Monica Giorgi

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Monica Giorgi, all'anagrafe Monica Cerutti-Giorgi (1946 – vivente), tennista, saggista e insegnante italiana.

Campioni da non dimenticare

Intervista di Gianfilippo Maiga, spaziotennis.com, 21 maggio 2014.

  • Al tennis a Livorno, città in cui sono nata nel 1946, mi ha portato una famiglia benestante (era quasi inevitabile a quei tempi) e due sorelle gemelle maggiori (di 6 anni più vecchie), le tenniste che mi hanno erudito. Sono stata soprattutto una doppista. Giocavo bene anche in singolo, ma sono piccola e leggera e volare in campo, come a volte facevo letteralmente, non bastava neanche allora, pur in un tennis più tecnico e meno fisico di quello di oggi. 
  • Smashavo spesso e volentieri; non avevo la potenza di un uomo, ma tecnicamente non avevo niente da invidiare ai maschi. In doppio ho vinto una decina di titoli italiani tra doppio femminile e doppio misto, ma anche in singolare mi sono cavata qualche soddisfazione, e non solo a livello nazionale. Ho giocato quasi tutti i Tornei del Grande Slam, senza passare dalle qualificazioni, ad eccezione dell'Australian Open. Al Roland Garros sono arrivata al terzo turno (gli ottavi) nel 1969. Ho poi raggiunto la finale di doppio a Montecarlo con Graziella Perna e a Roma con Maria Nasuelli.
  • Nel tennis c'erano però due anime: quella sportiva, con una forte competizione e, perchè no, rivalità, sul campo, che era quella nella quale mi riconoscevo, cui sentivo di appartenere e quella mondana, un po' portata dall'estrazione sociale abbastanza alta da cui proveniva una buona parte dei giocatori, che ritenevo invece fatua e da cui rifuggivo. Ritenevo la prima quella più autentica, anche se a volte ruvida e senza l'asettico fair play che oggi caratterizza gli incontri professionistici. La seconda invece mi vedeva regolarmente assente: non ho mai partecipato alla festa dei giocatori, di Wimbledon, per esempio. Questo lato più frivolo obbligava spesso gli atleti a mostrare un volto che non era necessariamente il loro: se Nicola Pietrangeli era perfettamente a suo agio in quell'ambiente, era come si mostrava, charmeur calato nella sua parte, Lea Pericoli sapeva nascondere dietro alcuni atteggiamenti glamour un senso dell'ironia, anzi direi soprattutto una grande autoironia, che me la faceva sentire particolarmente amica. 
  • Nel 1978, in pieno periodo di "pentitismo", era stato messo in atto un tentativo di sequestro di un amico, mio e di famiglia, Tito Neri. In apparenza responsabili del crimine erano dei sedicenti anarchici. Un "pentito" (un delinquente comune) mi aveva indicato come basista del sequestro e, sebbene io non conoscessi gli autori materiali, in 1° grado ero stata condannata a 10 anni. In un secondo grado di giudizio, dopo due anni, venni completamente prosciolta e scarcerata, anche perchè il pentito non si era rivelato credibile. Questo dà però l'idea del clima che si respirava a quesl tempo.

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