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SAVAK

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SAVAK (Sāzemān-e Eṭṭelāʿāt va Amniyat-e Keshvar), servizi segreti imperiali iraniani tra il 1957 e il 1979.

Citazioni sulla SAVAK

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  • Quanto alla Savak, è indubbio che vi furono casi di violenza, ma la violenza non fu mai una politica di Stato. I prigionieri politici? La maggioranza erano il tipo di gente che ha poi preso in ostaggio gli americani all'ambasciata di Teheran, che ha fatto saltare la caserma dei marines in Libano, o dirottato il jet della Twa. (Reza Ciro Pahlavi)
  • L'Iran apparteneva alla Savak, ma la Savak agiva come un'organizzazione clandestina: appariva e spariva, cancellava le sue tracce, non aveva indirizzo. Certe sue sezioni erano invece ufficialmente riconosciute. Stampa, libri e film subivano la sua censura (fu la Savak a proibire Shakespeare e Molière, le cui opere criticavano i difetti dei re), spadroneggiava nelle università, negli uffici, nelle fabbriche. Era un mostruoso cefalopode che avvolgeva ogni cosa, si insinuava in ogni spiraglio, incollava ovunque le sue ventose, frugava, fiutava, grattava, scavava. Annoverava sessantamila agenti, senza contare i tre milioni di informatori (così almeno si calcola) che denunciavano la gente per i più svariati motivi: il denaro, salvezza personale, posti di lavoro, promozioni. La Savak era libera di comprare la gente o di torturarla, di distribuire impieghi o di recludere nei sotterranei. Stabiliva chi fossero i nemici da annientare. Le sue erano condanne senza revisioni né appelli. L'unica persona a cui quell'istituzione dovesse render conto del suo operato era lo scià: gli altri non contavano niente.
  • Le sedi della Savak erano ignote. Non aveva una centrale, era sparpagliata in tutta la città (e in tutto il paese), si trovava ovunque e in nessun posto.
  • Un iraniano in patria non può leggere i libri dei suoi migliori scrittori (che vengono stampati solo all'estero), non può vedere i film dei suoi migliori registi (proibiti nel paese), non può ascoltare la voce dei suoi intellettuali (condannati al silenzio). Lo scià lascia i sudditi liberi di scegliere tra Savak e mullah, e quelli ovviamente scelgono i mullah.
  • Era inevitabile che alcuni terroristi trovassero la morte nei loro scontri con la Savak e, ancora più spesso, con le forze dell'ordine. Nessuno li obbligava ad appiccare degli incendi, a darsi ad atti di saccheggio o ad attentare alle vite umane; essi sono stati vittime della scelta che avevano fatto.
    Per quanto riguarda le persone arrestate per ragioni politiche, e non posso evidentemente porre in questa categoria i sabotatori e gli incendiari, affermo che sono state trattate in modo corretto e che non sono mai state molestate. Nessuno potrà mai citarmi il nome di un uomo politico «liquidato» dalla Savak.
  • In Iran, come altrove, vi erano traditori, spie, agitatori e sabotatori di professione, sui quali il nostro governo e i nostri alti comandi dovevano essere informati e contro i quali il nostro popolo doveva essere difeso: era il compito della Savak. Servizio di informazione e di controspionaggio, essa agiva anche a richiesta dei magistrati civili, ma quest'ultimo compito le fu tolto per essere affidato alla gendarmeria e alla polizia ordinaria, in seguito a raccomandazioni da parte di commissioni di giuristi internazionali.
  • In nessun Paese la responsabilità dei servizi di polizia e di informazione incombe al sovrano o al capo dello Stato, bensì ai ministri dell'Interno e della Guerra, o al primo ministro.
    In Iran, la Savak dipendeva direttamente dal primo ministro. I capi di Stato intervengono, a richiesta del ministro della Giustizia, soltanto per esercitare il loro diritto di grazia nei confronti dei condannati; per quanto mi riguarda, non feci eccezione a questa regola.
  • La Savak era stata creata nel nostro Paese per combattere la sovversione comunista dopo la funesta esperienza Mossadegh. Non sta a me giudicare l'atteggiamento dei Paesi occidentali nei confronti dei loro comunisti, ma il fatto di non poter vedere le cose allo stesso modo dipende dall'avere o meno delle frontiere comuni con l'Unione Sovietica.
  • Non credo che le torture attribuite alla SAVAK siano così abituali come si dice, ma non posso controllare tutto. Inoltre, abbiamo metodi di impiego della pressione psicologica che sono molto più efficaci della tortura. [...] Il mio popolo ha ogni genere di libertà, eccetto quella di tradire.
  • La SAVAK ed alcuni altri membri dell'entourage dello Scià avevano un forte interesse a rafforzare la sua convinzione che il dissenso fosse solo un altro nome per tradimento e una delle prime cose che la SAVAK cercò di "provare" su chiunque fosse sospetto di nascondere opinioni dissenzienti era il collegamento con l'estero. Interi dossier vennero fabbricati – pieni di prove false o di semplici deduzioni – per dimostrare che praticamente tutti i noti critici del regime, erano stati, una volta o l'altra, in contatto con potenze straniere – soprattutto l'Urss, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e vari stati arabi radicali.
  • La SAVAK fomentava l'indole sospettosa dello Scià. Gli scrittori, gli artisti, gli uomini d'affari e i docenti universitari che riscuotevano uno straordinario successo o diventavano straordinariamente popolari erano identificati dalla SAVAK come potenziali minacce se non al regime almeno alla stessa polizia segreta. Le "persone di successo" erano perciò gentilmente persuase, se non di fatto costrette, a dichiarare apertamente la loro lealtà a Sua Maestà Imperiale ogni volta che se ne presentasse l'occasione. Chi si rifiutava di farlo era messo in una lista nera e sottoposto a vessazioni o peggio.
  • Molte vittime della SAVAK erano scrittori, poeti, giornalisti e altri intellettuali. Nel 1975, la lista nera di libri proibiti includeva più di 2000 titoli e, per certi scrittori e poeti, cacciarsi nei guai con la SAVAK diventava un mezzo per assicurarsi la loro propria popolarità.
  • Si stima che fra il 1970 e il 1978 mezzo milione di persone, quasi tutte di estrazione sociale media o alta, furono "intervistate" almeno una volta dalla SAVAK. Queste "interviste" talvolta assumevano la forma di irruzioni nelle abitazioni private nel cuore della notte. In molti casi,invece, gli "intervistati" erano cortesemente invitati a presentarsi in un dato momento ad una delle "case sicure". L'"intervista" poteva durare un'ora o diversi giorni. In alcuni casi poteva degenerare in un più lungo dramma di carcerazione o di tortura. Lo Scià non ammise mai l'esistenza di prigionieri politici in Iran. Preferiva, invece, parlare di "traditori" e "terroristi". È perfettamente possibile che si fosse convinto che chiunque metteva in discussione il suo giudizio su qualsiasi questione fondamentale fosse motivato da qualcosa di diverso dal legittimo dissenso. Lo Scià considerava la politica nel senso normale del termine un "veleno mortale" per l'Iran. Credeva che i politici fossero motivati dall'avidità, dall'amore del potere e da una brama di popolarità.

Voci correlate

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Altri progetti

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