McKenzie Wark

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McKenzie Wark (1961 – vivente), scrittrice e accademica australiana.

Raving[modifica]

Incipit[modifica]

La prima cosa che cerco in un rave: chi ne ha bisogno e, tra coloro che ne hanno bisogno, chi riesce a gestirsi questo bisogno?

Mi siedo fuori per un po'. Nel cortile, dove fa più fresco. I miei piedi storpi pulsano. Sono appoggiata a… qualcosa, o qualcuno. Deliziosa stanchezza. Riposare i piedi, bere dell'acqua. Sta facendo giorno. Valuto se tornare a casa. Ho perso il mio gruppo – chiamiamole Z ed E. Credo siano ancora qui, da qualche parte. Va tutto bene. Un momento da sola, senza essere sola.

Guardo la folla. I gruppetti di persone in piedi, sedute. Mi sembra di vedere B e H e forse A. Mi piace: è soprattutto la folla di chi ne ha bisogno. Sono chimicamente predisposta alla simpatia. L'MD ha fatto effetto da un po' ormai e sono lanciata dritta verso l'orlo del precipizio, da cui poi si rotola nella polvere. Persino in questa luce fastidiosa sembrano persone con cui voglio stare. Essere una raver palesemente transessuale di mezza età non è sempre facile. In questo momento mi trovo in una situazione in cui non sono né respinta né al centro dell'attenzione. (p. 11)

Citazioni[modifica]

  • Assumere il controllo dello spazio. Assumere il controllo delle macchine. Assumere il controllo della chimica. Circuire dall'interno i simboli, la tecnologia, il mercato immobiliare. Almeno per un po'. L'esterno non esiste più, ma forse insieme all'interno possiamo raggiungere un mondo frattale. Allora sì che è un bel rave. In una bella serata, in un bel rave, tutto si amalgama in una tensione perfetta tra invenzione e intenzione. Ognuno ha una sua parte.(cap 1 Rave come pratica, p. 12)
  • Questa è la promessa di un bel rave: assorbi la situazione. Aggiungici del tuo. Variala. Aggiornala, rinfrescala. Aggiungici un accento, un movimento, senza fretta. Con o senza il nostro intervento, l'attimo scivolerà nel successivo. Le macchine del ritmo ci sovrastano. Sono implacabili. Hanno destituito quella che un tempo si chiamava Storia. C'è spazio tra i beat, però, per esistere ancora. (cap 1 Rave come pratica, p. 13)
  • I beat mi invocano. Mi invocano in questo tempo dentro la macchina che ci contiene tutte, che va avanti indipendentemente da noi, ma all'interno della quale, in questa situazione costruita con amore, frutto dell'arte di molte mani, bruceremo con furia animale, finche non si fermerà. (cap 1 Rave come pratica, p. 13)
  • Il punitore è una persona che, in un modo o nell'altro, ti rende difficile lasciarti andare. Se ne sta impalato davanti alla dj guardando il cellulare. Poi si gira verso un amico, un altro punitore. Chiacchierano a voce alta. Poi uno solleva la lattina di birra e ne spruzza il contenuto sui vicini. (cap 1 Rave come pratica, p. 14)
  • [...] lз colleghз: gente che vuole passare una notte fuori solo per poi parlarne in ufficio il lunedì. [...] Ci dà dentro, ma un po' troppo. Non che io voglia giudicare – so come ci si sente. Ma ballare accanto a lui è impossibile. Movimenti superveloci, imprevedibili, si lancia ovunque, come se fosse l'unica persona presente. (cap 1 Rave come pratica, pp. 14-15)
  • Mi interessano le persone per cui il rave è una pratica collaborativa che rende sopportabile questa vita. (cap 1 Rave come pratica, p. 15)
  • Le persone trans non sono le uniche a dissociarsi – ma spesso lo facciamo molto bene. Siamo un tipo di persone che non hanno bisogno di stare in un corpo o nel mondo. Il corpo sembra sbagliato. Il mondo ci tratta come se fossimo sbagliate. La dissociazione può essere debilitante. Ma a volte non lo è. [...] Voglio salvare almeno certi tipi di dissociazione dal lessico della psichiatria. Voglio trovare dei modi per cui questa disabilità può diventare abilitante. Un modo per scoprire cose sul mondo. Quindi ora ci sono due pratiche dissociative che ho bisogno di vivere: il rave e la scrittura. (cap 1 Rave come pratica, pp. 19-20)
  • Sulla scorta degli scritti situazionisti, pensiamo al rave come a una situazione costruita [...] un ambiente temporaneo, artificiale, creato dagli sforzi congiunti di promoter, dj, designer delle luci, ingnegner3 del suono, ospiti, e tutte le persone che vengono pagate perché l'evento funzioni. Insieme costruiscono una situazione che mette l3 raver davanti a una serie di vincoli e possibilità. Noi raver ci mettiamo la nostra libertà: le mosse , il bisogno grezzo, l'arte della copresenza. Per i situazionisti, la situazione costruita aveva un potenziale rivoluzionario rispetto alla forma che la vita poteva assumere dopo l'abolizione della merce, dello spettacolo, della totalità oppressiva. Ricordo che alcune di quelle intenzioni erano presenti in alcune scene rave degli anni Ottanta e Novanta. Difficilmente oggi i rave sono una situazione che prefigura l'utopia. come possono prefigurare un futuro, dal momento che potrebbe non esserci alcun futuro? La situazione costruita del rave forse è tutto ciò che resta per alcuni di noi – persino se verrà la rivoluzione. (cap 1 Rave come pratica, pp. 22-23)
  • [...] la storia e il capitalismo uscivano insieme. La storia frequentava anche altre persone, quindi il capitalismo provò in tutti i modi a sembrare il migliore dei mondi possibili. Poi si sposarono e il capitalismo smise di provarci sul serio. E allora la storia disse: «Ricordi il mio voto, finché morte non ci separi? Be', non crederai che io stessi scherzando...» (cap 1 Rave come pratica, p. 23)
  • Tutte le bambole sono donne trans, ma non tutte le donne trans sono bambole. [...] Le bambole sono ultra-femminili, può essere che siano lavoratrici del sesso ed è probabile che attraggano gli uomini. Non hanno un posto, fuorché la notte. le bambole hanno una loro scena. Ma non sta a me raccontarla. [...] È una policy ambigua quella di far entrare gratis solo le bambole. È pensata per attirare quelle belle. Un paio di transessuali strepitose che sanno come comportarsi e vano avanti a ballare tutta la notte danno un lustro all'evento che nessuna quantità di donne cis queer o uomini cis gay può rimediare. Però così a fine serata l3 collegh3 penseranno che esistiamo solo per farl3 divertire e credere di essere passat3... al lato selvaggio. Ta-dan. (cap. 2 Xeno-Euforia, pp. 33-34)
  • [...] il dj Nick Bazzano [...] ha un'opinione diversa. [...] «Il rave è uno specchio, una sfera specchiata, che riflette la precarietà dell'esistenza queer. Mostra chi è capace di improvvisare, chi si affida all'improvvisazione come forma immanente di pratica sociale. Ecco, quindi, chi è in lista: le persone che non possono permettersi il biglietto, le persone per cui non è un'esperienza mercificata, le persone grazie a cui il rave esiste. Potremmo chiamarla discriminazione riparativa.» (cap. 2 Xeno-Euforia, p. 34)
  • A un certo punto della nostra lunga chiacchierata ho raccontato a Q che, prima della transizione, ballare era una delle poche cose che faceva sentire a casa questo corpo. Soprattutto quando la musica era techno. La mia teoria è che la techno sia una musica, o meglio una tecnologia sonica, fatta per gli alieni. Essendo per gli alieni, è un suono che non accoglie alcun corpo umano più di altri. Quindi, questo corpo può trovare appartenenza nella techno, ballandola. (cap. 2 Xeno-Euforia, p. 35)
  • Gli strani lampioni nelle strade di Berlino Est. L'asfalto spaccato. Edifici indistinti, mattoni e finestre sbarrate. Spazzatura e graffiti. Un buco di stanza con un bar, qualche sgabello. Giù per le scale ripidissime nel seminterrato. Odore di polvere e ruggine. Griglie di metallo ai muri. Un'altra pasticca gialla piatta. Uomini in camouflage e anfibi, stranamente rilassati. Più tardi avrei capito che era il Tresor. (cap. 2 Xeno-Euforia, p. 39)
  • Lo stato di xeno-euforia: il tempo diventa rigorosamente orizzontale. Niente salite o discese, solo ingrossamenti e assottigliamenti laterali. Il corpo combacia con il tempo, si ritrova abbandonato nel sé, perde la forma del suo essere nel tempo. Bisogna essere pazienti, aperte, presenti. Lasciare che il pensiero si sfaldi e svanisca dall'io. Allora in questo corpo subentra la deliziosa stranezza suscitata dalle droghe che ha assunto, dai beat che sta sopportando. Questo è il bisogno: per un paio di beat, o un migliaio, io non sono. Non sono qui. Non sono da nessuna parte. Dove solitamente ci sono io, con tutte le ansie e i pensieri galoppanti e il senno di poi, c'è solo carne felice, che pompa e ondeggia, agganciata soltanto alla gravità. Un corpo trans che si accasa nel proprio estraniamento, che perde se stesso nei beat alieni, nella xeno-carne. (cap. 2 Xeno-Euforia, p. 43)
  • Il suono acid [acid house/acid techno] è analogico. Strizzi la manopola come strizzeresti un capezzolo. È scopando con le macchine che si producono i suoni. Sfrutti il suono del capitalismo per distruggere l'economia del gusto. È materialismo sonico queer. È una funzione topologica di rottura che ti dispiega fuori da te quando non puoi andare altrove. L'acid è la tecnologia del non-io, una funzione performativa estetica. Influisce sull'esperienza topologica della totalità. Quella che ti permette di vedere che la topologia della totalità e mutevole. (citando il dj Nick Bazzano, in una conversazione personale, cap. 2 Xeno-Euforia, pp. 44-45)
  • A 140 bpm un anno solare è lungo 73.584.000 beat. Ma certi anni, certi rave, hanno una durata strana. «L'anno del lockdown» è stato così. È stato un anno? O due? È ancora lo stesso anno? Nessuno sa niente, tranne che è – o è stato – brutto. (cap. 3 Femmunismo Ketaminico, p. 55)
  • Per gli uomini cis etero è impossibile ballare senza autoconsapevolezza. Non riescono ad abbandonarsi al ritmo. Non riescono a dissociarsi dalla propria mascolinità. Ci sono delle eccezioni, ma quei raver non li considero etero mentre ballano. [...] Scomparire nello spaziorave. Anche gli uomini etero possono arrivarci, ma solo se si lasciano scopare dal suono. (cap. 3 Femmunismo Ketaminico, p. 63)
  • Nei rave di strada è un problema farsi di MD, perché finiscono all'improvviso e tu rischi di trovarti con l'effetto che va avanti per ore. L'equilibrio, già precario, si sbilancia decisamente a favore della ketamina. È molto popolare tra noi raver trans. La disforia spinge molt3 di noi alla dissociazione e la ketamina è una droga dissociativa. L'io e il mondo scompaiono, e con ciò anche la frizione tra l'io e il mondo, che si fondono nello scintillio del mix sonico. (cap. 3 Femmunismo Ketaminico, p. 64)
  • Gli sbirri del cervello hanno un'unica idea di dissociazione, e cioè che staccarsi da questo mondo sia un male. Ma questo mondo è rotto. Persino più della nostra psiche spaventata. Forse a volte la dissociazione può essere anche una «riassociazione». Perché non esiste questa parola? Se non ci sono parole per esprimere dove andiamo forse è segno che siamo soli, ma soli insieme, alla ricerca di modi per sopportare la fine di questo mondo. (cap. 3 Femmunismo Ketaminico, p. 64)
  • Spaziorave: corpo e mente liberi l'uno dall'altra. Xeno-euforia: la mente sommersa dalla carne, chimicamente estraniata nell'alterità. (cap. 3 Femmunismo Ketaminico, pp. 64-65)
  • Reggo poco le droghe ed è per questo che sono ancora viva. Non mi interessa incentivarle; sono una cosa come tante. Ma sono scettica quando vengono usate come metafore, come un vago desiderio romantico preconfezionato per un esterno. Forse possono avere una funzione metonimica [...]. Per fare carne qui, dentro questa città, nel dintorno. In un tempo che sfugge laterale. Chiamiamolo tempo-k. Come il tempo del k-hole. Ripiegato nella durata. Questo altro tempo, il tempo-k, avviene solo nel rave continuum. il tempo-k non è un tempo messianico, ma un tempo imminente. Il tempo-k non è un tempo di durata, un romantico altrove rispetto al tempo macchinico. È piuttosto un tempo macchinico amplificato al momento in cui si scinde dalla durata e accompagna il corpo in un tempo laterale, pivo di memoria o aspettative, privo di storia o desiderio. Un tempo dissociativo, un tempo transessuale, un tempo ketaminico. Un tempo che è impulsato, un tempo di pulsioni, un tempo privo di desiderio che non di meno scopa. Il tempo dove forse, insieme, possiamo avvertire la presenza del femmunismo ketaminico. (cap. 3 Femmunismo Ketaminico, p. 65)
  • C'è qualcosa di eccessivamente rétro nel desiderio di comunismo, come se non fosse già stato ripetutamente sconfitto. È il desiderio di vivere nel futuro in un passato che la storia ha amputato, lasciando una cicatrice. Il capitalismo è mutato, come un virus, in qualcosa di peggio. Il deisderio di comunismo è un desiderio senza presente, una vita sacrificata rispetto a un tempo che non è venuto e che ora non potrà più venire. È un Dio che è morto e io continuo a piangerlo. (cap. 3 Femmunismo Ketaminico, p. 67)
  • Cosa resta da condividere tra umani e macchine, tra umani e umani? Non lo chiamerei più comunismo. Ho perso la fede. La parola femmunismo viene da un meme, il che mi sembra calzante. Il meme mostra quella che deduco sia una donna con una falce e una magic wand Hitachi. La regina dei vibratori. Ti fa venire in un attimo anche quando sembra impossibile. Ti sbatte più forte di un martello pneumatico. La techno degli orgasmi. Il femmunismo è sottrazione. Una condivisione che include la macchian ma non la mascolinità cis etero, che è teniccamente obsoleta. (cap. 3 Femmunismo Ketaminico, p. 68)
  • Siamo quelle che non solo hanno una teoria ma anche un'arte della carne felice. Una modalità per poter costruire situazioni che stilizzino icncontri casuali di carne, tecnologia, suono e chimica. Siamo quelle che hackerano i propri corpi, ognuna a seconda dei propri bisogni, rifiutando l'alibi della natura per mascherare una norma arbitraria. Siamo le femmuniste. [...] Il femmunismo ketaminico include gli uomini – sia trans sia cis – che si lasciano scopare dai beat. (cap. 3 Femmunismo Ketaminico, p. 69)
  • La teoria del momento: voglio che la situazione, l'intera situazione, mi scopi. Voglio essere penetrata dalla luce, dal fumo, dal pavimento, dalle pareti, dai corpi anonimi che ondeggiano. Voglio essere sbattuta dal suono martellante. O almeno, questa è una modalità rave per me. Continuo a trovarne di nuove e a osservare quelle altrui. (cap. 4 Libidinazione, pp. 84-85)
  • Autoginefilia è una parola maledetta. Come se provare attrazione per il proprio corpo fosse una cosa negativa per una donna transessuale. Sentire l'incarnazione femminile come un potente nucleo di libidine espansiva. Per tutte le altre persone va bene sentirsi così, ma nel caso delle donne trans è stato a lungo proibito e desta ancora sospetti. (cap. 4 Libidinazione, p. 86)
  • E poi ci sono l3 clubber, che hanno bisogno della vita notturna per farsi guardare e per guardarsi, anziché per perdere se stess3. Sia l3 clubber sia l3 raver hanno bisogno della vita notturna, ma i loro rispettivi bisogni si scontrano. (Cap. 5 Astrazione risonante, p. 125)
  • Certe tracce sgraziate che il rave riespelle nel mondo dureranno a lungo. Le cicatrici ininterrotte di sporco dell'antropocene. Le lattine d'acqua, cento anni. Una busta di ketamina, mille anni. Una bottiglia di vetro di mate, forse un milione di anni. Discarica intesa come archivio. Dove andrà a finire anche questo libro. (Cap. 5 Astrazione risonante, pp. 128-129)

Bibliografia[modifica]

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