Vai al contenuto

Jean-Baptiste Capefigue

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.

Jean-Baptiste Honoré Raymond Capefigue (1801 – 1872), storico e giornalista francese.

Citazioni di Jean-Baptiste Honoré Raymond Capefigue

[modifica]
  • In questi tempi i letterati bisognosi accorrevano al salone della signora di Geoffrin, dove rinvenivano qualche sussidio e qualche soccorso; e la facilità che avevano di poter conversare con gli alti personaggi che vi si radunavano, loro dava la speranza di qualche protezione; vi si pranzava due volte la settimana, ed eranvi delle bellissime cene a proprio arbitrio, ella cortese all'ultimo segno con modi obbliganti cercava rendersi amabile; poco conosceva di lettere, e ciò nullamanco aveva uno squisito genio a ben narrare; la signora di Geoffrin sosteneva la conversazione con arte ed in modo da far favellare chicchessiasi, nel che appunto è sita tutta la diligenza, cosa ardua, d'una padrona di casa. Essa aveva una perfetta conoscenza delle convenienze di società la quale fa calcolare e gli altri e se stesso per quanto valgono, assegnando a ciascuno il proprio posto.[1]
  • In questo salone [della signora di Geoffrin] senza soggezione, e liberi al discorso, gli enciclopedisti rinvenivano un luogo a poter vendere le loro chimere, e le loro empietà. La signora di Geoffrin non opponevasi giammai, ma tacevasi spesse volte; dappoiché non amava le proposizioni antireligiose; e pare che senza volerlo fosse in lei personificato perciò il secolo, che lasciava urtare il tutto nel gran caosse delle cose senza molto molestarle col pensiere dell'avvenire e del disordine.[1]

L'Europa durante il consolato e l'impero di Napoleone

[modifica]
  • Invano parlavasi d'una Vandea pacificata, di trattati conchiusi fra generali, formule spesso ripetute; le idee erano troppo in opposizione; trattavasi sempre d'una sospensione d'armi fra uomini che riposavansi per tornare al combattimento. La Vandea voleva riconquistare l'indipendenza della sua parrocchia e la libertà del suo culto; finché non otteneva questo scopo non abbassava la sua bandiera; i contadini portavano la croce sui loro cappelli contro i soldati che insultavano il Cristo; e mentre altri giuravano odio alla monarchia sotto le tende repubblicane, essi vagheggiavano nella fantasia il ristabilimento monarchico che con parole di speranza, abilmente sparse, era loro promesso nei trattati. (vol. I, cap. IX, p. 221)
  • Morto Luigi XVI sul patibolo, il delfino di Francia prigioniero nel Tempio prese moralmente la corona e fu salutato sotto il nome di Luigi XVII dai monarchici, i partigiani dell'antica società francese. Dirò io il martirio di questo fanciullo che visse in una abietta prigione del Tempio circondato da carcerieri dalla sinistra guardatura, che per musica della sua giovinezza ebbe il suono strepitoso delle chiavi dei suoi guardiani e le imprecazioni d'una vecchia? Luigi XVII vide perire suo padre, sua madre e la sua zia, il suo stato malaticcio peggiorò fino alla morte. Destano sempre la mia compassione quei poveri fanciulli dei quali la tirannia s'impadronisce e uccide a lento fuoco. (vol. I, cap. XIV, p. 307)
  • La nobile sorella di quello che chiamavasi il giovine Capeto, il Lupacchino[2], la figlia di Luigi XVI [Maria Teresa Carlotta] era anch'essa prigioniera nel Tempio; perché nelle disgrazie della sua famiglia fu ella conservata? Perché la sua giovane fronte rimaneva illesa quando tante altre sotto la mannaia cadevano? Qui presentasi uno di quei misteri che la rapida caduta di Robespierre non ci permette di penetrare: furono forse concepiti inauditi disegni, ambiziosi progetti che legavansi ad una dittatura coronata; il fatto è che di tutta la famiglia [reale] di Francia essa fu la sola protetta dalla Deputazione di pubblica salute; addolcita fu la sua prigionia, mentre tutte le sorgenti della vita erano spente nell'anima del giovine Luigi XVII. (vol. I. cap. XIV, p. 309)
  • Il conte d'Artois, con più cavalleria e sincerità d'animo del fratello [Luigi XVIII di Francia], portava un odio implacabile alla rivoluzione [francese] e agli uomini da quella innalzati: queste repugnanze non le dissimulava; la sua espressione era graziosa coi suoi amici, spesso increscevole pei suoi nemici [...]. Amabile e gaio gentiluomo, ultimo avanzo della nobiltà, discordava da Luigi XVIII, cuore così politico; amava affrontare audacemente i pericoli delle intraprese e le pratiche dei partiti; nulla dissimulava e poco negoziava, faceva la guerra arditamente ai principj della rivoluzione; solo mancava del coraggio militare che avrebbe potuto fargli acquistare fortuna. (vol. I, cap. XIV, p. 316)
  • Eravi questa differenza fra Bonaparte e Moreau; che l'uno era uomo di raziocinio, l'altro di azione; l'uno era di cera, l'altro di ferro: quando erano dinanzi all'esercito, quei due caratteri agivano sul soldato in un modo differente: Moreau freddo e metodico, ragionava coi suoi generali i suoi piani di campagna; nulla diceva all'entusiasmo delle sue legioni, ma di esse aveva cura; vegliava con sollecitudine alle più piccole occorrenze dell'esercito. Marciava al combattimento con un coraggio calmo e come all'esecuzione d'un dovere; tagliava alla vittoria le sue ali dorate per non farne che una divinità fredda e matematica. Moreau era lealmente repubblicano per indole, per principj, per studio. Il carattere di Bonaparte era oppostissimo: ei scuoteva il soldato nelle sue intime fibre; con una parola sollevava quelle masse di granito; trascinava i suoi vecchi granatieri come fanciulli, sotto i prestigi della sua immaginazione, conducevali nelle misteriose e sconosciute regioni della sua vasta mente. Moreau faceva marciare l'esercito per dovere, Bonaparte per entusiasmo; e questo era così forte che gli faceva saltare le Alpi a piedi giunti, sfidare le sabbie bollenti dell'Egitto, i ghiacci del San Bernardo o l'ardente sole delle Piramidi, e senza che venisse mai meno. (vol. II, parte I, cap. IV, p. 99)
  • Massena non era nel suo centro che quando trovavasi in faccia al nemico, allora vasti concetti formava nel suo cervello meridionale; improvvisava la vittoria della quale era figlio. (vol. II, parte I, cap. IV, p. 101)
  • Massena era uno dei generali dell'esercito d'Italia[3], e per conseguenza legato personalmente a Bonaparte, per le ricordanze d'una comunione d'armi e di gloria. Massena sarebbesi sollevato contro il capo che avevali guidati a Lodi, a Castiglione, a Rivoli[4]. D'altronde quest'uomo così fiero, così altero in faccia al nemico, non aveva alcun carattere nella vita privata, e i suoi aiutanti di campo dicevano di lui che tremava tutto dinanzi ad un giandarme. (vol. II, parte I, cap. IV, p. 101)
  • Fra questi generali nemici dell'ordine monarchico stabilito da Bonaparte, potevasi contare Bernadotte, genio militare di prim'ordine. Avea lo spirito ardito, accorto e sottile che distingue la razza meridionale, unito al coraggio della razza guascona. (vol. II, parte I, cap. IV, pp. 101-102)
  • Alla testa dei grammatici trovavasi l'abate Morellet, intrepido dissertatore, simbolo della vecchia accademia; egli, l'abate Morellet, il nome del quale è già cancellato dal libro della vita, rimproverava a Chateaubriand di non sapere la sua lingua, di essere uno scolaruccio che bisognava rimandare ad apprendere cosa fosse un'interiezione, un pronome, un verbo, o un tempo; e tutto questo veniva accompagnato dall'accademico da una diatriba verbosa contro coloro che non sapevano scrivere. (vol. II, parte I, cap. IV, p. 112)
  • L'abate Morellet non era capace di seguire il pensiero nelle alte regioni, di afferrare le immagini brillanti, il dramma e l'espressione poetica; la sua testa perdesi sopra un avverbio, tutta la sua arte sta in un soggiuntivo; confonde la lingua francese e l'idioma volgare. Deve l'ardito scrittore rispettare questa bella e nobile lingua, ma ei la vede nella splendida pompa dei suoi tesori; un intelletto modica la grammatica, l'innalza, l'estende: l'immaginazione ha bisogno di un limite, di un freno; le regole senza dubbio servono a questo, ma nulla regge il corsiero quando squilla la tromba ed il santo fuoco della gloria agitasi nel nobile petto. (vol. II, parte I, cap. IV, pp. 112-113)

Incipit di alcune opere

[modifica]

I cento giorni

[modifica]

Gli storici contemporanei chiamano col nome di Cento Giorni il periodo trascorso dal 20 marzo 1815 alla seconda Restaurazione; nome, la cui origine fu da una semplice frase di complimento che il prefetto della Senna, sig. di Chabrol, diresse l'8 luglio al re Luigi XVIII reduce nella capitale: ei chiamò Cento Giorni il tempo di questa seconda assenza della casa di Borbone, e tale denominazione è rimasta nella lingua istorica.
Questa denominazione però non è esatta né cronologicamente, né filosoficamente. La rivoluzione che ricondusse Napoleone sul trono comprende un più largo spazio di tempo, che incomincia dall'ottobre del 1814, e che disgraziatamente non finì già col ritorno di Luigi XVIII a Parigi. Una rivoluzione non iscoppia ad un tratto, ma si prepara di lunga mano; e spesso accade che un governo si regga per qualche tempo anche malgrado certe condizioni che debbono condurlo a morte sicura, non dissimile da quegli esseri favolosi de' quali parla l'Ariosto, che vivono e camminano alcuni istanti colla testa mozza. Fino dal suo primo momento, la Restaurazione recava in sé stessa lo condizioni d'una ruina certa; per tutto era una cospirazione morale contro di lei; l'antica società non era potente abbastanza per sostituirsi alla nuova: fuvvi dunque una invincibile resistenza d'idee, d'istinti, di passioni, d'onde solo si può avere ragione del rapido, miracoloso cammino di Napoleone dal golfo Juan alle Tuglieríe[5].

Storia di Carlomagno

[modifica]

Indarno tu cercheresti un territorio fermo per ciascun popolo, e segni bene impressi di nazione in mezzo al secolo VIII, epoca in cui la schiatta carolingica comincia a mostrarsi nella grandezza sua. Gli imperi, le province e le città, sono in continuo scompiglio per le invasioni e il rapido passaggio delle diverse popolazioni che si riposano un istante, poi si precipitano per nuove contrade, seco recando le costumanze loro, le loro leggi, e le tradizioni dell'antica patria.

Note

[modifica]
  1. a b Da Luigi XV e la società del secolo XVII, vol. I, Dalla tipografia Tipa, Napoli, 1846, p. 127.
  2. Luigi Carlo di Borbone, poi Luigi XVII di Francia.
  3. L'esercito rivoluzionario francese, guidato da Napoleone, nella campagna d'Italia del 1796-97.
  4. Vittorie napoleoniche nella campagna d'Italia.
  5. Palazzo delle Tuileries, antico palazzo reale di Parigi.

Bibliografia

[modifica]

Altri progetti

[modifica]