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Menno ter Braak

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Menno ter Braak

Menno ter Braak (1902 – 1940), scrittore olandese.

La democrazia di nessuno

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  • Io so adesso, appunto dopo e a causa della mia esperienza borghese, perché ho cercato con tanta passione «l'honnête homme», l'uomo dell'humour assoluto riguardo alla buffa presunzione degli specialisti: l'ho cercato per poterlo contrapporre al pasciuto borghese. Fu un trionfo momentaneo, non altro, un segno di riconoscimento, codesto «honnête homme», ma non una sosta. (da Vecchi e nuovi uomini, Libro Primo, Dignità umana, p. 20)
  • Il mondo ha potuto produrre un Hitler; e questa sintesi di vacuità e di scienza ultra-volgarizzata, questa paradossale unione di duce e di animale da gregge reclama ad alta voce l'«honnête homme» come antipode! Regna l'isterismo, lo spirito è diventato parola e la parola è diventata strozza: ecco i segni del tempo! Perciò possiamo scegliere come parola d'ordine una sentenza del non pratico Bakunin: «Io resterò l'uomo impossibile fino a quando gli uomini possibili al giorno d'oggi restano quali sono». (da Vecchi e nuovi uomini, Libro Primo, Dignità umana, p. 31)
  • Il modo in cui l'intellettuale s'è disfatto della «massa» mentre allo stesso tempo le vendeva la sua sapienza in forma di dispense popolari, fu certo massimamente paradossale; egli l'ha considerata come un piedestallo che gli dava l'occasione di toccare con la testa nuvole immaginarie. Ma cosa fare quando il piedistallo si fa autonomo, quando questa «massa» comincia a rendersi chiaramente conto dell'ascendenza mediante il numero, quando, per mezzo dei duci usciti dai propri ranghi, essa si sottrae all'ordinamento gerarchico delle cognizioni, promosso dagli intellettuali? Potrebbe essere che allora ben presto non esistessero più degli intellettuali, se non assoggettati a fini tecnici ed economici. (da Il convento degli intellettuali, Libro Primo, Dignità umana, pp. 33-34)
  • Nelle loro menti la massa funge da embrione dell'essere intellettuale adulto, embrione che ha ancora da svilupparsi in una linea predestinata, e ciò sempre a maggior onore della gerarchia tutelata dagli intellettuali. Perciò noi, che ci siamo alienati da quella gerarchia, a mo' di reazione siamo piuttosto disposti a capovolgere i rapporti e a vedere l'intellettuale come l'embrione del perfetto uomo di massa, soltanto impedito da supernutrizione con «cognizioni» e da costipazione per pregiudizi gerarchici a svilupparsi in adulto animale da gregge di specie comune. Anche questo modo di vedere, sarà superfluo dirlo, è un pregiudizio... (da Il convento degli intellettuali, Libro Primo, Dignità umana, pp. 37-38)
  • Dunque l'intellettuale è per noi un paradosso, come è un paradosso per noi il progresso. Noi siamo avversi all'intellettuale, perché col suo ibridismo ha compromesso il mondo dello spirito; e nel contempo abbiamo bisogno di lui perché nella sua cella continua a coltivare una responsabilità che lo distingue da bugiardi tipo Goebbels. Ed ugualmente parteciperemo del progresso, del progresso scientifico, del progresso tecnico, non volendo essere reazionari, sebbene abbiamo rotto coll'ormai antiquato concetto di «progresso». Come tutti gli altri concetti fondamentali del vecchio uomo, anche questi sono divenuti per noi possibili ed impossibili, cioè paradossali. (da Il convento degli intellettuali, Libro Primo, Dignità umana, p. 38)
  • Se si fosse potuto scrivere a qualcuno la propria occhiata come oggigiorno si scrivono le proprie «idee» ed «intenzioni», allora forse (curiosa fantasia) anche dell'ingenuità dello sguardo sarebbe già andato perduto molto di più. In una lettera o in un libro è possibile nascondere con gran successo la propria voce dietro l'artificio che è il linguaggio scritto; ma lo sguardo ha sempre, per modo di dire, la propria «voce», la sua immediata e inoccultabile presenza; e viceversa si può dunque anche dire che la voce è lo sguardo del linguaggio. Se l'idolatria della parola, tipica degli intellettuali, non ci avesse colpiti di cecità, noi potremmo di nuovo mediante lo strumento-lingua guardare francamente negli occhi il poeta ed il filosofo. (da Il convento degli intellettuali, Libro Primo, Dignità umana, pp. 47-48)
  • La lingua del pensatore più anti-democratico immaginabile resta pure lingua, cioè democrazia, in forma molto più organica di quella che la democrazia della vita politica potrà mai assumere; come tale essa è già in possesso della non differenziata folla che l'ascolta, che crede di avere il diritto di ascoltarla e di utilizzarla ai fini da lei raggiungibili. Accanto a Nietzsche cammina dunque costantemente la sua scimmia, la quale si chiama Nietzsche anche lei e traduce immediatamente le sue parole per gli ascoltatori; e Zarathustra fa da mediatore fra questi due. (da Don Chisciotte e della dignità umana, Libro Primo, Dignità umana, p. 54)
  • Elite... anti-élite. Spengler... Mannheim. Non c'è scampo: noi siamo dei difensori estremamente ambigui della dignità umana! Marxisti senza Marx, spengleriani senza Spengler, democratici senza democrazia: e questo noi lo chiamiamo «honnêteté», «carattere», «dignità umana»! Non comincia a somigliare questo all'onore cavalleresco dell'eterno Don Chisciotte? Anche Don Chisciotte è una figura ambigua; l'ambiguità della sua condotta lo distingue dal pazzo comune. È oltremodo significativo che Cervantes abbia situato il cavaliere «fuori del suo tempo», gli abbia dato una sfera di ridicolo e un Sancho come scimmia; ciò toglie subito la voglia agli ideologi di farne il loro modello, come già resero a modello dell'umanità quell'altro Don Chisciotte: Cristo. (da Don Chisciotte e della dignità umana, Libro Primo, Dignità umana, p. 64)
  • A misura che l'«imitazione» nella nostra cultura acquista maggiormente il carattere di uno scimmiottare, la nozione della dignità umana si estranea sempre più dai privilegi a cui si soleva collegarla un tempo: la sapienza, l'arte, la fede. Chi cedesse infatti appena un palmo alla confusione di «cultura» e «cultura generale», non potrà intendere oramai per la parola «cultura» null'altro che una raccolta di snobistici dettagli interessanti, di emozioncine estetiche e di prescrizioni religiose private; e non è forse un'abitudine diffusa di cedere a quella confusione assai più di un palmo? Mi sembra ormai difficile negare che la cultura (o almeno quanto una società come la nostra intende per questo) stia perciò facendosi l'avversaria della dignità umana. (da Don Chisciotte e della dignità umana, Libro Primo, Dignità umana, pp. 67-68)
  • Che uno possa sentirsi democratico, perché vede nel paradosso democratico un minimo che è stato raggiunto dalla disciplina cristiana, e che perciò ha valore malgrado le frasi democratiche e malgrado il suffragio universale, perfino malgrado la pedanteria etica, è cosa assolutamente incomprensibile alla mente di un democratico dottrinario; che una tale persona possa dunque perseguitare la democrazia e la sua uguaglianza «davanti alla legge», nata dal risentimento[1], (per tacere ancora una volta discretamente della fraternità), perseguitarla dico, col suo sarcasmo e contemporaneamente affermarla, sostenerla col suo istinto, significa per il democratico dottrinario doppiezza, ambiguità, scetticismo, tradimento alla sua vera democrazia. Ciò che gli sfugge difatti è che quel qualcuno (quel Nessuno, azzardiamo con Ulisse questo giuoco di parole), con uguale passione, è sarcastico verso la democratica pedanteria dottrinaria ed è conscio di non poter vivere diversamente che con i postulati minimi rappresentati dalla democrazia. Quei postulati minimi sono il suo stratagemma per vivere, il suo retaggio dal Cristianesimo; con questo «minimo» egli deve difendersi contro il barbaro Ciclope che minaccia di divorare lui e i suoi compagni, dopo averli radunati nella sua grotta. (Libro Secondo, ...e uguaglianza cristiana, pp. 206-207)
  • La libertà democratica è la libertà più coerente, perché è null'altro che un paradosso; essa deve vivere dell'equilibrio labile e dell'opportunismo; non esprime null'altro che il venir meno del fattore «al-di-là» nella concezione agostiniana della «libertas», essa è dunque il simbolo più puro di una società disciplinata secondo le norme cristiane, la quale ha perduto la fede cristiana, senza sostituirvi un nuovo fanatismo. (Libro Secondo, ...e uguaglianza cristiana, p. 212)
  • Avanti, senza l'illusione di andare in cielo; avanti, senza l'illusione di trovare un mondo migliore; avanti, senza l'illusione di doverci affidare come fantocci entusiasmati all'idolatria dello stato, predicata da un giornalista-da-rivoltella o da uno sbraitone isterico; ecco quello che io chiamo democrazia, quello che chiamo «amor fati»! (Libro Secondo, ...e uguaglianza cristiana, p. 213)
  • Le convinzioni politiche, per poterle difendere, andrebbero cambiate di tanto in tanto come si cambia un abito, poiché una convinzione politica che si regola sulla durevolezza della marsina corre un gran rischio di essere rósa dalle tarme. (Libro Secondo, ...e uguaglianza cristiana, p. 212)
  • Il non-conformista coerente è il predicatore coerente del cristianesimo antimetafisico in un ambiente di parteggianti, apparentemente tanto coerenti, per un surrogato dell'al-di-là, perché egli ha capito che l'epoca dell'armonia cristiana sta per finire e che principia l'epoca dei paradossi cristiani. [...] Il Cristianesimo si è compiuto, ma ha lasciato ancora un compito agli ultimi cristiani che i primi non si sono cero immaginato: dominare il rancore, pensandolo come rancore e trattandolo come rancore. (Libro Secondo, ...e uguaglianza cristiana, p. 217)

Note

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  1. Il riferimento è alla critica di Nietzsche al principio cristiano di uguaglianza di tutti gli uomini di fronte a Dio: nell'affermazione cristiana di questa uguaglianza, Nietzsche ravvisa l'espressione del risentimento, del rancore dei deboli verso i potenti. In un mondo secolarizzato, ma ancora retto dalla disciplina – anche se non più dalla fede – cristiana, l'uguaglianza di fronte a Dio si muta manifestandosi come uguaglianza di tutti di fronte alla legge.

Bibliografia

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  • Menno Ter Braak, La democrazia di nessuno, ossia del cristianesimo paradossale nell'Europa moderna, traduzione di Corinna van Schendel, Edizioni di Uomo, 1945.

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