Paul Preston

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Paul Preston (2004)

Sir Paul Preston (1946 – vivente), storico e ispanista inglese.

La guerra civile spagnola[modifica]

Citazioni[modifica]

  • Di fronte a Dresda e Hiroshima il bombardamento di Guernica si riduce, come ha detto Raymond Carr[1], a «un piccolo atto vandalico». Eppure quell'atto ha suscitato polemiche più roventi di qualsiasi altro episodio della seconda guerra mondiale – e non perché, come vorrebbero alcuni, Picasso lo ha riproposto in un suo quadro – ma perché Guernica fu il primo esempio di un obiettivo civile indifeso raso al suolo dall'aviazione. (Introduzione, p. 9)
  • La dittatura di Primo de Rivera, in seguito considerata l'età d'oro della borghesia spagnola e divenuta uno dei miti fondanti della destra reazionaria, ebbe invece nell'immediato l'effetto paradossale di screditare in Spagna l'idea stessa dell'autoritarismo. Fu un fenomeno passeggero, dovuto in parte all'incapacità di Primo de Rivera di sfruttare l'andamento economico positivo per costruire un sistema politico che sostituisse in modo permanente la monarchia costituzionale ormai decrepita, ma soprattutto dovuto al fatto che egli si alienò la simpatia dei potenti interessi che l'avevano in origine sostenuto. (cap. I, pp. 25-26)
  • Primo de Rivera, che era un personaggio stravagante ed estroverso, affrontò la politica con un piglio alla Falstaff, affidandosi all'improvvisazione personale e attirando così su di sé tutti i fallimenti del regime. (cap. I, p. 26)
  • L'approvazione della Costituzione [del 1931] rappresentò un cambiamento di grande portata nella natura della Repubblica [spagnola]. La coalizione di governo, avendo permesso che si stabilisse un'identità fra la Repubblica e il giacobinismo della maggioranza delle Cortes, si era inimicata ampi settori della borghesia cattolica. La destra, convinta che la Costituzione fosse ispirata a feroce anticlericalismo, fu spinta a organizzare le proprie forze nel momento in cui il patto che la sinistra aveva stretto cominciava a scricchiolare. (cap. II, p. 41)
  • Con grande umiliazione di Mussolini le truppe italiane furono messe in fuga dopo cinque giorni di combattimenti. All'ambasciatore tedesco a Roma, Ulrich von Hassel, il duce disse che a nessun italiano sarebbe stato permesso di tornare vivo in patria se non fosse stata cancellata la vergogna di Guadalajara. (cap. VI, p. 151)
  • La sconfitta di Guadalajara – la prima per il fascismo – aveva molte cause: l'inclemenza del tempo, il morale basso e l'equipaggiamento inadeguato degli italiani, il testardo coraggio dei repubblicani. Ma se Franco avesse attaccato come aveva promesso, l'esito avrebbe potuto essere diverso. Il disimpegno delle truppe del generalissimo e l'evidente volontà di lasciare che italiani e repubblicani si massacrassero reciprocamente, inducono alla conclusione quasi inevitabile che il Caudillo usò Roatta[2] come carne da cannone in un suo più ampio piano strategico che prevedeva la sconfitta della Repubblica attraverso una guerra di logoramento lenta e graduale. Franco lasciò tutto il peso della battaglia sulle spalle degli italiani, dedicandosi nel frattempo a ricomporre le sue unità. (cap. VI, pp. 151-152)
  • Dal punto di vista militare Guadalajara fu soltanto una piccola vittoria difensiva, ma dal punto di vista morale fu per i repubblicani un enorme trionfo. Si impadronirono di armi per loro preziose e anche di documenti che dimostravano come gli italiani non fossero dei volontari, bensì soldati regolari. (cap. VI, p. 152)
  • Franco era freddo, spietato e reticente. La sua cautela di galiziano taciturno gli serviva per mascherare l'assenza di obiettivi politici precisi, come si vide nella conduzione della guerra. Franco era lento nel prendere decisioni e sono state messe in dubbio anche le sue abilità militari. La sua leadership fu sicuramente ostinata, mediocre, una vera sciagura per gli alleati tedeschi. Per tutta la guerra civile Franco sacrificò uomini e tempo in inutili campagne per conquiste insignificanti. (cap. VII, p. 156)
  • [...] capo di stato maggiore [della legione Condor, durante la guerra civile spagnola] – in seguito comandante – era il tenente colonnello Wolfram von Richthofen, cugino del Barone rosso. Futuro architetto dell'invasione nazista della Polonia, von Richthofen metteva a punto con la legione Condor le tecniche di attacchi coordinati terra aria e i bombardamenti in picchiata e a tappeto, che sarebbero poi stati utilizzati nel Blitzkrieg, pochi anni dopo. (cap. IX, pp. 203-204)
  • Dal 1939 fino alla sua morte Franco governò la Spagna come fosse un paese straniero sotto occupazione, il suo esercito aveva un addestramento, una forma di spiegamento e una struttura che lo rendevano più adatto ad agire contro la popolazione nativa che contro un nemico esterno [...]. (Epilogo, p. 230)
  • Franco approfittava di ogni occasione per vantarsi di aver cancellato il retaggio dell'illuminismo e della rivoluzione francese, e tutti gli altri simboli della modernità. (Epilogo, p. 231)

Explicit[modifica]

Nel 1977, a soli due anni dalla morte del Caudillo, alcuni degli incubi che più l'avevano tormentato si erano già trasformati in realtà. Re Juan Carlos, sorretto dal consenso delle destre e delle sinistre, aveva istituito uno stato democratico per tutti gli spagnoli. La divisioni fra vincitori e vinti che il franchismo aveva coltivato con tanta cura non avevano più senso. Cinque anni dopo i socialisti salivano al potere a Madrid.

Note[modifica]

  1. Sir Albert Raymond Maillard Carr (1919 – 2015), storico inglese.
  2. Il generale Mario Roatta era il comandante delle truppe italiane in Spagna.

Bibliografia[modifica]

  • Paul Preston, La guerra civile spagnola (A Concise History of the Spanish Civil War), traduzione di Carla Lazzari, Il Giornale Biblioteca storica, Milano, 1999.

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