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Raymond Cartier

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Raymond Cartier (1904 – 1975), giornalista, scrittore e storico francese.

Il Napoleone del Terzo Reich

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  • Il processo [di Norimberga] in sé, l'ho odiato. Non certo per simpatia per i ventuno individui, di cui si potevano misurare i diversi gradi di accasciamento fra gli MP americani giganteschi e luccicanti. Avrebbero potuto cadere tutti sotto una raffica di mitraglia nella grande liquidazione della guerra senza suscitare in me la minima compassione. Ma, per giudicarli, si convocò a Norimberga la Giustizia in persona. Di fronte ai miserabili che si degnava di giudicare, doveva apparire in tutta la sua maestà, che essi non avevano mai rispettata.
    Si giudicava senza leggi, con la pretesa di creare strada facendo un diritto che altro non era se non il vecchio «Vae Victis». Si erano ammucchiati sugli stessi banchi delle odiose canaglie come Kaltenbrunner o Streicher, e dei militari, diplomatici e funzionari. A queste ultime categorie si rimproverava di avere obbedito al governo del loro paese, quando tutte le potenze rappresentate nel Tribunale avevano riconosciuto questo governo senza la minima obiezione, e intrattenuto con esso normali rapporti. (Prefazione, p. 9)
  • Stabilire la responsabilità della guerra, diventava così competenza del tribunale. A Versaglia, venticinque anni prima, non s'era sentito il bisogno di nessuna cerimonia per scaricarla sommariamente ma integralmente sulle spalle della Germania. Il sistema di Norimberga fu peggiore, a causa dell'ipocrisia. D'accordo che la colpevolezza diretta e personale di Hitler non è discutibile, ma anche con una simile certezza, un tribunale rispettabile non può pronunciare una condanna e neppure ammettere una prova senza consultare dei documenti o ascoltare testimonianze contrarie. Ora, bastava che il presidente sentisse l'ombra di un'allusione al patto germano-sovietico del 1939, perché il suo martello si abbattesse, per significare che l'argomento era tabù. Norimberga fu uno strumento di vendetta necessario e forse comprensibile nell'epoca e nelle circostanze in cui si svolse. Ma fu soltanto una parodia di tribunale. (Prefazione, p. 10)
  • Hitler non era un grande lavoratore. Non restava seduto per lunghe ore al suo tavolo di lavoro come Mussolini. Cento volte ha preso in giro il suo predecessore, il povero Brüning[1], scrupoloso al punto di scrivere con la sua penna le leggi che voleva sottomettere all'approvazione del Reichstag. Detestava i lunghi rapporti scritti. La mobilità del suo spirito non gli permetteva ampie letture [...]; questa è la ragione per cui prediligeva i romanzi polizieschi, che divorava in un attimo. (p. 30)
  • L'istruttoria e i dibattiti di Norimberga portano sull'essenza e il funzionamento del regime nazionalsocialista una chiarezza totale e definitiva. (p. 34)
  • C'era innanzitutto in Hitler un capo di clan, o piuttosto di una banda. La maggiore virtù era, ai suoi occhi, la fedeltà alla sua persona. Quelli che osservavano questa fedeltà avevano diritto, come compenso, alla sua protezione e a una indulgenza sistematica che li metteva al di sopra delle leggi. Quelli che non la osservavano, morivano. Il cameratismo, questa fraternità dei senza-tetto, era forse il sentimento umano più forte nel cuore di quell'eterno randagio che fu Hitler. (p. 39)
  • A molte riprese, la politica italiana, l'incapacità militare dell'Italia cacciarono la Germania in difficoltà gravi e fatali, e tuttavia mai una parola d'impazienza o di offesa uscì dalle labbra veementi del Führer. Perché Mussolini era un compagno di lotta. Era nato, anche lui, in mezzo ai poveri e aveva, anche lui, servito e sofferto sotto l'uniforme anonima del soldato delle trincee. Il parallelismo fra le loro due vite e le loro carriere colpiva Hitler che vi vedeva un simbolo. (p. 40)

Note

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  1. Heinrich Brüning (1885-1970), politico tedesco, cancelliere della Repubblica di Weimar dal 1930 al 1932.

Biblliografia

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  • Raymond Cartier, Il Napoleone del Terzo Reich, Edizioni del Borghese, 1966

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