Nicola Zingarelli
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Nicola Zingarelli (1860 – 1935), filologo e linguista italiano.
Citazioni di Nicola Zingarelli
[modifica]- Caro professore [Pasquale Leonetti]. Le sono molto grato del suo Alfieri. Mi congratulo con lei, che ha dottrina a fine criterio. Ho veduto quasi tutto l'«Agamemmone». La prefazione introduttiva è un modello di sobrietà e compiutezza...[1]
- [Su Dialogo della Natura e di un Islandese] E in questo dialogo noi abbiamo l'invettiva più potente e più eloquente che mai le [alla Natura] sia stata lanciata contro. La minutezza dei particolari, la calma dell'enumerazione e delle chiose, l'incalzare sempre più forte, come una vera tempesta, la rappresentazione delle forze ostili della natura come animate e intente all'assalto, dall'uragano spaventoso, dai grandi fiumi, ai rettili e agl'insetti volanti, accendono di sdegno: e fra tanti assalti e tanta furia, il povero islandese che fugge, si schermisce, cede, si nasconde, e va, va, va per ghiacci e per ardori, per foreste e per mari; e il gran busto della Natura, nel gran deserto, placida, appoggiata il dosso e il gomito a una montagna, di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi; sono di un effetto così grandioso, epico e drammatico, da ricordare Omero e Sofocle, Pallade Atena e Edipo. Il terribile gigante Adamastoro che ha il capo tra i nembi, la bocca cavernosa, e vieta a Vasco de Gama il passaggio, è meno formidabile di questa Natura che il Leopardi ha scolpita con mezzi tanto semplici.[2]
- [Su La scommessa di Prometeo] I personaggi vivi e veri, alcuni in luce piena, altri presentati di scorcio, come i selvaggi e i magistrati inglesi; le descrizioni varie ed efficaci; le scene animate e nuove; le divinità ritratte con tal colorito eroicomico da vincere quanto di più bello sia stato scritto in tal genere. E con tutta la digressione incalzante di Momo, che finalmente parla sul serio e a lungo, questa scommessa non perde nulla del vivace e del drammatico che possiede. Prometeo è il generoso sconfitto dal disinganno; Momo è lo scettico che trionfa; e con lui trionfa il Leopardi, ma noi sentiamo che in lui c'era pur stata la fede di Prometeo.[3]
- [Su Il Parini] Insomma è il Leopardi che parla con sé stesso; però non vi è opposizione, ma pieno accordo, e colui che parla sviluppa ordinatamente il concetto dell'autore. Non vi è neanche movimento, come pur si trova negli altri dialoghi, ma è tutta una prosa didascalica, piena di distinzioni, talvolta monotona, sempre fredda. Ma la precisione, l'eleganza, la nobiltà della frase e del periodo, la connessione salda e rigorosa, l'organismo dei concetti e l'esplicazione disciplinata delle loro note, raggiungono il fastigio della perfezione. E in questa freddezza e minutezza, in questo studio calmo e apparente, che dopo una lunga esercitazione finisce sempre con una proposizione desolante, si sente uno spirito che vive e si agita, si vede uno che si stringe e si comprime il cuore, ma questo batte fortemente, che ha gli occhi asciutti, ma mostran le tracce delle lagrime già sparse: all'ultimo questa calma è veramente straziante, quando si paragonano le elette doti dell'ingegno e del cuore alle infermità dello storpio e del mutilato, e si annunzia la rassegnazione forzata al fato: è un ribelle che sotto il giogo non potendo meditar la vendetta, sta, e considera punto per punto tutta la sua miseria.[4]
- [Su Dialogo di un fisico e di un metafisico] Interesse drammatico non desta veramente questo dialogo. Son due scienziati che parlano, anzi disserta sempre un filosofo. Ma noi abbiamo veramente un modello di prosa filosofica elegante, ricca e precisa insieme, che costituisce il miglior pregio del componimento.[5]
- [Su Il Copernico] La rappresentazione dell'immensità dell'universo coi suoi mondi immensi, cosa difficilissima perché tanto maggiore del piccolo orizzonte che siamo avvezzi a guardare, è di una potenza, sto per dire, dantesca; essa procede a grado a grado allargandosi sempre più, nella stessa ragione che la terra si impicciolisce, si contrae, si nasconde, e l'uomo diventa impercettibile agli stessi occhi nostri.[6]
- Le maggiori difficoltà a render bella e interessante la materia filosofica, l'autore deve averle trovate nell'Ottonieri; e le ha superate mirabilmente: il filosofo è messo continuamente in relazione con gli uomini; cava dalla vita pratica, da fatti, e osservazioni altrui l'opportunità dei suoi ragionamenti, usa una forma leggiadra ed ironica; per cui non ti riesce mai pesante; alterna il lungo ragionamento coi motti e con le brevi sentenze: senza dire che comincia con una stupenda rappresentazione del Socrate antico, nella quale vediamo come nascere e formarsi per forza degli avvenimenti dall'uomo il filosofo.[7]
- [Su Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare] Nel rispetto artistico, il dialogo è dei più felici che il Leopardi abbia scritti; il Tasso vi appare in una specie di follia ragionante; ma quella follia è il suo dolore. Quell'interlocutore ha una esistenza così tenue, che pare proprio uno spirito che ragioni nel suo spirito, un'idea che incalza, che agita il suo cervello e lo trasporta di cosa in cosa, e quando gli ha mostrata la nullità del tutto, lo lascia con un tal quale conforto di averla saputa trovare.[8]
- [Su Storia del genere umano] Questa pare una favola ed è una storia; si appoggia con ironico sussieguo a testimonianze favolose, e mescola la storia e la favola con gran disinvoltura: svago che può permettersi una mente salda e convinta nei suoi concetti eterni ed immutabili. C'è l'aridezza del racconto, e c'è la potente immagine poetica. Gli uomini ti destano a principio un sorriso compiacente quando li vedi bambini e si nutrono di miele, ma ben presto ti turbano collo spettacolo della loro irrequietezza e delle vane agitazioni, finché rimani all'ultimo vinto e accasciato solo l'Amore ti lascia un senso indefinito di desiderio e di tristezza. Giove è addirittura grottesco. Egli è potente e grandioso, eppur si affanna e suda e si adira, ma non può contentare questo popolo di bambini. Al disopra degli uomini e di Giove vi è un arcano, il fato.[9]
- [Su Dialogo di Plotino e di Porfirio] [...] questo dialogo, frutto degli anni più maturi del Leopardi, è di principalissima importanza; perché l'uomo vi appare candidamente, come il Rousseau nelle Confessioni. I pregi dello stile sono grandissimi in questa prosa calma e soave, improntata a tenerezza e mestizia, dotta, nobile, la quale cela nella sua semplicità un lungo e fierissimo dramma.[10]
- [Su Cantico del gallo silvestre] Qui non vi è più satira o scherno, non più dissimulazione; il proprio dolore erompe e risuona altamente in una splendida imprecazione alla vita, alla veglia, al sole, all'universo. È una lirica nuova, senza legami di accenti e di metri: ma si sentono gli uni e gli altri, come un'espressione spontanea del cuore, non ricercati, non fatti apposta, ma così, come compagni indivisibili di ogni voce del cuore e della immaginazione. Qui si sente il contrasto atroce tra il sentimento della vita e della bellezza, l'ardore del desiderio, e la coscienza della propria infelicità: è una grande e nobile coscienza, che si sente tutto un mondo, e a questo attribuisce il dolore suo proprio.[11]
Note
[modifica]- ↑ Citato in Antologia Alfieriana da Pasquale Leonetti, postfazione a Vittorio Alfieri, Saul, Società Editrice Dante Alighieri, 1934.
- ↑ Dall'introduzione a Dialogo della Natura e d'un Islandese, in Giacomo Leopardi, Operette morali, p. 139.
- ↑ Dall'introduzione a La scommessa di Prometeo, in Giacomo Leopardi, Operette morali, pp. 95-96.
- ↑ Dall'introduzione a Il Parini ovvero della Gloria, in Giacomo Leopardi, Operette morali, p. 155.
- ↑ Dall'introduzione a Dialogo di un fisico e di un metafisico, in Giacomo Leopardi, Operette morali, p. 114.
- ↑ Dall'introduzione a Il Copernico, in Giacomo Leopardi, Operette morali, p. 328.
- ↑ Dall'introduzione a Giacomo Leopardi, Operette morali, p. xxxvii.
- ↑ Dall'introduzione a Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare, in Giacomo Leopardi, Operette morali, p. 127.
- ↑ Dall'introduzione a Storia del genere umano, in Giacomo Leopardi, Operette morali, p. 5.
- ↑ Dall'introduzione a Dialogo di Plotino e di Porfirio, in Giacomo Leopardi, Operette morali, p. 356.
- ↑ Dall'introduzione a Cantico del gallo silvestre, in Giacomo Leopardi, Operette morali, p. 286.
Bibliografia
[modifica]- Giacomo Leopardi, Operette morali, ricorrette sulle edizioni originali con introduzione e note ad uso delle scuole da Nicola Zingarelli, Napoli, Luigi Pierro editore, 1895.
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