Laura Centemeri
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Laura Centemeri, sociologa economica e saggista italiana.
Ritorno a Seveso
[modifica]- Cominciavo a rendermi conto che "ambiente" non è solo l'insieme di acqua, aria, terra; che non si può considerare l'uomo nel suo rapporto con la natura se non lo si considera anche nel suo rapporto con gli altri uomini, e nel suo rapporto con gli oggetti che fabbrica o con le piante che coltiva. Considerare "i sevesini" non aveva senso se non si consideravano anche gli orti dietro le case e le araucarie davanti alle case.
Ciò che i sevesini facevano presente, lottando contro il rischio di sradicamento, era il fatto che vivere in un certo ambiente piuttosto che in un altro non era loro indifferente, perché il radicamento al territorio era parte del modo in cui essi si definivano e si riconoscevano come collettività: in esso erano depositati quei riferimenti che rendevano loro possibile un riconoscimento di ciò che erano, individualmente e collettivamente. Ora, nel quadro della critica di sinistra, questo legame identità-luogo era messo a tema unicamente nei termini negativi del localismo, guardato con sospetto come residuo tradizionalistico, che allontanava dal riconoscimento della vera causa comune, la lotta di classe. (cap. 3.2.3, p. 122) - Guardando alla vicenda di Seveso, quello che emerge è che un danno all'ambiente può essere riparato, che chi inquina ogni tanto paga, che un deserto di diossina può diventare un parco naturale e che un disastro può rivelarsi, in prospettiva, un'opportunità per aprire gli occhi sull'importanza dell'ambiente come bene da difendere, favorendo localmente l'affermarsi di politiche più attente al territorio.
La lezione di Seveso ci dice al tempo stesso che una collettività può decidere di non voler conoscere fino in fondo gli effetti di un danno ambientale, che la scienza non necessariamente è dotata degli strumenti più adatti per rilevarlo, che perciò il diritto non dà garanzie di risarcirlo. Ancora, che una multinazionale può causare un disastro e semplicemente metterlo in bilancio. [...]
Il Bosco delle Querce è oggi un luogo in cui è visibile e collettivamente riconoscibile la riparazione del danno da diossina a Seveso. Ciò non toglie che il significato e la portata di questa riparazione restino per il momento ancora chiusi all'interno della comunità sevesina, restino cioè largamente ancorati all'interpretazione del danno come «disgrazia» e «prova» per la comunità. In tutto questo processo c'è stato un grande assente, la cui presenza è però necessaria perché si possa parlare a pieno titolo di riparazione: l'offensore, la multinazionale Roche. (cap. 4.3, p. 184) - In quella che abbiamo ribattezzato l'interpretazione comunitarista del danno, la contaminazione è stata considerata come una «disgrazia» venuta dall'esterno, che ha rischiato di disperdere la comunità. È questo pericolo che i sevesini hanno cercato di contrastare, difendendo il proprio attaccamento al territorio. In questo affermare la comunità come bene da difendere, i sevesini hanno trovato il modo di rivendicare pubblicamente ciò che stava loro a cuore, e che vedevano altrimenti inascoltato: l'importanza del loro legame con il territorio e la volontà, per quanto fosse possibile, di preservarlo, nonostante il danno ambientale.
Il prevalere dell'interpretazione comunitarista del danno da diossina, che spiega la singolare trasformazione della vicenda dell'Icmesa da disastro industriale a conflitto culturale, chiama allora in causa quella che fu una sconfitta chiara e senza sfumature. la sconfitta delle istituzioni, quelle della scienza come quelle della politica, che fallirono nel loro compito di far esistere un mondo "in comune" tra gli attori, all'interno del quale poter agire insieme per perseguire interessi collettivi condivisi. [...]
Le conseguenze furono gravi, perché la perdita di legittimità che ne conseguì portava con sé la fragilizzazione del legame sociale, già scosso dall'incidente, che alimentò l'emergere di comportamenti opportunistici e un diffuso ripiegamento nel privatismo, confermando tra cittadini e istituzioni un rapporto di alterità e distanza che aveva una lunga consuetudine. E in questa abitudine alla distanza delle – e dalle – istituzioni che mette radici la chiusura comunitaristica, in cui si perde il riferimento alla corresponsabilità verso la cosa pubblica per riconoscere nella propria comunità l'unico bene da difendere. (dalle Conclusioni, p. 186) - Accanto alle istituzioni fu anche la politica, in particolare quella dei movimenti, a uscire sconfitta. La mobilitazione di sinistra si mostrò incapace di comprendere, e poi di "tradurre" nello spazio pubblico, le ragioni degli attori, di cogliere le implicazioni normative dei loro argomenti e di renderle riconoscibili come rilevanti per la definizione collettiva della posta in gioco. Fu una mobilitazione più impegnata a convincere che non a comprendere, non i lasciandosi interrogare dal fallimento delle sue iniziative ma screditando gli attori come incapaci di agire politicamente. La mobilitazione cattolica riuscì dal canto suo a essere più vicina al sentire della popolazione, in quanto più attrezzata a cogliere il contenuto politico delle sue rivendicazioni: fece però un uso strumentale del disastro, per portare avanti una lotta tesa a delegittimare le istituzioni e lo spazio pubblico come luogo del confronto e della definizione dell'interesse collettivo, alimentando così, e non contrastando, il ritiro nel privatismo. (dalle Conclusioni, p. 187)
- In questa affermazione della comunità come il bene comune, sono stati i beni comuni a rischiare di non essere più riconosciuti come tali. A rischiare di perdersi è stata allora la riconoscibilità di ciò che, nelle differenze e nelle distanze, lega gli individui gli uni agli altri: il mondo che esiste tra loro, ciò che dà la misura del loro essere-tra, del loro inter-est. Del loro interesse comune. (dalle Conclusioni, p. 189)
Bibliografia
[modifica]- Laura Centemeri, Ritorno a Seveso: il danno ambientale, il suo riconoscimento e la sua riparazione, Bruno Mondadori, 2006.