Pier Desiderio Pasolini
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Pier Desiderio Pasolini (1844 – 1920), politico, storico e scrittore italiano.
Caterina Sforza
[modifica]Volume I
[modifica]- Vedemmo Giacomo Attendolo, che poi fu detto Sforza, nato in Cotignola, ed educato dalla fiera madre, difendere con le armi insieme a venti fratelli il primato della famiglia.
Una sera dell'anno 1382 egli se ne stava zappando tranquillamente il campo paterno, quando udì il suono di un piffero e di un tamburino. Erano alcuni soldati della compagnia di Boldrino da Panicale che, mandati in quei contorni a far nuovi volontari, cercavano di chiamar gente. Dietro a loro vide alcuni suoi compagni già arrolati, «O Muzzo, gli gridano questi, fatti soldato e vieni con noi a cercar fortuna! Animo! via la zappa!» E Muzzo scaglia la zappa sopra una quercia, deciso, se la zappa ricadeva, di riprenderla per sempre; se rimaneva in alto, di farsi soldato. La zappa rimase, e Muzio, venuta la notte, sottrasse un cavallo al padre, fuggì da Cotignola, e raggiunse l'accampamento. (Vol. I, Libro I, p. 6)
- Dopo due anni, Muzio torna a rivedere i parenti. «Li ho lasciati senza addio (diceva), che io almeno li consoli ritornando sano e salvo!» Ma tornato, non pensa, non sogna che armi ed armati. «Sii dunque uomo d'arme! Ritorna al campo e fa fortuna!» gli dice il padre, ed impegnata una possessione, gli compra quattro cavalli e le armi. Muzio ritorna alla milizia trascinando seco una masnada di parenti. Vuol vincere, vuol arricchire, vuol dominare; è tanto violento che tutti lo chiamano per soprannome lo Sforza. (Vol. I, Libro I, p. 7)
- Questo [Muzio] Sforza cercò le ricchezze per dominare, ma sempre preoccupato dal timore di esserne dominato, torceva gli occhi dalla monete, dubitando che la vista dei mucchi d'oro non lo seducesse. Pareggiava le spese con le entrate delle castella e degli stipendi; non scriveva cifre, ma non sbagliava mai il conto delle paghe. Non ingannava mai i creditori, dicendo che la forza del credito consisteva molto più nella riputazione di lealtà, che nei danari contanti. Al bisogno nessuno mai fu più ricco di lui «per il singolare amore che gli portauano tutti i banchieri.» (Vol. I, Libro I, p. 10)
- Non esitava [Muzio] a mettere mano nel sangue anche a tradimento. Coi soldati disciplina ferrea. Chi rubava i foraggi era trascinato a coda di cavallo: i traditori erano impiccati ad un albero lungo una strada, e lasciati in pasto agli uccelli. Per una macchia, o solo per un poco di ruggine sulle armi, battiture. A chi non aveva un bel pennacchio sull'elmetto, faceva fischiar dietro. Splendide, sontuose le rassegne militari. Cavalli con barde dorate o dipinte alla persiana, saj ricamati d'oro o d'argento. Negli accampamenti non vuole gioco né bestemmiatori. Nei giorni di ozio si esercita coi soldati nella ginnastica, e mostra che anche nella agilità e nella forza muscolare è insuperabile. Nei tempi piovosi, di notte, nel suo campo si leggono le favole del baroni e dei paladini di Francia. Sono scritte in versi volgari perché né capitano, né soldati sanno di latino; ma con quegli antichi ideali del guerriero cristiano, lo Sforza vuole accendere la fantasia dei suoi, e persuaderli che con la spada si fanno miracoli. (Vol. I, Libro I, p. 10)
- Con Galeazzo [Maria Sforza] la stirpe sforzesca incomincia a decadere, i cruenti contrasti della Romagna avevano accumulato vigore nell'animo di Muzio; le guerre, la sete di regno avevano data a Francesco la costanza, la tempra che viene da un alto ideale, Galeazzo riteneva sì le energie paterne, ma in lui riuscivano disarmoniche. Allevato fra gli agi, nessuno scopo supremo lo costringeva a raccoglierle, a coordinarle per vincere uomini e cose; così alcune qualità prevalsero in modo eccessivo, deforme. L'ardore del sangue lo faceva irrequieto, e non avendo obbiettivo, si riversò su capricci, degenerò in cieca violenza, e lo ridusse allo stato di un pazzo. È una figura storica che naufraga come nave senza timone e senza zavorra. (Vol. I, Libro I, p. 28)
- [Galeazzo Maria Sforza] Non si era misurato mai con un nemico, non aveva conosciuto mai uguali né rivali: ignorando la difficoltà delle cose, era temerario, bestiale, feroce. Due debolezze temperavano questa natura violenta, l'incostanza e la vanagloria, quasi porte aperte per le quali gli astuti si introducevano nel suo animo per mutarlo a loro senno. (Vol. I, Libro I, p. 28)
- Salito al trono a ventidue anni, Galeazzo anzitutto volle essere popolare, e le sue prime cure furono per il buon mercato dei viveri. Sapendo poi che il popolo, dopo l'abbondanza, cercava le pubbliche pompe, volle una corte tanto splendida da farne superbi i Milanesi. Correvano già i più begli anni del Rinascimento, ed oltre la plebe, i dotti, gli artisti erano fabbricatori e distributori di fama. Per amicarseli, Galeazzo li onorava tutti: migliorava gli studj, sì che a Pavia procurò dottori più celebri e scolaresca più numerosa di prima. In Milano formava una biblioteca, favoriva l'arte tipografica allora nascente, sì che ivi prima che in ogni altra città d'Italia si poterono stampare libri greci.
Non contento di esser celebrato qual protettore dei dotti, si adoperava per comparire egli stesso tra i letterati e gli scrittori. (Vol. I, Libro I, p. 28)
- Il [Girolamo] Riario, giovinastro arrogante, ed avvezzatosi da poco tempo a vedere ogni cosa piegare alla sua volontà solo perché era nipote del papa [Sisto IV], non vedendosi compiaciuto, infuria, grida di essere stato dileggiato e tradito, minaccia di partire subito da Milano e di correre a Roma dove si sarebbe fatto sentire. Il duca [Galeazzo Maria Sforza], pronubo infelice di nozze così inaspettatamente svanite, e dalle quali sperava tanti vantaggi politici, dinanzi all'ira di Girolamo si fa piccino piccino, perché dietro a quella vede l'ira del papa; ne trema, e cerca un ripiego. Ha una figlia naturale [Caterina Sforza], bambina bellissima; con essa tutto si può rimediare e il male mutare in bene. Così non sarà più congiunto lontano, ma suocero del Riario, e l'alleanza col papa sarà tanto più sicura.
Caterina, che come dicemmo, era stata legittimata ed adottata dalla duchessa, è presentata, offerta al Riario. Al cospetto di una bellezza tanto promettente, di una combinazione politica tanto più efficace, il Riario non si fa pregare. Il matrimonio è stabilito, tutto è combinato. (Vol. I, Libro II, p. 45)
- [Pietro Riario] La sua morte fu salutata da alcuni come la liberazione da una peste morale che aveva superato le orgie e le brutture di Roma pagana. Ma la plebe divertita dallo spettacolo del suo fasto e delle sue sfrenatezze, l'aveva pianto. Figliuolo e speranza mia! gridò il papa sul suo sepolcro, piangendo tanto che fu soverchio, dice un contemporaneo.
Poiché abbiamo accennato della vita sregolata dell'infelice cardinale, non dobbiamo tacere che esemplare fu la sua fine. «Cupio dissolvi et esse cum Christo: Domine, miserere mei: io non so se avrò più tempo a baciarti» diceva stringendo il crocefisso, dopo avere abbracciato e chiesto perdono a tutta la famiglia sua delle offese fatte, degli scandali dati, dopo aver riconosciuto che Dio lo aveva ricolmato di molti beni, e che tutte le umane grandezze non sono che vanità. (Vol. I, Libro II, pp. 49-50)
- [Pietro Riario] Nel suo monumento nella chiesa dei Ss. Apostoli a Roma, il volto giovinetto fa contrasto con la grave solennità della mitra ingemmata e con gli abiti cardinalizi, né si può non provare un senso di pietà per quest'uomo che fu scandaloso esempio della nuova corruzione nell'alto clero del secolo XV. (Vol. I, Libro II, p. 50)
- Nel carteggio tra la duchessa Bona e Caterina la spontaneità dell'affetto rompe talvolta la rigidezza della forma: «Quando sentiamo del bene di te (scrive la duchessa) ne abbiamo quella allegrezza che viene ad ogni buona madre per la felicità de la cara figliuola como sey tu ad nuy.»
Questo ci rivela una vita domestica semplice e pura; Caterina, che doveva stupire i contemporanei con le virtù virili e che i posteri immaginarono un mostro di ferocia, fu dunque, (questi documenti lo provano) una giovinetta docile ed affettuosa. (Vol. I, Libro II, p. 85)
- Sisto [IV] aveva volto grossolano, naso aquilino, occhi piccoli e vivaci, animo egoistico, energico; non soffriva contraddizione, non conosceva riguardi: inesperto in politica, aveva però per sé, e più per i suoi, passioni ed ambizioni di principe. «Sisto IV (detto prima Francesco da Savona) uomo di bassissima e vile condizione» dice il Macchiavelli insieme ai contemporanei. Gli storici posteriori asserirono invece che la sua famiglia era nobile ed aveva partecipato agli onori della città. Certo è che suo padre, Leonardo Rovere, era un pescatore povero, ignorante. Sua madre, Lucchesina Mugnone, prima di metterlo al mondo, aveva veduto S. Francesco a S. Antonio da Padova che le avevano comandato di farne un francescano. (Vol. I, Libro III, pp. 89-90)
- [Sisto IV] A nove anni veste l'abito di S. Francesco. Diventa dotto, maestro di teologia, predicatore di grido. Si mantiene tanto povero che creato cardinale, rifugge dallo accettare il cappello, ed i colleghi debbono comprargli le vesti cardinalizie. Fatto papa, si mostra un altro uomo, ed immediatamente si manifesta la nota caratteristica dell'indole sua, l'ambizione cioè di fondare la grandezza, il principato politico della sua famiglia. (Vol. I, Libro III, p. 90)
Volume II
[modifica]- Al bambino che durante la notte del 6 aprile 1499 da queste nozze di Caterina Sforza con Giovanni de' Medici era nato nella rocca di Forlì, per rispetto al duca di Milano fu dato il nome di Lodovico, poi, mortogli il padre, in memoria sua, Caterina volle chiamarlo Giovanni, e nella storia vivrà immortale col nome di Giovanni dalle Bande Nere.
Questo Giovanni fu il più gran guerriero che l'Italia avesse al suo tempo: con l'istituire fanterie compatte, disciplinate, con assise uniformi (di qui il nome di uniforme) die' principio al sistema che perfezionatosi sempre più anche oggi continua nelle milizie moderne. Infaticabile, inesorabile, indomabile, era chiamato Fulmine di guerra, il Gran Diavolo, e finalmente per la gloria acquistata alla patria, fu soprannominato Italia. (Vol. II, Libro VI, p. 30)
- [Giovanni dalle Bande Nere] Dalle bandiere di Carlo V re di Spagna ed imperatore di Germania passò al campo francese sotto Francesco I: ferito pochi giorni prima della battaglia di Pavia, il re andò a trovarlo in persona, e poi quando si vide prigioniero in quella memorabil giornata, disse che se avesse avuto seco il signor Giovanni certo non l'avrebbe perduta. (Vol. II, Libro VI, p. 30)
- Nata del sangue sforzesco, a Caterina per marito non bastava un gran principe, avrebbe voluto un gran capitano. Mancatole questo ideale sperò di essere madre di una falange di guerrieri famosi, sperò di rimandare nel mondo le grandi anime degli antichi Sforzeschi. Ma tale non era la tempra dei figli di Girolamo Riario, ed essa, delusa successivamente da ciascheduno, rinunziava via via al disegno di farne degli uomini di guerra, e rassegnata, li incamminava un dopo l'altro «a la militia clericale.» Ma questa aspirazione, che tormentandola la accompagnava attraverso le varie età della vita, racchiudeva una predestinazione, un presagio; emanava da una intima forza di tutto l'essere suo. A 35 anni Caterina ha un ultimo figliuolo [Ludovico, il futuro Giovanni dalle Bande Nere]. Ecco il guerriero, ecco l'onore delle armi d'Italia! La fiera madre non giungerà a veder le sue glorie, ma pur vivrà tanto da accorgersi che questi è il figliuolo cha per vent'anni essa ha aspettato. Nelle cure per lui bambino, nelle sollecitudini per lui giovanetto, più che in ogni altro periodo della vita di Caterina possiamo vedere e studiare in lei l'affetto e il senno di madre. (Vol. II, Libro VI, p. 31)
- [Il corpo di Giovanni dalle Bande Nere] Trasportato a Firenze ora è sepolto nella cappella sepolcrale de' Medici in San Lorenzo. Cosimo I suo figlio gli fece fare da Baccio Bandinelli una statua che rimasta lungamento negletta, fu collocata in questo secolo nella piazza di S. Lorenzo.
E perché la statua rappresenta il gran capitano seduto, il popolo fiorentino diceva:Messer Giovanni dalle Bande Nere;(Vol. II, Libro VI, p. 46)
Dal lungo cavalcar noiato e stanco
Scese di cavallo (sic) e si pose a sedere.
- [...] un nuovo flagello, la peste, entra a desolare lo Stato di Forlì. Caterina non si perde d'animo: constatato che si trattava di vera peste, fa chiudere le porte della città acciocché non si aggiungano muovi contagi; a medici, a medicine, a spedali, a becchini, provvede e fa provvedere, e dalle savie ed energiche sue prescrizioni i cittadini riconobbero poi la sollecita cessazione del male che dapprima pareva volesse addirittura spopolare la città. Il coraggio, le cure, i provvedimenti di Caterina durante le pestilenze sono parte non solo assai onorevole, ma ancora importantissima della sua vita [...]. (Vol. II, Libro VI, p. 121)
Citazioni su Caterina Sforza
[modifica]- A questa donna [Caterina Sforza] così famosa, eppure così poco o mal nota, Pier Desiderio Pasolini ha dedicato un’opera storica, che (non esitiamo a dirlo sin da principio e senza alcun timore che l'amicizia faccia velo al nostro giudizio) fa il maggior onore non solo a lui, ma agli studi storici italiani, per lo esame largo e profondo dell'argomento, per la copia dei documenti raccolti, per l'intensità dello studio psicologico, unita alla critica dei fatti, e finalmente per la vivacità drammatica dell’esposizione e per quella potenza di vera fantasia storica, che, a traverso la lettera morta dei documenti, fa rivivere tempi, luoghi, personaggi, passioni, come se fossero ancora operanti e presenti. (Ernesto Masi}}
Ravenna e le sue grandi memorie
[modifica]- Ravenna ebbe poca storia durante lo splendore dell'Impero [romano], ma ne divenne centro nel periodo della sua decadenza, nel quale la figura di Galla Placidia colorita e vigorosa, spicca tra le pallide larve degli ultimi imperatori. (p. 12)
- Da Ravenna, Stilicone, generale glorioso, vandalo di nascita romano di animo, governa l'Impero. Serena sua moglie, una bella spagnuola bionda, governa il palazzo. Abile, amabile, insinuante, intrigante, cugina dell'Imperatore, riesce, contro il parere del prudente Stilicone, a fargli sposare una dopo l'altra le due sue figlie Maria e Termanzia quasi bambine e mancando la prole, cerca la corona per Eucherio suo figlio. (pp. 13-14)
- [...] [Galla Placidia] ragazza ardente, intelligente, bellissima. (p. 14)
- Nello stesso anno Alarico re dei Visigoti piomba su Roma. Al popolo spaventato si ricorda che Alarico era stato alleato di Stilicone, si fa circolare la voce che Serena vedova di costui è d'accordo col barbaro per introdurlo nella città: la calunnia è creduta, il popolo vuol morta Serena.
La paura è vile e feroce, e il Senato si lascia imporre un decreto infame. Serena ancor giovane e bella (aveva circa quarant'anni) è incatenata e poi strangolata in carcere. I pagani che la odiavano, vedono in questo supplizio la vendetta di Vesta dal cui santuario Serena giovinetta, entrando in Roma con gl'imperiali, aveva rapito una collana di perle. La collana della Dea l'aveva dunque soffocata! (pp. 14-15)
- I Romani, dopo avere deriso il gran re [Teodorico] che non sapeva scrivere, udivano [sua figlia] Amalasunta parlare nella rispettiva lingua con gli ambasciatori delle varie nazioni. Con gli eruditi essa ragionava sui filosofi, sui poeti antichi. Nel tempo stesso per non ingelosire i suoi, la Regina si mostrava orgogliosa della ricchezza della lingua gotica. (p. 75)
Bibliografia
[modifica]- Pier Desiderio Pasolini, Caterina Sforza, Vol. I, Ermanno Loescher e C., Roma, 1893.
- Pier Desiderio Pasolini, Caterina Sforza, Vol. II, Ermanno Loescher e C., Roma, 1893.
- Pier Desiderio Pasolini, Ravenna e le sue grandi memorie, Ermanno Loescher & C., Roma, 1912.
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