Roberto Jucci

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Roberto Jucci saluta la Presidente della Camera, Nilde Iotti, 1986.

Roberto Jucci (1926 – vivente), generale italiano.

Citazioni di Roberto Jucci[modifica]

  • [Sul caso Moro] Cossiga era consigliato da un uomo mandato dagli Usa e dalla commissione composta in gran parte da piduisti. Tutte persone che a mio avviso volevano che le cose andassero in una maniera diversa da quella che tutte le persone oneste chiedevano. Moro doveva essere distrutto politicamente e fisicamente: se Moro fosse sopravvissuto la politica dell’Italia avrebbe avuto uno sviluppo diverso da quello che è stato. Credo che si sarebbe potuto liberare Moro, se tutte le istituzioni avessero operato in questa direzione. Ma l’apertura di un governo, sostenuto da Moro, formato da comunisti e democristiani era osteggiata sia dagli Usa e sia per altri motivi dall’ex Unione Sovietica. [Cossiga] Mi chiese di creare un reparto dell’Esercito che potesse intervenire per liberare Moro quando fosse stata individuata la sua prigione. Dovevano operare con una precisione millimetrica per non rischiare la vita dell’ostaggio. Mi diede una settimana di tempo. Io ho preso gli incursori del leggendario Col Moschin, ho acquistato armi sofisticate in Gran Bretagna e in Germania e li ho fatti addestrare senza sosta in una base segreta all’interno della tenuta presidenziale di San Rossore. Cossiga mi domandava continuamente se erano pronti. Gli ho detto: Ministro venga a vedere di persona. Durante il viaggio per l’ispezione, senza preavviso, gli incursori fecero un agguato al suo corteo e immobilizzarono la scorta: a Cossiga stava venendo un infarto. A Cossiga dissero di fare questo reparto ma non so se lo fecero per togliermi fuori dal campo a Roma. Perché io così passai praticamente tutti i giorni del rapimento in Toscana nella tenuta di San Rossore per predisporre questa squadra che non è mai entrata in azione. Andavo a Roma da Cossiga per riferire, mi intrattenevo con Ugo Pecchioli che era il rappresentante del Pci e aspettavamo che uscisse dalle riunioni del Comitato. A me chiedeva lumi sulla preparazione degli incursori; con Pecchioli faceva il punto della situazione. Mi tolsero di mezzo. E non so se questo fu fatto apposta. Perché allora gran parte dei vertici delle Istituzioni militari erano della P2. E su quella loggia io oggi ho molti pensieri: perché la P2 era espressione di un gruppo di potere di un Paese straniero, amico sicuramente ma che aveva altri interessi.[1]
  • Il mio più grande rammarico sul caso Moro è quello di non avere capito che venivo strumentalizzato. Nel senso che mi avevano messo nell’angolo e mandato via da Roma per non vedere e non operare... Ero solo un generale, ma per la mia esperienza internazionale quando si trattava di risolvere una questione delicata, ad esempio in Libia all’indomani del golpe di Gheddafi, o aprire un canale riservato di trattativa tra Stati Uniti e Cina negli anni Settanta, mi chiamavano. Nel 1978 ero capo del Secondo reparto dello Stato Maggiore dell’Esercito che si occupava di sicurezza, più spesso noto con la sigla Sios.[2]

Note[modifica]

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