenti di lutto e di dolore e recitando in quelle occasioni le sue poesie. Poi ci sono stati i grandi romanzi.
  • [A questo movimento culturale anti-apartheid parteciparono gli intellettuali di tutte le etnie sudafricane?] Sì, bianchi, neri, colored, indiani. Fu un movimento trasversale. Anche se a pagare più caro il loro impegno civile furono i neri e i colored perché il regime di Pretoria aveva timore a reprimere i bianchi, in alcuni casi, colpì duro, ad esempio incarcerando il poeta Jeremy Cronin e lo scrittore Breyten Breytenbach. Di altri mise al bando le opere o li mandò in esilio.

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