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Maria Bellonci

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Maria Bellonci

Maria Bellonci (1902 – 1986), scrittrice italiana.

Citazioni di Maria Bellonci

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  • Che cosa è il tempo, e perché deve considerarsi passato? Fino a quando viviamo esiste un solo tempo, il presente. (da Rinascimento privato)
  • La menzogna non protegge nessuno. (da Tu vipera gentile)
  • MARIA – Tu. Tu luminosa, tu delicata, tu fuori dalla ragion di Stato (hai sempre detto che non ti occupavi di politica). E non ti sei accorta di essere spietata nell'esigere l'amore come tuo fratello Cesare Borgia era spietato nell'esigere il potere. Amore significa condividere; e tu hai mai condiviso la sorte di quelli che ti amavano? Ti fugge il marito di Pesaro; e tu non fuggi. Ti ammazzano crudelmente il marito aragonese; piangi, ma non ti ribelli. Ti uccidono Ercole Strozzi, strumento dei tuoi amori, e non lo difendi... E intorno a te si muovono altre ombre indifese... Pedro Caldés, la tua donzella Pantasilea ritrovati morti nel Tevere; e il giovane prete Garzia, tuo familiare, pugnalato sotto i portici di Ferrara.
    LUCREZIA – Io non sono mai stata colpevole. Io sono aliena da omicidi.
    MARIA – Tu non hai tenuto conto di nessuno. Il Bembo è fuggito a tempo; e solo Isabella ha salvato l'incauto suo marito e ha saputo tenere lontani i fratelli estensi da un altro delitto di famiglia.
    (dall'Intervista impossibile a Lucrezia Borgia, in Lucrezia Borgia, pp. 532-533)

Lucrezia Borgia

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Di notte, fra il 25 e il 26 luglio 1492, moriva a Roma papa Innocenzo VIII Cibo, genovese. Su quel vecchio benigno che sembrava aver portato la sua canizie di patriarca come segno manifesto di chiarezza d'animo, si erano abbattuti per anni, più o meno palesemente, biasimo ironia e disprezzo degli uomini di governo, tutti d'accordo a giudicare peggiore di un vizio la sua abbandonata debolezza. Debole, lo era stato davvero, e, meglio, cedevole in tutto all'influsso di ciascuno che sapesse imporglisi con il magnetismo della vicinanza e della risolutezza: primo fra gli altri il savonese Giuliano della Rovere, cardinale di San Pietro in Vincoli, che aveva governato il papa come si può governare uno spirito che sfugge perfino a chi lo suggestiona. Gentilmente i lettori provavano disgusto per quelle pagine di storia interessanti ma alquanto disinteressata alle loro menti.

Citazioni

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  • [Su Lucrezia Borgia] Da queste nozze bianche [Con Giovanni Sforza] che solo una ragione politica aveva precipitate, comincia l'esistenza oscillante di Lucrezia quale era imposta a lei dalle circostanze e dalle ambizioni dei suoi familiari, ma quale ella accettava e sarebbe andata sempre meglio accettando. Non nella sua debolezza, ma nella fatalità intima dei suoi assensi ognuno dei quali è una capitolazione, sta il vero dramma di Lucrezia: e, a questo lume, il suo modo di non voler conoscere e non di non voler sapere quello che le accade dintorno appare una difesa femminile, nata dall'istinto, misera, ma patetica e coraggiosa. Innalzarsi tanto da giudicare il padre e il fratello non lo potrà mai, meno per incapacità di giudizio o per tenerezza di cuore, che per una verità più violenta ed elementare: perché anche lei è una Borgia, e sente anche lei la forza di quel sangue che le fa impeto e che si dà ragione da sé, fuori da ogni morale, brutalmente e splendidamente. Solo in tempi più tardi, dal disordine della sua anima che sta fra la religione e la sensualità, fra la volontà di una vita disciplinata e l'ardente anarchia dei desideri, saprà levarsi e intraprendere contro il padre, contro il fratello o contro il suocero duca di Ferrara quelle sue ribellioni che la condurranno, sola fra i Borgia, a salvarsi. (pp. 35-36)
  • Non ancora ventenne [...] Beatrice d'Este era già certa delle sue mete, sicura delle strade che bisognava seguire per arrivare in fondo. Donna di gran capricci, di grazie rare, di raffinatezze intellettuali, di caparbio orgoglio, odiava su tutto al mondo colei che le rubava, a suo parere, il primo posto di principessa a Milano, la generosa Isabella d'Aragona [...] E se non si può dar la colpa ad una donna dei grossi avvenimenti di poi, forse necessari in quel momento storico, è però vero che, se vi fosse stato bisogno di qualcuno che spingesse il Moro a chiamare gli stranieri in Italia per schiacciare e disperdere l'odiata dinastia aragonese, non si sarebbe potuto trovare nessuno più adatto di Beatrice. Ella era l'anima, ed un'indemoniata anima, della lotta che gli Sforza avevano impegnato contro il regno napoletano.

Lucrezia si era quietata, pareva stesse ormai senza capire. Eppure, laggiù dove lei giaceva, qualche cosa doveva ancora arrivare a toccarla: era il colore del cielo di Subiaco, e si sentiva in basso rotolare l'Aniene, mentre al riso carnoso di Vannozza seguivano, scoccati, i baci materni dall'odor di vaniglia. Era il rosso della porpora cardinalizia abbagliato e vinto dal bianco trionfale della veste pontificia, e il gran viso di Alessandro VI tutto aperto alla luce d'agosto. Si componevano le volte ora finite e indorate dal pennello del Pinturicchio, tinnivano vicini i campanelli d'argento del duca di Gandia, e s'incrociava, denso e periglioso, lo sguardo di Cesare Borgia. Roma andava vaporando in una polvere rosea, di sera, mentre la campana del Campidoglio commentava ed esaltava i fasti borgiani. Forse a questo rombo che sembra arrivare da un tempo remotissimo, da un'eternità umana, con una voce che ha tanto di magia quanto di antica incuorante serenità, i terrori finivano di sbandarsi per dar luogo ad una stanchezza lunga, filata, vicina alla pace. Era venuto il momento di non aver più paura. Lucrezia guardava in viso suo padre come al momento della loro separazione, quel nevoso mattino d'Epifania. E come allora sospirò appena, quando qualcuno disse che bisognava partire.

Incipit di alcune opere

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Rinascimento privato

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Stanza degli orologi
anno 1533

Il mio segreto è una memoria che agisce a volte per terribilità. Isolata, immobile, sul punto di scattare, sto al centro di correnti vorticose che girano a spirali in questa stanza dove i miei cento orologi sgranano battiti diversi in diversi timbri. Se alzo il capo li vedo fiammeggiare, e ad ogni tocco di fuoco corrisponde un'immagine. Sempre sono trascinata fuori di me dalla tempesta di vivere. Che cosa è il tempo, e perché deve considerarsi passato? Fino a quando viviamo esiste un solo tempo, il presente. Una forza struggente mi prende alle viscere: costruttiva o devastatrice non mi è dato di sapere; è senza regola, almeno apparente.

Segni sul muro

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Telefilm su due amanti

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Non importa dirlo. Noi sappiamo però di essere a Milano, in via Principe Amedeo 1, strada breve verso i giardini pubblici di Porta Venezia. Il palazzo, dell'ultimo Ottocento, ha un suo decoro; non troppo alto – tre piani e un attico – ha finestre rettangolari strette e lunghe, alternate, al piano rialzato, con finestre d'arco rotondo. L'anno è il 1917; il mese un chiaro settembre; il tempo è di guerra, e c'è nell'aria un sordo torpore; siamo alla vigilia di Caporetto. Può darsi che un manifesto patriottico sia incollato sul basamento, sotto le finestre del piano rialzato. Entriamo in azione dietro la macchina da presa, guidati da una mano di donna, sottile, guantata, dal gesto espressivo nelle brevi indicazioni. Le cinque del pomeriggio; ora quieta col sole in alto che si sfuma in una diffusa chiarità e raggiunge le finestre più basse alle quali si può bussare dalla strada. Apriamo il nostro copione.

Storia segreta di una cortigiana

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Sulla metà del Cinquecento tra le sonore didascalie linguistiche dl Bembo e le potenti fosche protervie dell'Aretino, si alza dal fitto brusio dai petrarchisti italiani una voce di donna; e, quietamente perentorio, prende il suo posto un libro di versi di accento caldo e turbato: le Rime di Gaspara Stampa, nata a Padova e vissuta a Venezia dove morì, giovane di circa trent'anni, nel 1554. Gaspara, detta dai suoi contemporanei Gasparina, la maggiore poetessa del suo tempo e a parere di molti (anche mio) la maggiore poetessa italiana in assoluto, sta sotto un segno che oggi possiamo riconoscere e circoscrivere esattamente: il segno della diffidenza dell'ostilità e della propensione magari inconscia alla condanna che accompagna ogni opera compiuta da una donna specie se si tratta di un'opera libera.

Trafitto a Canossa

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"Qui il vento non smette mai di soffiare" dice il mio accompagnatore con una frase che potrebbe essere la traduzione, ridotta all'approssimativo, di un frammento shakespeariano. Proprio Shakespeare verrebbe fatto di evocare – o Dante, naturalmente – su questo gran dirupo di Canossa che resta solenne e fantastico anche se il turismo ha costruito ai suoi piedi un "accoglimento" di piazzale e di ristorante (si capisce: gradevoli).
Per arrivare in alto occorre affrontare il ripido camminamento che in alcuni punti rivela la cerchia avvolgente – un tempo triplice – delle compatte mura difensive che avevano resistito tre anni all'assedio di Berengario II, come intonava, facendosi tronfio con le parole, il cronista Donizone: "O re Berengario, puoi prima morire che rompere la nostra mole; né ariete, né volpe, né altra macchina riuscirà a raggiungere i nostri eccelsi tetti".

Bibliografia

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  • Maria Bellonci, Lucrezia Borgia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2003.
  • Maria Bellonci, Rinascimento privato, Arnoldo Mondadori Editore, 2010.
  • Maria Bellonci, Segni sul muro, Arnoldo Mondadori Editore.
  • Maria Bellonci, Tu vipera gentile, Mondadori, 2018.

Altri progetti

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Opere

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