Rod Serling

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Rod Serling nel 1959

Rodman "Rod" Edward Serling (1924 – 1975), scrittore e sceneggiatore statunitense

Incipit di alcune opere[modifica]

Ai confini della realtà[modifica]

Tutta la verità[modifica]

Questo si poteva dire di Harvey Hennucitt, che era un eccezionale impostore. Quando Harvey smerciava una delle sue auto usate, i suoi raggiri erano coloriti, fantasiosi, ed avevano un fascino tutto loro.
Nel mondo delle automobili, di lui si diceva che sapeva vendere qualunque cosa che avesse almeno due ruote, un faro anteriore, un vetro intatto e l'idea di un motore: l'importante era che avesse a disposizione una decina di minuti per andare in buca. Molte delle sue famose transazioni sono senza dubbio apocrife, ma alcune di esse sono assolutamente autentiche, perché io me le ricordo bene.

Il rifugio[modifica]

Fuori era una serata estiva. Le grosse foglie delle querce e degli aceri catturavano la luce proveniente dalle vecchie case eleganti che costeggiavano la strada. Una leggera brezza trasportava con sé i suoni dei telefilm delle otto, i bambini che chiedevano da bere, il suono scordato di un pianoforte.
In casa del dottor Stockton il pasto era terminato e sua moglie, Grace, stava portando in tavola la torta di compleanno. Le persone intorno al tavolo si alzarono, applaudirono, fischiarono, qualcuno iniziò a cantare «Tanti auguri a te», e gli altri si unirono al coro.

Resa dei conti per Rance McGrew[modifica]

I due cowboy uscirono dal saloon e scesero i tre gradini di legno del portico, fermandosi a guardare la strada polverosa. Uno dei due sputò un getto di liquido marrone, poi si ripulì con la mano il mento ispido di barba.
— Non è ancora arrivato — annunciò.
L'altro tirò fuori di tasca un grosso orologio a cipolla e ne fece scattare il coperchio.
— Arriverà. Lo sa cosa lo aspetta!
Richiuse l'orologio riponendolo poi al suo posto, nel taschino del gilet di pelle.

La notte degli umili[modifica]

Era Natale. Su questo non c'era alcun dubbio: l'atmosfera di buona volontà festaiola pervadeva le strade come un profumo di melassa, zuccheroso, denso e persistente. C'era ancora una giornata di tempo per completare gli acquisti di Natale, e questa notizia veniva inculcata nei cervelli degli abitanti della città con la stessa forza di un proclama di legge marziale: «Solo un giorno per gli acquisti di Natale!» Era il grido di guerra dei commercianti, piccoli e grossi, e in quel ventiquattresimo giorno del dodicesimo mese del millenovecentosessantunesimo anno di nostro Signore serviva da esortazione: alla popolazione rimanevano ancora poche ore per aprire il portafoglio ed estrarne con dita stanche una carta di credito cincischiata.

Il sole di mezzanotte[modifica]

«Per diventare un artista di successo non basta mettere un po' di colore su una tela» era solito ripetere uno dei suoi maestri, anni prima. «Occorre trasferire nel quadro emozioni e sentimenti, servendosi del pennello come se fosse un'estensione del nostro sistema nervoso». Norma Smith guardò fuori della finestra il sole gigantesco, poi tornò a studiare il quadro in lavorazione, posato sul cavalletto che aveva sistemato vicino ai vetri. Tentando di dipingere quel sole, ne aveva catturato in parte l'essenza fisica, questo sì. L'enorme palla bianco-gialla sembrava occupare una buona metà del cielo ed i suoi margini, un tempo sfumati, ora erano più definiti e circondati da lingue di fiamma, anch'esse enormi, in costante movimento.

Un salto alla Rip Van Winkle[modifica]

I binari della Union Pacific erano serpenti gemelli che si snodavano a sud del confine del Nevada, inoltrandosi nelle vaste depressioni torride del deserto Mojave. Ma quando, una volta al giorno, il rapido di lusso "Città di St. Louis" sferragliava su quei binari oltre i picchi vulcanici simili ad aghi, le lontane e desolate montagne dal profilo a denti di sega, il morto mare di ceneri e fragili incrostazioni di creosoto, si trattava di un'intrusione di uno strano anacronismo. La tremenda energia del locomotore diesel fendeva i venti del deserto, e il treno viaggiava velocissimo per superare l'arida distesa bianca di quella terra antica, come se temesse di essere afferrato, bloccato dai frastagliati speroni di rocce che circondano il grande deserto quadrangolare.

L'odissea del Volo 33[modifica]

Il solitario[modifica]

Quel deserto assomigliava alla superficie di un gigantesco fornello: si estendeva, simile a un viluppo giallognolo bruciato dal sole, fino all'orizzonte frastagliato dalle montagne da un lato e dalle luccicanti pianure saline dall'altro. Qua e là, dune e gole punteggiavano quella gialla uniformità con sottili striature color porpora scuro. Ma per la maggior parte il deserto appariva interminabile e immutabile: una spoglia massa di sabbia che attirava i raggi infuocati e poi li assorbiva dentro di sé.

Quell'energumeno del signor Dingle[modifica]

Si trattava di quell'istituzione tutta americana conosciuta come "il bar all'angolo", piccolo, con luci soffuse; in questo momento soddisfaceva le esigenze di un gruppetto di persone che si erano radunate prima dell'ora del cocktail, e per le quali bere era una cosa seria, che non doveva essere disturbata dalle frivolezze sociali della folla delle cinque e mezzo. In quest'ultimo gruppo rientravano i tipi da cocktail per cui l'alcol faceva parte di un piano generale in cui rientravano contatti d'affari e seduzione razionalmente pianificata.

A proposito di macchine...[modifica]

Il signor Bartlett Finchley, alto, dalla lingua tagliente e sulla quarantina, guardò il soggiorno eccessivamente ingombro di suppellettili dove il tecnico del servizio riparazione televisori stava lavorando dietro al suo apparecchio e provò un'inclinazione interiore alla disapprovazione perché l'atmosfera della stanza arredata con gusto era rovinata da quell'uomo di servizio in maglietta e tuta da lavoro: la sua presenza era un tale elemento estraneo nella stanza!

Un desiderio grande grande[modifica]

In quell'angolo dell'universo, in una misera camera da letto, con pochi arredi sparsi, in un vecchio e decrepito palazzo in pietra arenaria, un pugile professionista di nome Bolie Jackson se ne stava in piedi davanti allo specchio a fissare la propria immagine riflessa.
L'uomo pesava ottantacinque chili e mancava un'ora e mezzo al suo incontro a St. Nick.

Fermata a Willoughby[modifica]

Oliver Misrell sedeva a capo del tavolo delle riunioni, con gli occhietti da maiale mezzo infossati in quella faccia grassa e dalle robuste mascelle, sbattendo le palpebre come un gufo sbarbato. Passò lo sguardo arcigno sugli otto uomini seduti, quattro per parte, ai lati del tavolo, e poi lo fissò sull'uomo alto e sottile all'altra estremità, e che teneva la sedia spostata in modo da poter guardare di sbieco i due grandi battenti della porta.

L'odissea del Volo 33[modifica]

Non si parla più molto di quel volo, almeno non lo fanno gli addetti ai lavori. Di tanto in tanto, appare un articolo teorico su qualche supplemento domenicale o ne viene fatta menzione sui libri che trattano di sciagure aeree ma, nel complesso, le catastrofi quotidiane mondiali sono più che sufficienti per quantità e qualità perché perfino la perdita di un gigantesco aereo di linea venga lasciata nel dimenticatoio.

Polvere[modifica]

C'era un villaggio costruito con argilla sgretolata e legno marcio.
Sembrava starsene accovacciato, odioso, sotto un sole concente, come un animale malato e rognoso che aspetta solo di morire. Aveva un nome, ma il suo nome era di scarsa importanza. Aveva un'età, ma a poche persone interessava quanto fosse vecchio. Era posto in qualche angolo del sud-ovest, sul margine di un deserto, attraversato da una strada principale lunga non più di due isolati, fiancheggiata da squallide vetrine di botteghe e poche baracche in mattoni.

L'umanità è scomparsa[modifica]

Il grande Casey[modifica]

Esiste un grande stadio, fatiscente al massimo, coperto di erbacce d'ogni genere, chiamato, ogniqualvolta se ne parla (il che avviene di rado oggigiorno) il Campo Tebbet. È situato in un quartiere di New York di nome Brooklyn. Parecchi anni fa questo stadio ospitava una società sportiva chiamata i Brooklyn Dodgers, una squadra che faceva parte della National League. Oggi il Campo Tebbet, come abbiamo detto, non accoglie altro che memorie, qualche fantasma, una fila dopo l'altra di gradinate in legno ormai marce e pavimenti in cemento pieni di crepe. Niente si muove più in questo spazio vuoto e squallido, tranne l'erba alta in quelli che un tempo erano "il diamante" e "l'outfield", la zona esterna. Anche il vento soffia attraverso la gabbia dietro il piatto del battitore e ulula fra i travicelli della tribuna coperta.

Clausola di annullamento[modifica]

Walter Bedeker era a letto e aspettava il dottore. Indossava una vestaglia pesante di lana, sopra un pigiama di lana altrettanto pesante. Aveva la testa avvolta in una sciarpa, anch'essa di lana, legata sotto il mento con un grosso fiocco. Sul comodino c'era un vassoio pieno di bottigliette: pillole, lozioni, antibiotici, spray nasale e per la gola, gocce per le orecchie e per il naso, tre scatole di Kleenex e un libro intitolato Come essere felici anche se costretti a letto. Guardò cupamente verso il soffitto e strizzò gli occhi irritato, verso la porta dalla quale giungeva il rumore dei passi della moglie, in transito dalla cucina al soggiorno.

Solo una passeggiata[modifica]

Si chiamava Martin Sloan, aveva trentasei anni. Mentre si guardava nello specchio del comò, provava quella sorpresa ricorrente ogniqualvolta vedeva riflessa la propria immagine: che quell'uomo alto, di bell'aspetto, fosse lui stesso e che quell'immagine non riflettesse affatto quello che c'era sotto. Era Martin Sloan, altezza oltre un metro e ottanta, viso asciutto e abbronzato, naso diritto, mento volitivo, qualche filo grigio alle tempie, denti regolari. Nel complesso una bella faccia. L'inventario allo specchio continuava: vestito dei Brooks Brothers, negligentemente perfetto, camicia Hathway e cravatta di seta, orologio sottile d'oro, tutto così intonato, così pieno di gusto.

Febbre[modifica]

Le cose andavano in questo modo per Franklin Gibbs: conduceva una vita modesta, pianificata con cura, costruita con precisione. Questa prevedeva una riunione settimanale di Kiwanis il giovedì sera all'Hotel Salinas, un gruppo di studio per adulti patrocinato dalla sua Chiesa il mercoledì sera, funzioni religiose ogni domenica mattina, il lavoro di cassiere presso la banca locale e una sera alla settimana passata con gli amici a giocare a parchesi o a qualcosa di altrettanto eccitante. Era un ometto magro, diritto, di mezza età. Aveva le spalle strette e le teneva costantemente puntate indietro come una burba di West Point. Portava un gilet attillato che gli copriva il petto da piccione. Teneva all'occhiello lo spillo dei dieci anni di fedeltà dei Kiwanis e, sopra, quello dei quindici anni di servizio alla banca, conferitogli dallo stesso Direttore. Abitava con la moglie in via degli Olmi, in una piccola casa con due camere costruita venti anni prima. Aveva un giardino piccolo sul retro e sul davanti un pergolato di rose, passione del signor Gibbs.

L'umanità è scomparsa[modifica]

Non aveva mai provato niente del genere. Si svegliò ma non ricordò di essere andato a dormire; e ciò che lo rese ancora più perplesso, fu il fatto di non essere a letto. Stava camminando su una strada a due corsie, nera, bitumata, con una striscia di un bianco vivo nel mezzo. Si fermò, osservò il cielo blu: era mattino inoltrato ed il sole bruciava. La campagna lo circondava, la strada era fiancheggiata da alberi alti con tutto il fogliame in rigoglio. Vedeva, al di là degli alberi, campi biondi di grano che ondeggiavano al vento.

Arrivano i mostri in Via degli Aceri[modifica]

Era un sabato pomeriggio in Via degli Aceri e l'ultimo sole conservava un po' del calore dell'estate di San Martino che durava oltre il previsto. La gente in strada si meravigliava del ritardo dell'inverno e ne approfittava; tagliavano l'erba dei prati davanti alle case, lustravano le auto, i ragazzi giocavano al mondo sul marciapiede. Il vecchio signor Van Horn, il patriarca della strada che viveva da solo, aveva tirato fuori la sega elettrica e preparava nuovi paletti per la staccionata. Il gelataio passò all'angolo della via e fu sommerso dai ragazzi e da grida come "Aspetta un minuto!" lanciate da quelli che si affrettavano a spillare nichelini ai loro genitori. Erano le 16 e 40; una radio portatile su una veranda trasmetteva una partita di football e faceva un grande strepito. Il chiasso si fondeva con gli altri rumori di un sabato pomeriggio di ottobre. Via degli Aceri, 16 e 40: Via degli Aceri nei suoi ultimi momenti di calma e ragione, prima che arrivassero i mostri.

Bibliografia[modifica]

  • Rod Serling, Ai confini della realtà, traduzioni di Giorgio Pagliaro, Isabella Elizabeth Nizza e Lea Grevi, Mondadori, 1990.
  • Rod Serling, L'odissea del Volo 33, traduzione di Antonio Cecchi, Mondadori, 1991.
  • Rod Serling, L'umanità è scomparsa, traduzione di Antonio Cecchi, Mondadori, 1992.

Filmografia[modifica]

Attore[modifica]

Sceneggiatura[modifica]

Soggetto[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]