Patrizio Peci

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Patrizio Peci (1953 – vivente), ex terrorista italiano.

Citazioni di Patrizio Peci[modifica]

  • Per quel che avevo fatto c'era la galera a vita, o almeno trent'anni. Sarei uscito, ammesso che fossi uscito, a 57 anni, vecchio. La vita perduta. (da Io l'infame)
  • Si sono presi mio fratello Roberto con l'inganno, una mattina. Lo hanno preso e sequestrato, per disperata e insensata logica di vendetta. Lo hanno rapito con un miserabile trucco, con l'obiettivo di allestire un processo farsa contro di lui e di ucciderlo. Ma in realtà lo hanno fatto solo per una feroce rappresaglia contro di me. (da Io l'infame)

La notte della Repubblica

Intervista televisiva di Sergio Zavoli, Rai 2, 4 aprile 1990

  • Innanzitutto [mi considero] una persona che ha sbagliato, che poi si è accorta di aver sbagliato e ha fatto di tutto per, diciamo, per recuperare, quantomeno per... sì per recuperare quello che era possibile recuperare. Per esempio appena mi hanno arrestato, io ho pensato che la cosa più sensata che potessi fare in quel momento era quella di evitare altri morti, per esempio, e quindi ho dovuto in quel caso fare arrestare dei miei compagni. Questa scelta m'è costata cara. Voglio dire, il fatto di far arrestare delle persone con cui avevo vissuto, con cui avevo condiviso delle scelte, non è stata una scelta fatta così... diciamo... velocemente, senza pensarci. Ho passato più di una settimana a riflettere su 'ste cose qua. Poi tengo a precisare che questa scelta, a differenza di quello che può sembrare, è stata una scelta che andava per gradi. Voglio dire, prima di essere arrestato, ero ancora nelle BR, cominciavo ad avere dei dubbi.
  • [Alla domanda "Come maturò il progetto di raccontare quello che sapeva delle BR?"] I dubbi che normalmente si avevano. Cioè ogni militante nelle Brigate Rosse secondo me aveva, e anche quelli attuali hanno, dei dubbi e questi dubbi normalmente si superano col dibattito, certe volte reprimendoli. In quel periodo, diciamo due o tre mesi prima di essere arrestato, questi dubbi erano più marcati, probabilmente per le mazzate che avevamo preso in termini di repressione, nel senso che avevano arrestato quasi tutti, avevano fatto degli arresti, a Torino, abbastanza grossi, e anche in altre parti. Poi c'era un minimo di crisi all'interno dell'organizzazione e questa sfiducia, questi dubbi, incominciavano a venir fuori.
  • ["Si potevano avere dubbi di questa natura e allo stesso tempo continuare ad agire"] Sì, perché era un dibattito continuo, era una vita frenetica. Io in pratica non possedevo niente, tutto quello che avevo era l'organizzazione: sia dal punto di vista degli affetti, sia dal punto di vista della casa in cui abitavo. In sostanza ero lì e ormai era diventato più che un mestiere, ero dell'organizzazione mano e corpo. Quindi anche il fatto di dovermi rifare una vita non era così semplice, anche le difficoltà ad andar via. Non il fatto che loro mi dicevano: "Guarda che se vai via ti ammazzo", questo non esiste, pian piano ti avrebbero dato il permesso di andar via. Però ero talmente legato a quel meccanismo, anche dal punto di vista logistico. Ogni cosa che avevo fatto l'avevo fatta più o meno bene grazie alla struttura dell'organizzazione, all'esperienza dell'organizzazione; quindi qualsiasi cosa diventava quasi insormontabile: una carta d'identità, dei soldi, cercarsi un lavoro. A 27 anni non era così facile procurarsi queste cose qui.
  • [Alla domanda "Perdura come un alone di mistero intorno al suo arresto avvenuto il 19 marzo 1980. Si è anche detto anche che lei è stato preso due volte, nel senso che dopo il primo arresto le avrebbero chiesto di restare come infiltrato nelle BR. Come andarono veramente le cose?"] Bisogna che uno si metta un po' nei panni, in questo caso non miei, dei carabinieri. Voglio dire: un carabiniere arresta Patrizio Peci, che è incriminato, che è ricercato per il sequestro di Aldo Moro. Lo arresta, e gli dice: "Che ne dici, tu ti penti? Vuoi fare l'infiltrato all'interno delle Brigate Rosse?" Io gli rispondo "Sì" e me ne vado. Cioè, con questa frase penso di aver detto un po' tutto.
  • [Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa] Cominciò col cercare di farmi capire che aveva molto in mano dell'organizzazione, che l'arresto mio non era casuale e che molti altri spezzoni dell'organizzazione erano in mano ai carabinieri; cosa non vera, naturalmente. Cercava di farmi rendere conto che l'organizzazione era debole nonostante tutto, molto debole. E poi mi faceva il discorso della gente, anche su quello batteva molto: che la gente non era d'accordo con noi, il perché non era d'accordo con noi. E tutta una serie di cose abbastanza normali che però in quel momento mi aiutarono molto a convincermi.
  • Appena entrai [nel suo ufficio] mi offrì qualcosa da bere. Disse: "Cosa vuoi da bere?" Io bevvi acqua minerale, e anche lui. Questa era la prima cosa: abbiamo bevuto una bottiglia d'acqua minerale. La prima cosa immediata. Si cercava un po' di rompere il ghiaccio perché era una cosa un po' fuori dal normale.
  • [Alla domanda "Quale fu l'argomento più forte del generale?"] Mah, secondo me l'argomento più forte era il fatto che lui non mi dava l'idea che volesse imbrogliarmi, tutto qui. Cioè, non mi proponeva di farmi uscire, non mi proponeva evasioni, non mi proponeva soldi. Cercava di capire un po' la questione, cercava di spiegarmi più che altro che stavamo sbagliando, che stavo sbagliando, che avevo fatto degli errori. Quindi non mi proponeva la libertà, non mi proponeva i soliti mezzucci da... diciamo... da quattro soldi.
  • [Alla domanda "Quando parlaste di immunità?"] Mai. Ma poi non era tanto quello il problema. Poi il generale cosa mi promise dietro queste storie? Il generale mi promise prima di tutto l'incolumità all'interno del carcere, il fatto che in carcere non avrei subito rappresaglie, e che una volta fuori m'avrebbero in qualche modo dato una mano.
  • [Alla domanda "Allora qualche promessa ci fu?"] Questo: che mi avrebbe prima di tutto garantito la salvezza all'interno del carcere. [...] E una volta fuori m'avrebbe dato una mano a trovare lavoro.
  • [Alla domanda "Lei definì il generale come il capo dell'esercito nemico. C'è un po' d'enfasi, ma si può capire. Lei, d'altronde, non era gerarchicamente da meno nel suo fronte. Sentì mai di parlargli, per così dire, alla pari nonostante la sua condizione, quantomeno, di prigioniero?"] No, io non ho mai parlato alla pari. Io ho cercato di instaurare un rapporto, cercando di capire se era una persona corretta e aveva la forza di portare avanti un minimo di progetto, che era poi quello della legge sui pentiti. Infatti dopo un po' mi disse: "Guardi, io ci credo. Ci credo alla legge sui pentiti, e mi farò carico rispetto ai politici di portarla avanti". Questa è un po' un'altra promessa, diciamo, che mi ha fatto.

Citazioni su Patrizio Peci[modifica]

  • È un uomo di poca fede, non un rivoluzionario. Ha parlato, vuol dire che non ha ideali. (Sandro Pertini)

Bibliografia[modifica]

  • Patrizio Peci, Io, l'infame, Mondadori, Milano, 1983.

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