Renato Venturelli
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Renato Venturelli (1954 – vivente), critico cinematografico italiano.
Citazioni di Renato Venturelli
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- [Su Pranzo di Ferragosto] [...] il pregio del film sta nell'evitare i tempi collaudati e forzatamente brillanti della commedia d'impianto teatrale, per puntare invece su un più fresco e disadorno effetto realtà, sulle interpreti non professioniste, sui dialoghi quasi improvvisati, sui tempi morti che qua e là costellano la narrazione. Il risultato è una sorta di novella: molto concisa (75'), con un finale frettoloso da cortometraggio, ma anche con una giustezza di tocco capace di accattivarsi le simpatie del pubblico.[1]
- [Su Sciarada] E il film è interessante anche per il mix di generi tipico dell'epoca, quando il gioco vorticoso di maschere, di inganni e di false identità si snoda ai confini tra due generi sotto questo punto di vista analoghi, come la spy-story e la commedia sofisticata. Con gran finale alla Comedie Française e almeno un paio di gag famose: prima il ballo con l'arancia di Cary Grant, poi Coburn che minaccia la Hepburn lanciandole addosso fiammiferi accesi.[2]
- "Blue Valentine" ricicla la solita storia d'amore, lo scorrere inesorabile del tempo, le sue conseguenze sulle persone, e lo fa pure con tutti i tic del cinema indipendente americano da festival. Ma riesce ad avere una sua intensità emotiva e alcuni momenti originali, come l'estremo tentativo di stare insieme una notte in una grottesca camera di motel in stile fantascientifico.
Nonostante il marchio da Sundance, insomma, Cianfrance è un regista da seguire, con una bella capacità di valorizzare gli attori: e qui, accanto a un Gosling prima sfacciato poi triste e stempiato, c'è una Michelle Williams ("Marilyn") subito candidata all'Oscar per il ruolo.[3] - [Su La calda notte dell'ispettore Tibbs] Il taglio del racconto è in effetti piuttosto tradizionale, così come il modo in cui viene affrontato il tema razziale, ma il meccanismo funziona ancor oggi in maniera esemplare: a cominciare dall'interpretazione sanguigna del poliziotto locale (uno strepitoso Rod Steiger) e da una sceneggiatura basata su una serie di efficaci scontri verbali con Sidney Poitier, simbolo dello spirito liberal, egualitario e antirazzista di un'America kennediana che aveva appena incarnato anche in "Indovina chi viene a cena?".[4]
- [Su Il capitale umano] Il risultato è pienamente riuscito: ottimi attori, racconto implacabile nonostante qualche giochino temporale, scene memorabili, magari col critico che blatera di morte del teatro e il leghista che vuole cori di paese. Solo un po' di morale scontata nel ritratto dell'Italia di oggi, all'ombra del pessimismo consolatorio. Ma con scambi di battute già cult: "Avete scommesso sulla rovina di questo paese e avete vinto" accusa lei, "Abbiamo vinto..." ribatte lui.[5]
- [Su The Equalizer 2 - Senza perdono] Al di là del carisma di Denzel Washington in un ruolo schiettamente action, ma venato di malinconie interiori, il sequel ha un punto di forza nella regia di Antoine Fuqua: che avrà anche uno stile da ex-pubblicitario ma riesce quasi sempre a imprimere un taglio visivo e narrativo molto più coerente rispetto ad altri prodotti analoghi, con tanto di finale apocalittico post-western in una cittadina costiera sconvolta da un uragano. Il limite sta invece nelle convenzioni fumettistiche del personaggio, nel suo risolversi sul piano di un'astratta evidenza grafica, dove lo spessore umano rimane artificioso: ma se sopportate qualche eccesso di moralismo, è un action decorosissimo ambientato in un mondo ormai allo sbando.[6]
- [Su L'appartamento] Il film è famoso per la sua rappresentazione della solitudine e dell'isolamento dell'individuo nella società di massa, ma ancor più per i perfidi meccanismi attraverso cui il potere insinua la corruzione all'interno delle persone: e Billy Wilder mescola abilmente i toni brillanti a quelli drammatici, con un lieto fine che lascia intatta l'amarezza del racconto alleggerendolo però dai rischi di patetismi e moralismi. Con tanti momenti famosi: dall'uso della racchetta da tennis come scolapasta, allo specchietto rotto che permette a Lemmon di scoprire la verità e riflette simbolicamente l'immagine infranta di Shirley MacLaine.[7]
- [Su L'esorcismo di Hannah Grace] Come spesso accade, la parte migliore del film è quella iniziale, giocata sul suspense della solitudine, del buio, della minaccia latente, di un'angoscia che ossessiona la protagonista e potrebbe essere la semplice proiezione dei suoi tormenti interiori: situazione già abbondantemente esplorata in horror che vanno da "Nightwatch" al recente (e niente male) "Autopsy", ma che per un po' riesce a funzionare anche in questo caso. Alla lunga, però, si resta nell'ambito di uno scontato prodotto convenzionale: con situazioni di repertorio e prevedibili jumpscare.[8]
- Ispirato alla solita storia vera, "The Mule" è un film di meravigliosa leggerezza e di apparente semplicità, dove Eastwood tocca tutti i suoi temi, parla dell'individualismo e della famiglia, degli affetti e dell'amore per l'avventura, della vecchiaia e della morte. E ci parla del tempo, "l'unica cosa che non si può comprare": un tempo che il personaggio usa a modo suo, prendendosi pause e digressioni che fanno impazzire i narcotrafficanti, proprio come Eastwood regista ama prendersi i suoi tempi nel raccontare le storie. Con qualche tocco perfidamente scorretto, ovviamente.[9]
Note
[modifica]- ↑ Da Visti per voi, la Repubblica, 14 agosto 2009, p. 16.
- ↑ Da Visti per voi, la Repubblica, 2 giugno 2011, p. 20.
- ↑ Da Visti per voi, la Repubblica, 28 aprile 2013, p. 18.
- ↑ Da Visti per voi, la Repubblica, 15 maggio 2013, p. 18.
- ↑ Da Visti per voi, la Repubblica, 12 gennaio 2014, p. 20.
- ↑ Da Visti per voi, la Repubblica, 23 settembre 2018, p. 20.
- ↑ Da Visti per voi, la Repubblica, 10 dicembre 2018, p. 16.
- ↑ Da Visti per voi, la Repubblica, 4 febbraio 2019, p. 16.
- ↑ Da Visti per voi, la Repubblica, 9 febbraio 2019, p. 22.
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