François-René de Chateaubriand

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Ritratto di François-René de Chateaubriand

François-Auguste-René, visconte di Chateaubriand (1768 – 1848), scrittore, politico e diplomatico francese.

Citazioni di François-René de Chateaubriand[modifica]

  • Bisogna evitare la società quando si soffre, perché è la naturale nemica degli sventurati. L'orgoglio è la virtù dell'infelice.[1][2]
  • [Napoleone Bonaparte] Egli è [...] un grande vincitor di battaglie, ma fuori di questo, il minimo generale è più abile di lui.[3]
  • Gli Dei se ne vanno.[4]
Les Dieux s'en vont.
  • I posteri metteranno in dubbio se cotest'uomo [Napoleone Bonaparte] sia stato più colpevole pel male che ha fatto, o pel bene che avrebbe potuto fare e non ha fatto.[5]
  • Il tempo non si ferma ad ammirare la gloria: se ne serve e passa oltre.[6][2]
  • Io adotto come verità religiosa la verità cristiana, che non è [...] un circolo inflessibile, ma un circolo che si espande man mano che i lumi e la libertà si sviluppano. [...] La religione cristiana entra in una nuova era: come le istituzioni e i costumi, essa subisce la terza trasformazione. Essa cessa di essere politica, diviene filosofica, senza smettere di essere divina; il suo circolo flessibile si espande con i lumi e le libertà, mentre la croce segna per sempre il suo centro immobile.[7]
  • Mi piace nel gatto quel suo temperamento indipendente e quasi ingrato che fa sì che non s'affezioni a nessuno.[8]
  • [Talleyrand negoziatore di trattati] Quando Talleyrand non cospira, traffica.[9]
  • Questo astro della notte, questo globo che si suppone sia finito e spopolato, passeggia le sue pallide solitudini sopra le solitudini di Roma; illumina strade senza abitanti, recinti, piazze, giardini dove non passa nessuno, monasteri dove non si sente più la voce dei cenobiti, chiostri deserti come i portici del Colosseo.[10]

Attribuite[modifica]

  • Le foreste a precedere le civiltà, i deserti a seguire.[11]

Genio del Cristianesimo[modifica]

Incipit[modifica]

Da quando il cristianesimo è apparso sulla terra, tre specie di nemici l'hanno costantemente attaccato: gli eresiarchi, i sofisti e quegli uomini, apparentemente frivoli, che distruggono tutto ridendo. Numerosi apologeti hanno vittoriosamente risposto ai sofismi e alle menzogne; ma sono stati meno felici contro la derisione. Sant'Ignazio di Antiochia[12], sant'Ireneo, vescovo di Lione[13], Tertulliano, nel suo Trattato delle Prescrizioni', che Bossuet definisce divino, combatterono i novatori, le cui interpretazioni superbe corrompevano la semplicità della fede.

Citazioni[modifica]

  • Ci sono due tipi di atei, ben distinti: i primi, coerenti con i loro principi, dichiarano senza esitazione che Dio non esiste, e di conseguenza non c'è differenza essenziale tra il bene e il male; che il mondo appartiene ai più forti e ai più abili, ecc. I secondi sono i virtuosi dell'ateismo, gli ipocriti dell'incredulità. Assurdi personaggi che, con una finta dolcezza, arriverebbero a ogni eccesso per sostenere il loro sistema; vi chiamerebbero fratello mio mentre vi stanno sgozzando; le parole morale e umanità sono sempre nella loro bocca: sono tre volte perfidi; perché aggiungono ai vizi dell'ateo l'intolleranza del settario e l'amor proprio dell'autore. (parte I, lib. VI, cap V, p. 305)
  • Lo scrittore originale non è colui che non imita nessuno, ma colui che nessuno può imitare. (parte II, lib. I, cap. III, p. 349)
  • Più i popoli avanzano nella civilizzazione, più aumenta tale stato di indefinito nelle passioni; poiché allora arriva una cosa molto triste: il grande numero di esempi che si hanno sotto gli occhi, la moltitudine di libri che trattano dell'uomo e dei suoi sentimenti, rendono abili senza esperienza. Si è disincantati senza aver goduto; restano ancora dei desideri, non si hanno più illusioni. L'immaginazione è ricca, abbondante e meravigliosa; l'esistenza povera, secca e disincantata. Si abita, con un cuore pieno, un mondo vuoto; e senza aver usato nulla, siamo disillusi da tutto. (parte II, lib. III, cap. IX, p. 499)
  • Ma se volete essere scossi; se volete sapere fino a che punto può estendersi l'immaginazione del dolore; se volete conoscere la poesia delle torture e gli inni della carne e del sangue, scendete nell'Inferno di Dante. (parte II, lib. IV, cap. XIV, pp. 575-577)
  • La Gloria è nata senza ali; bisogna che essa prenda in prestito quelle delle muse, quando vuole volare verso il cielo. (parte III, lib. II, cap. I, p. 687)
  • L'uomo che ha lasciato un solo precetto morale, un solo sentimento che si riferisca alla terra, è più utile alla società del geometra che ha scoperto le più belle proprietà del triangolo. (parte III, lib. II, cap. I, p. 689)
  • C'era un uomo che, a dodici anni, con aste e cerchi, aveva inventato la matematica; che, a sedici anni, aveva scritto il più sapiente trattato sulle coniche che sia visto dall'antichità; che, a diciannove anni, ridusse in macchina una scienza che esiste tutta quanta nella mente. Che, a ventitré, mostrò i fenomeni della pesantezza dell'aria, e distrusse uno dei grandi errori dell'antica fisica; che, all'età in cui gli altri uomini iniziano a mala pena a nascere, dopo aver terminato di percorrere il cerchio delle scienze umane, si accorse del loro niente e rivolse i suoi pensieri verso la religione; che, da quel momento fino alla morte, arrivata a trentanove anni, sempre infermo e sofferente, fissò la lingua che parlarono Bossuet e Racine, dando il modello del motteggio più perfetto, come del ragionamento più forte; infine che, nei brevi intervalli dei suoi mali, risolse, per astrazione, uno dei più alti problemi della geometria, e gettò sulla carta pensieri che riguardano Dio e l'uomo: questo immenso genio si chiamava Blaise Pascal. (parte III, lib. II, cap. VI, p. 713)
  • La nostra superiorità si riduce dunque a qualche progresso nei nostri studi naturali; progressi che appartengono al corso del tempo, e che non compensano, con molta approssimazione, la conseguente perdita di immaginazione. (parte III, lib. II, cap. VI, p. 719)
  • Un cristiano ha eminentemente quelle qualità che un antico domanda a uno storico... un buon senso per le cose del mondo, una gradevole espressione[14]. (parte III, lib. III, cap. VII, p. 751)
  • Non c'è un bel ricordo, né una bella istituzione nei secoli moderni che il cristianesimo non reclami. I soli tempi poetici della nostra storia, i tempi cavallereschi gli appartengono ancora: la vera religione ha il merito di aver creato fra di noi l'età della magia e degli incantesimi. (parte IV, lib. V, cap. I, p. 1067)
  • Qualora si negassero al cristianesimo le sue prove soprannaturali, resterebbe ancora nella sublimità della sua morale, nell'immensità dei suoi benefici, nella bellezza delle sue cerimonie, cosa che prova che sia il culto più divino e più puro mai praticato dagli uomini. (parte IV, lib. VI, cap. XIII, p. 1221)

Explicit[modifica]

«A coloro che hanno ripugnanza per la religione, dice Pascal, bisogna cominciare a dimostrare che non è affatto contraria alla ragione; poi, che è venerabile e portarle rispetto; dopo, renderla amabile e far desiderare che sia vera; poi, dimostrare con prove incontestabili che è vera; far vedere la sua antichità e la sua santità con la sua grandezza e la sua elevazione».
Tale è la via che questo grande uomo aveva tracciato e che abbiamo provato a seguire. Non abbiamo impiegato gli argomenti consueti degli apologisti del cristianesimo, ma un'altra concatenazione di prove ci conduce tuttavia alla stessa conclusione; sarà il risultato di quest'opera:
Il cristianesimo è perfetto; gli uomini sono imperfetti.
Ora, una conseguenza perfetta non può uscire da un principio imperfetto.
Il cristianesimo non è dunque venuto dagli uomini.
Se non è venuto dagli uomini, non può essere venuto che da Dio.
Se è venuto da Dio, gli uomini non hanno potuto conoscerlo che per rivelazione.
Dunque il cristianesimo è una religione rivelata.

Martiri[modifica]

  • La grandezza dell'orizzonte romano che armonizza con le grandi linee dell'architettura; gli acquedotti che, a guisa di raggi convergenti ad un centro, portano le acque al popolo re su archi di trionfo; il rumore infinito delle fontane; le innumerevoli statue simili a un popolo immobile in mezzo ad un popolo pieno di vita; i monumenti di tutte le età e di tutti i paesi; le opere dei re dei consoli dei cesari; gli obelischi tolti all'Egitto, le tombe tolte alla Grecia; non so qual bellezza nella luce nei vapori nei contorni delle montagne; la stessa rusticità del corso del Tevere e le mandre di cavalle quasi selvagge che s'abbeverano: nelle sue acque; la campagna, che il cittadino di Roma sdegna ora di coltivare dichiarando ogni anno alle nazioni suddite qual parte della terra avrà l'onore di nutrirlo, tutto porta in Roma l'impronta del o dominio e del tempo... (libro V; 1910, p. 76)
  • Fiori e frutti umidi di rugiada sono meno soavi e freschi che il paesaggio di Napoli uscito dalle ombre della notte. Arrivando al portico, ero sempre sorpreso di trovarmi in riva al mare, poichè le onde in quel luogo facevano appena udire il leggero mormorio d'una fonte. Estatico per tale spettacolo, appoggiato ad una colonna, rimanevo ore ed ore, senza pensiero senza desiderio senza scopo, a respirare l'aria dolcissima. La malia era sì profonda che l'aria divina pareva trasformare la mia sostanza e con piacere ineffabile io m'alzavo al firmamento come un puro spirito... (libro V; 1910, pp. 75-76)
  • Forse vi sono climi pericolosi alla virtù, per la voluttà che ispirano. Non racconta un'ingegnosa favola che Partenope fu costruita sulla tomba di una sinena? Lo splendore vellutato della campagna, la tiepida temperatura dell' aria, i contorni arrotonditi delle montagne, le molli curve dei fiumi e delle valli sono a Napoli vere seduzioni dei sensi cui nulla stanca e tutto riposa. Il napoletano seminudo, contento di sentirsi vivere sotto l'influenza di un cielo propizio, rifiuta di lavorare, appena abbia guadagnato l'obolo che basta al pane quotidiano. Egli passa la metà della vita immobile ai raggi del sole e l'altra a farsi trascinare in un carro mandando grida di gioia; di notte si getta sugli scalini di un tempio e dorme incurante dell'avvenire, accovacciato innanzi alle statue degli dei. (libro V; 1910, p. 76)

Memorie d'oltretomba[modifica]

  • Ci sono parole che dovrebbero servire una volta sola.
  • Il cielo fa nascere di rado insieme l'uomo che vuole e l'uomo che può.
  • L'uomo non ha una sola e identica vita; ne ha diverse giustapposte, ed è la sua miseria.
  • La vera felicità costa poco; se è cara, non è di buona lega.
  • La bruttezza di Mirabeau, sovrapposta sul fondo della bellezza tipica della sua razza, produceva una sorta di possente figura da Giudizio Universale di Michelangelo […] La natura sembrava aver modellato la sua testa o per l’impero o per la forca, e scolpito le sue braccia o per stringere una nazione, o per rapire una donna. Quando scuoteva la criniera e guardava il popolo ne arrestava lo slancio; quando levava lanzampa mostrando le unghie, la plebe correva furiosa. In mezzo allo spaventoso disordine di una seduta l’ho visto nella tribuna, cupo, brutto, immobile: faceva venire in mente il caos di Milton, impassibile e senza forma al centro della sua confusione […] Traeva la sua energia dai suoi vizi; quei vizi non nascevano da un temperamento frigido, poggiavano su passioni profonde, brucianti, tempestose[15].
  • Ogni sera l'uomo, coricandosi, può fare il conto delle sue perdite; solo i suoi anni non lo lasciano, benché passino.[2]
  • Secondo l’ordine di questa gerarchia di bruttezza, apparivano, insieme ai fantasmi dei Sedici, una serie di teste di gorgoni. L’ex medico delle guardie del corpo del conte di Artois, l’aborto svizzero Marat, con i piedi nudi negli zoccoli o nelle scarpe ferrate, era il primo a perorare in virtù dei suoi incontestabili diritti... nella cerchia delle bestie feroci attente ai piedi del pulpito, aveva l’aria di una iena vestita. Fiutava i futuri affluvi del sangue; aspirava già l’incenso delle processioni di asini e di boia, nell’attesa del giorno in cui, cacciato dal Club dei Giacobini come ladro, ateo, assassino, sarebbe stato scelto come ministro. Quando Marat era sceso dalla sua tribuna di tavole... non gli impedì di diventare il capo della moltitudine, di salire fino all’orologio dell’Hôtel de Ville, di suonare da là il segnale di un massacro generale, e di trionfare al tribunale rivoluzionario. Marat, come il peccatore di Milton, fu violato dalla morte: Chénier ne fece l’apoteosi, David lo dipinse nel bagno rosso di sangue... In un cenotafio coperto di erba in place du Carrousel si poteva visitare il busto, la vasca da bagno, la lampada e lo scrittoio della divinità. Poi cambiò il vento: l’immondizia, versata dall’urna di agata in ben altro vaso, fu vuotata nella fogna.
  • [In occasione del giuramento di fedeltà prestato da Joseph Fouché, dinnanzi a Luigi XVIII di Francia, dopo il secondo rientro a Parigi di quest'ultimo come re di Francia, alla presenza di Talleyrand] Tutt'a un tratto, la porta si apre: entra silenziosamente il vizio appoggiato al braccio del crimine, il signor di Talleyrand che procede sostenuto dal signor Fouché; la visione infernale passa lentamente davanti a me, penetra nell'ufficio del re e dispare. Fouché veniva a giurare fede e rispetto al suo signore [in qualità di nuovo Ministro di polizia]: il fedele regicida, in ginocchio, mise le mani che fecero cadere la testa di Luigi XVI tra le mani del fratello del re martire; il vescovo apostata [Talleyrand, neo Ministro degli esteri, vescovo di Autun dal 1788 al 1791] garantì il giuramento.[16]
  • Quasi sempre, in politica, il risultato è contrario alle previsioni.
  • Vi sono tempi in cui si deve spendere il disprezzo con parsimonia, a causa del gran numero di bisognosi.

Viaggio in Italia[modifica]

  • La zolfatara, campo di zolfo. Rumore delle fontane di acqua bollente: rumore del Tartaro per i poeti.
    Veduta del golfo di Napoli nel ritorno: capo disegnato dalla luce del sole occidente; riflesso della luce sul Vesuvio e l'Apennino; armonia di quei fuochi e del cielo. Vapor diafano a fior d'acqua e a mezza montagna. Bianchezza delle vele delle barche rientranti nel porto. L'isola di Capri lontana. La montagna di Camaldoli col convento e gruppo d'alberi, sopra Napoli. Contrasto di ciò con la zolfatara. (p. 46)
  • Convengo che i dintorni di Napoli sono forse più appariscenti che non quelli di Roma: quando il sole arde o la luna, larga e rossa, s'alza sopra dal Vesuvio come un globo lanciato dal vulcano, la baia di Napoli con le sue rive cinte d'aranci, le montagne della Puglia, l'isola di Capri, la costa di Posilipo, Baia, Miseno, Cuma, l'Averno, i Campi Elisi e tutta quella terra virgiliana presentano uno spettacolo magico; tuttavia, secondo me, vi manca il grandioso della campagna romana. (p. 61)
  • [La Campagna romana] Figuratevi un po' della desolazione di Tiro e di Babilonia, cui accenna la Scrittura; un silenzio e una solitudine vaste come il rumore e il tumulto degli uomini che un tempo calpestavano questo suolo. Si crede di udirvi risuonare la maledizione del profeta: Venient tibi duo haec subito in die una, | sterilitas et viduitas[17]. Qua e là si scorgono accenni di strade romane in luoghi ove non passa più alcuno e tracce disseccate di torrenti invernali, simili, quando si vedano di lontano, a grandi strade battute e frequentate, mentre non sono che il letto deserto di un'onda tempestosa trascorsa come il popolo di Roma. Rari son gli alberi, dovunque s'alzano rovine di acquedotti e di tombe: rovine che sembrano le foreste e le piante indigene d'una terra composta dalla polvere dei morti e dai ruderi. Spesso in un gran piano ho creduto vedere ricche messi; avvicinandomi ho scoperto erbe avvizzite. A volte, sotto queste sterili messi si distinguono i ricordi d'un'antica coltivazione. Ma niente uccelli o contadini o lavori rustici, o muggiti di mandre o villaggi. Un piccol numero di fattorie scalcinate s'ergono su la nudità dei campi; le finestre e le porte ne son chiuse, non vi escono né uomini né rumore né fumo. Una specie di selvaggio seminudo, pallido e minato dalla febbre, custodisce queste misere capanne, come gli spettri che, nelle nostre storie gotiche, proibiscono l'entrata dei castelli deserti. Si direbbe davvero che nessun popolo ha osato succedere ai padroni del mondo nella loro terra nativa; e che questi campi son tali quali li ha lasciati il vomere di Cincinnato o l'ultimo aratro di Roma.
    Dal mezzo di questo terreno incolto, cui domina e attrista ancora un monumento chiamato dalla voce popolare la tomba di Nerone, s'èleva la grande ombra della Città Eterna. Decaduta dalla sua potenza terrestre sembra aver voluto isolarsi nel suo orgoglio, si è disgiunta dalle altre città del mondo, e, come una regina scesa dal trono, ha nobilmente celato nella solitudine le sue sventure. (p. 105)
  • Si può, a Venezia, credersi sulla tolda d'una superba galera ancorata, sul Bucentauro, dove si dia una festa, e donde si scorgano all’intorno cose ammirevoli. (p. 105)
  • La civiltà di Venezia ha con sé ogni comodo di vita. La seduzione del cielo impedisce di pensare a una maggior dignità umana; una virtù di simpatia esala da questi vestigi di grandezza, da queste tracce dell'arte. Gli avanzi di un'antica società, che produsse tali miracoli, disgustandovi di una società nuova, non vi permettono alcun desiderio dell'avvenire. Volete sentirvi morire con tutto ciò che muore intorno a voi; né altra cura vi spetta se non fregiare i resti della vostra vita, a mano a mano ch'essa se ne dispoglia. (p. 107)
  • Venezia non conobbe l'idolatria; crebbe cristiana nell'isola in cui fu nutrita, lungi dalla brutalità di Attila. Le discendenti dei Scipioni, le Paole e le Eustochie, sfuggirono, nella grotta di Betlemme, alla violenza di Alarico. Appartata dalle altre città, figlia primogenita della civiltà antica, non avvilita dalla conquista, Venezia né ruderi romani contiene, né monumenti barbarici. Neppur vi si vede ciò che si vede nel nord e nell'occidente di Europa, in mezzo ai progressi dell'industria, voglio dire gli edifici nuovi, le vie fabbricate in fretta, in cui le case o sono incompiute o vuote. Che cosa si potrebbe qui costruire? Miserabili bugigattoli, che svelerebbero la povertà di concezione dei figli, vicino alla magnificenza geniale dei padri; casupole bianche, che non arriverebbero al tallone dei giganteschi palazzi abitati dai Foscari e dai Pesaro. La cazzuola di calcina e la mano di gesso, che per un’ urgente riparazione si sono applicate ad un capitello di marmo, ci offendono. Meglio le tavole tarlate, che sbarrano le finestre greche o moresche; meglio i cenci posti ad asciugare sopra artistici balconi, che l'impronta della mano infermiccia del nostro secolo. (pp. 107-108)
  • Venezia è là, assisa sulla riva del mare, come una bella donna, che sta per spegnersi col giorno; il vento crepuscolare solleva i suoi capelli profumati ed essa muore, salutata da tutte le grazie e da tutti i sorrisi della natura. (p. 108)

Incipit di René[modifica]

Quando arrivò da Natchez, René era stato obbligato a prendere moglie, per conformarsi ai costumi degli indiani.[18]

Citazioni su François-René de Chateaubriand[modifica]

  • Aveva lo Chateaubriand celebrato il cristianesimo, ispiratore dell'arte, in una prosa risonante, eloquente; ma il suo cristianesimo che, a buon diritto, non appagava il Manzoni, era cosa esteriore rivestita della porpora del nuovo Cesare. Non da esso poteva nascere la fede che persuade, tranquillizza, dominatrice dell'orgoglio e delle passioni. (Pietro Toldo)
  • L'abate Morellet, il nome del quale è già cancellato dal libro della vita, rimproverava a Chateaubriand di non sapere la sua lingua, di essere uno scolaruccio che bisognava rimandare ad apprendere cosa fosse un'interiezione, un pronome, un verbo, o un tempo; e tutto questo veniva accompagnato dall'accademico da una diatriba verbosa contro coloro che non sapevano scrivere. (Jean-Baptiste Capefigue)
  • Noi siamo tuoi figli! Le tue idee, le tue passioni, i tuoi sogni non sono più solo le nostre, ma tu ci hai indicato la strada e seguiamo le tue tracce. (Charles Augustin de Sainte-Beuve)

Note[modifica]

  1. Da Saggio storico, politico e morale sulle rivoluzioni antiche e moderne.
  2. a b c Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  3. Da Di Buonaparte, dei Borboni e della necessità di schierarci intorno ai nostri principi legittimi per la felicità della Francia e dell'Europa, p. 26.
  4. Da Martiri, XXIV; citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, U. Hoepli, Milano, 1921, p. 489, § 1453.
  5. Da Di Buonaparte, dei Borboni e della necessità di schierarci intorno ai nostri principi legittimi per la felicità della Francia e dell'Europa, p. 8.
  6. Da I quattro Stuart.
  7. Da Etudes historiques, in Oeuvres completès, a cura di E. Biré, IX, Paris, pp. 70-75; citato in Marjorie Reeves, Warwick Gould, Gioacchino da Fiore e il mito dell'Evangelo eterno nella cultura europea, Viella, 2000, p. 112.
  8. Citato in Brigitte Bulard-Cordeau, Il piccolo libro dei gatti, traduzione di Giovanni Zucca, Fabbri Editori, Milano, 2012, p. 41. ISBN 978-88-58-66237-3
  9. Citato in Charles Augustin de Sainte-Beuve, Saggio su Tallyrand di Sir Henry Litton Bulwer, in Talleyrand ed altri saggi, tradotti e presentati da Pietro Paolo Trompeo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1947, p. 90.
  10. Dal Viaggio in Italia, citato in Pietro Citati, L'armonia del mondo. Miti d'oggi, Superpocket, su licenza RCS Libri, 1999, p. 114. ISBN 88-462-0122-1
  11. Jean-Michel Le Bot, Contribution à l'histoire d'un lieu commun: l'attribution à Chateaubriand de la phrase «les forêts précèdent les peuples, les déserts les suivent», Socio-logos, n. 7, 2012.
  12. IGNAZ. in Patr. apost. Epist. ad Smyrn, n. 1.
  13. In Hæres., lib. IV.
  14. Luciano, Come bisogna scrivere la storia, traduzione di Racine.
  15. François-René de Chateaubriand, Memorie d’oltretomba, Torino, Einaudi, 1995, v. I, p. 182.
  16. Citato in Pier Damiano Ori e Giobanni Prich, Talleyrand, Rusconi, Milano, 1981, p. 166.
  17. Ma ti accadranno queste due cose, | d'improvviso, in un sol giorno; | perdita dei figli e vedovanza | piomberanno su di te, | nonostante la moltitudine delle tue magie, | la forza dei tuoi molti scongiuri. Da Isaia, 47,9, in La sacra Bibbia, edizione CEI, 1974, vatican.va.
  18. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

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