Muṇḍaka Upaniṣad
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Muṇḍaka Upaniṣad.
- Brahmā fu il primo degli dei. Creatore dell'universo, protettore del mondo, egli espose la scienza del Brahman, fondamento d'ogni altra scienza, al figlio maggiore Atharvan. (I, 1, 1)[1]
Citazioni
[modifica]- Questa è la verità: quei riti che i saggi scorsero nei mantra, sono stati compiuti nella Triade[2] in molteplici modi. Con il desiderio di verità celebrateli incessantemente.
Questa è la via che conduce a quel mondo [desiderato] con il giusto operare. (I, 2, 1; 2010)
- «Ecco la verità: quelle opere che i vati videro nei sacri inni sono state multiformemente distese fra i tre fuochi. Voi che il vero bramate, ascoltatetele costantemente: questa è la via che mena al mondo dell'opera ben compiuta [suḳtra=sacrificio perfetto].» (II, 1, 1; 2007)
- Trovandosi immersi nell'ignoranza, sicuri di sé; ritenendosi saggi, gli sciocchi si aggirano urtandosi a vicenda, come ciechi guidati da un cieco. (I, 2, 8)[3]
- Rivelato e tuttavia nascosto nella grotta | è ciò che è chiamato la grande Dimora. | Tutto ciò che si muove, respira e batte le ciglia | qui è fissato. Conosci questo come essere | e anche come nonessere, il desiderio di tutti i cuori, | che trascende la conoscenza, il più amato da ogni creatura. (II, 2, 1; 2001)
- Colui, il cui capo è il fuoco, i cui occhi sono la luna e il sole, le cui orecchie sono le direzioni spaziali, la cui parola è costituita dai Veda rivelati, la cui energia vitale è l'aria, il cui cuore è l'universo e dai cui piedi è [nata] la terra, invero questo è l'intimo ātman di tutti gli esseri. (II, 1, 4; 2010)
- Il fuoco è il suo corpo, il sole e la luna sono i suoi occhi, le direzioni della spazio sono le sue orecchie, il vento che pervade il mondo è il respiro che solleva il suo petto. I suoi piedi sono la terra. Egli è il Sé interiore[4] di tutti gli esseri viventi. (II, 2, 4)[5]
- Oṁ è l'arco, l'ātman è la freccia; | il Brahman, dicono, è il bersaglio, da colpire | con la concentrazione; così di diviene | uniti con Brahman come una freccia col bersaglio. (II, 2, 4; 2001)
- Il praṇava è l'arco, invero l'ātmā è la freccia, il Brahman viene detto essere il suo bersaglio. Deve essere trafitto da colui che non è distratto, [il quale] deve diventare consuntanziato di Quello come la freccia [divine uno col bersaglio]. (II, 2, 4; 2010)
- Quando il nodo del cuore è sciolto, allora | tutti i dubbi sono scacciati e tutte le opere abolite | di colui che ha visto il supremo e l'infinito. (II, 2, 9; 2001)[6]
- Due begli uccelli, l'un l'altro compagno, abitano assieme sul medesimo albero. L'uno si ciba del dolce frutto del pippala, l'altro, senza mangiare, con lo sguardo tutto abbraccia.[7][8] (III, 1, 1; 2007)
- I saggi che, privi di desideri, venerano lo Spirito Universale, non devono più passare per il seme umano. (III, 2, 1)[9]
- Quegli conosce il Brahman, la suprema dimora, laddove giace la totalità [dell'intero universo] e il quale risplende perfettamente limpido. Venerano il Puruṣa quei saggi risoluti che, invero, privi di desideri, trascendono il seme [della rinascita]. (III, 2, 1; 2010)
- Colui che conosce il Brahman supremo diviene egli stesso Brahman. | Tra la sua gente non nascerà nessuno che non conosca Brahman. | Egli supera il dolore e il peccato; liberato | dai nodi segreti, interiori, egli diviene immortale. (III, 2, 9; 2001)
Note
[modifica]- ↑ Da Muṇḍaka Upaniṣad.
- ↑ Sono i tre fuochi sacrificali, disposti a oriente, occidente e meridione.
- ↑ Citato in Alain Daniélou, Śiva e Dioniso, traduzione di Augusto Menzio, Ubaldini Editore, 1980.
- ↑ puruṣātsamprasūtāḥ, ma anche Raphael traduce con ātman.
- ↑ Citato in Alain Daniélou, Miti e dèi dell'India, traduzione di Verena Hefti, BUR, 2008.
- ↑ Numerato come (II, 2, 8) in Raphael, Op. cit., p. 889 (qui, il secondo kaṇda riporta 11 śloka anziché 12).
- ↑ Il passo allude all'esperienza dell'ātman immoto che contempla, distaccato, se stesso che, come Spirito individuato, fruisce dell'esperienza del mondo (nota di Filippani-Ronconi, 2007, p. 462).
- ↑ Strofa presente anche in Śvetāśvatara Upaniṣad, IV, 6.
- ↑ Citato in Alain Daniélou, Śiva e Dioniso, traduzione di Augusto Menzio, Ubaldini Editore, 1980.
Bibliografia
[modifica]- Raimon Panikkar, I Veda. Mantramañjarī, a cura di Milena Carrara Pavan, traduzioni di Alessandra Consolaro, Jolanda Guardi, Milena Carrara Pavan, BUR, Milano, 2001.
- Upaniṣad, a cura e traduzione di Raphael, Bompiani, 2010.
- Upaniṣad antiche e medie, a cura e traduzione di Pio Filippani-Ronconi, riveduta a cura di Antonella Serena Comba, Universale Bollati Boringhieri, Torino, 2007.
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