Lazzaro Papi

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Monumento funebre di Lazzaro Papi (basilica di San Frediano di Lucca)

Lazzaro Papi (1763 – 1834), scrittore e storico italiano.

Commentarii della rivoluzione francese[modifica]

  • La morte ch'ei [Adam Philippe de Custine] tante volte avea disprezzata sul campo di battaglia, lo spaventò quando sentì di doverla incontrare sopra un palco per mano di un carnefice. Andò al supplizio con rassegnazione cristiana e con divoti sentimenti; il che eccitò in quegli irreligiosi tempi la maraviglia e le beffe di molti. (tomo I, p. 112)
  • Un altro con questi due [Robespierre e Saint-Just] strettamente unito era il Couthon, uomo di fina ipocrisia che sotto piacevoli e dolci sembianze nascondeva un animo fiero e crudele, e che abbiamo già visto acerbissimo persecutore de' Girondini e de' Lionesi. Questi aveva una singolar destrezza a cattivarsi la benevolenza della Convenzione quando saliva in ringhiera, o piuttosto quando vi era portato (poiché un tristo accidente gli aveva tolto l'uso delle gambe) e il Robespierre quasi sempre di lui si serviva quando voleva far approvare qualche violenta proposta. (tomo III, p. 54)
  • La plebaglia caricò d'insulti, di scherni e d'imprecazioni l'Hebert che un giorno aveva tanto favoreggiato e applaudito, e un abbattimento estremo, un'orribile disperazione e tutti i terrori d'una rea coscienza manifestaronsi in questo sciagurato, mentr'era condotto sul palco [per essere ghigliottinato]. (tomo III, p. 59)
  • Una parte della Montagna, dopo ch'ella ebbe oppressi i Girondini, stimando non far più bisogno di tanto rigore, si era volta a moderazione, voleva por fine al governo rivoluzionario, torre ai Comitati quella dittatoria possanza che si avevano arrogata e quel predominio, sotto cui tenevano la Convenzione e stabilire un governo legale, clemente ed umano. (tomo III, p. 62)
  • Il Robespierre grida, si dibatte, si affanna, or invocando le ringhiere, ora i Deputati della Montagna, or quelli detti detti del Pantano e amici de' Girondini, ai quali egli l'avea perdonata per servirsi di loro al bisogno; ma niun vuole udirlo, niuno gli risponde. Egli con volto a vicenda chiazzato di vari colori, con livide e tremanti labbra, con un sudor freddo sulla fronte, or si abbandona al suo spavento, or alla sua rabbia disperata. Corre al presidente Thuriot, di nuovo chiedendo poter parlare e chiamandolo presidente di ribaldi, ma questi scuote il campanello sì forte e continuamente che nol lascia proseguire. Quegli vomita insulti e minacce con voce roca, e con lingua balbettante; onde un Deputato gli dice: «sciagurato! il sangue del Danton ti affoga» e un altro: «abbandona, o scellerato, questi seggi che tu contamini, questi seggi che il Vergniaud e il Condorcet occupavano un giorno». (tomo III, pp. 123-124)

Lettere sulle Indie Orientali[modifica]

Incipit[modifica]

Voi mi chiedete, caro amico, una descrizione dell'India, e credete dovermi essa riescire agevole per la dimora che ho qui fatta di ormai quasi dieci anni. Se voi volete contentarvi di un semplice sbozzo, io mi proverò a compiacervi, ma vi prego in prima a cambiare la presente vostra in una del tutto contraria opinione. Una descrizione geografica di questi paesi non dee certo esser più difficile all'esperto e indefesso viaggiatore che quella di un'altra parte del mondo; e le città, le fabbriche, le montagne, le valli, i laghi, i fiumi, le costiere ec. possono dipingersi con appresso a poco lo stesso pennello. Ma i costumi dei popoli, le maniere, le opinioni, la religione, i riti, le cerimonie, i vizi, le virtù, e la faccia morale in somma delle nazioni richiedono per esser ritratti un occhio sagacissimo e avvezzo alla minuta e calcolatrice osservazione, onde de' vari punti di vista che quella presenta, scegliere quelli che posson meglio condurci a mirare tutto l'oggetto.

Citazioni[modifica]

  • Quel che arreca meraviglia ad un Europeo al suo primo metter piede nelle parti meridionali dell'India, è il vedervi uno affatto diverso regno vegetabile. Erbe, arboscelli, alberi, tutto, con poche eccezioni, è qui differente. La vegetazione stessa sembra avervi altre leggi. Ella è in certo modo sospesa in Europa per un tempo dell'anno; in India è sempre in azione. Non nevi, non ghiacci, non aquiloni l'arrestano, gli alberi prepetuamente frondeggiano, e
    Nel tronco istesso e tra l'istessa foglia
    Sovra il nascente fico invecchia il fico:
    Pendono a un ramo, un con dorata spoglia
    L'altro con verde, il nuovo e il pomo antico.
    (Tomo I, Lettera I, p. 9)
  • Che gl'Indiani riconoscano un solo Ente Supremo, e non sieno punto idolatri, nel senso stretto di questa parola, come gravemente ci veniva detto una volta, ella è cosa fuori d'ogni dubbio. Le imagini de' loro Numi non differentemente da essi si adorano che fra i Cattolici quelle della Vergine, degli Angeli, de' Santi, sebbene in India, siccome altrove, il volgo ignorante e stupido spesso non sa quello che pensa, quello che fa, quello che crede.
    I differenti Dei e Dee degl'Indiani altro non sono che ministri e favoriti della Divinità suprema, o apparizioni, o emanazioni e porzioni di essa medesima sotto varie forme per distruggere, punire, o richiamare i malvagi nel sentiero della virtù, e per incoraggiare, proteggere e premiare i buoni. (Tomo I, Lettera III, pp. 49-50)
  • Nonostante le grandi e molte differenze che passano fra i Numi indiani e quei di Grecia e di Roma, è ferma opinione di alcuni che le due mitologie non sieno infatti che una sola trasportata da un paese in un altro. (Tomo I, Lettera V, p. 141)
  • La vacca e il bue sono i più sacri [animali]; ma questo non fa sì ch'essi non sieno impiegati dagl'Indiani in faticosi lavori, come sono fra noi, e che non ricevano da essi bastonate e punture quando si mostrano pigri e restii: onde, quando leggete che gl'Indiani adorano quegli animali, rammenterete che molte espressioni de' viaggiatori hanno un senso assai vago e indeterminato. (Tomo I, Lettera VI, p. 163)
  • Può parere strano che niuno fralle caste inferiori sorgesse mai, il quale rivocasse in dubbio la dottrina delle caste, e questa ineguaglianza originale di condizioni insegnata e inculcata dai Bramini. Nulla prova più la forza stupenda della religione e delle prime instituzioni nell'oscurare i più chiari dettati della ragione. L'Indiano avvezzo dall'infanzia a sentirsi dire che Dio lo ha posto nello stato in cui nacque e dee morire, per colpe da lui commesse in una vita primiera, si rassegna di buona voglia al preteso volere dell'onnipotente e a ciò ch'ei crede meritato gastigo, senza che mai gli cada in mente di sospettar d'impostura i suoi Preti. (Tomo II, Lettera X, pp. 7-8)
  • Gli Indiani in generale hanno ferma credenza nei presagj, nella efficacia delle fattucchierie, de' talismani, degli amuleti o brevi che molti portano legati al braccio, al collo o alla cintola; e se voi vi burlate della loro credulità, eglino si ridono allo incontro della vostra ignoranza, o si meravigliano almeno come voi vi ostiniate a mettere in dubbio cose tanto certe e provate. (Tomo II, Lettera XI, p. 27)
  • L'universale ed ostinata fede nei giorni fortunati e sfortunati, è un'altra gran fonte d'ansietà e di pungenti sollecitudini per gl'Indiani. Non si intraprende viaggio senza consultare su ciò i Bramini posseditori del libro che mostra il giorno e l'ora propizia per uscir di casa. Saputa questa, la pioggia o la tempesta non trattiene dall'incominciare il cammino, per quanto breve ne sia la prima giornata; altrimenti, convien attendere un altro giorno anzi talora più giorni, ed un'altra ora felice. Di più, se in escir di casa, s'incontrano certi animali, certi uccelli che non volano per la parte che dovrebbero e certi altri inauspiciosi oggetti, è duopo rientrare ed aspettare un punto più favorevole. (Tomo II, Lettera XI, p. 28)
  • Misera condizione degli uomini che gli porta sempre ed in ogni luogo a fabbricarsi mille mali, inquietudini e pene, come se quelli a cui la natura gli ha realmente e inevitabilmente condannati, loro non bastassero! (Tomo II, Lettera XI, p. 29)

Note[modifica]


Bibliografia[modifica]

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