L'appartamento spagnolo

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L'appartamento spagnolo

Immagine L'Auberge espagnole.png.
Titolo originale

L'auberge espagnole

Lingua originale inglese, italiano, tedesco, francese, spagnolo e catalano
Paese Francia, Spagna
Anno 2002
Genere commedia
Regia Cédric Klapisch
Sceneggiatura Cédric Klapisch
Produttore Bruno Levy
Interpreti e personaggi

L'appartamento spagnolo, film del 2002, regia di Cédric Klapisch.

Frasi[modifica]

  • Non riesco a capire perché il mondo in generale è diventato il casino che è diventato. Chissà se era proprio inevitabile che diventasse così. Tutto è complicato, caotico, farraginoso... una volta non c'era altro che la campagna, con le mucche, le galline, tutto era molto più semplice, immagino. Allora avevamo un rapporto diretto con le cose, nel mondo di Martine si allevavano gli animali, si mangiava quel che si coltivava, ci si facevano da sé i vestiti, la casa; per Martine, alla fattoria, la vita era semplice. A volte mi chiedo perché ci abbiamo rinunciato al mondo di Martine. (Xavier)
  • Quando si arriva in una città nuova non ci sono che strade a perdita d'occhio e file di palazzi privi di senso, tutto è misterioso, vergine. (Xavier)
  • Un giorno avrei abitato in questa città, percorso le sue strade, fin dove lo sguardo si perdeva; avrei esplorato questi palazzi, vissuto delle storie con questa gente. Vivendola, la città, questa strada l'avrei imboccata dieci, cento, mille volte. (Xavier)
  • "Urquinaona"... questo nome dal suono vagamente sioux, si andava ad aggiungere alla lunga lista di parole in origine stravaganti che accumuliamo in qualche angolo del cervello: Urquinaona ormai troneggia accanto a: untume, catapulta, Upupa, decubito, cumulonembo, Ulan Bator, Uma Thurman. È diventato normale e famigliare. (Xavier)
  • Un giorno quando sarò tornato a Parigi, anche la peggior sfiga si trasformerà in una avventura straordinaria, in virtù del meccanismo idiota per cui i giorni più tetri di un viaggio, i momenti più sordidi, sono quelli che tendiamo a racontare con maggior entusiasmo. (Xavier)
  • Ho subito adorato quel posto, avrei dato non so cosa pur di essere accettato. Quel caos era lo stesso che da sempre regnava dentro di me. Non c'era differenza tra i loro battibecchi e quelli che avevano luogo nella mia testa da quando ero bambino. (Xavier)
  • Come per i viandanti dei secoli passati, le locande spagnole erano sinonimo di mancanza di comfort e tavola tutt'altro che imbandita, la stessa cosa era per me l'appartamento di Barcellona. (Xavier)
  • Sono francese, spagnolo, inglese, danese. Non sono uno, ma una moltitudine. Sono come l'europa. Sono tutto questo. Sono il caos. (Xavier)
  • Ci raccontiamo che siamo contenti di partire, che siamo forti e poi, una volta in viaggio, ne siamo meno sicuri. Non è facile partire così, ci lasciamo tante cose dietro le spalle, non sappiamo bene dove andiamo. (Xavier)
  • In generale, non so mai perché mi trovo dove mi trovo, il che mi rende banale. (Xavier)
  • Non so perché la mia vita è perennemente in casino, perché è sempre stata complicata, caotica, ingarbugliata, illogica. Ho l'impressione che gli altri conducano un'esistenza più semplice, più coerente, più logica, insomma. (Xavier)

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