Reza Ciro Pahlavi

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Reza Ciro Pahlavi nel 2016

Reza Ciro Pahlavi (1960 – vivente), principe ereditario dell'Iran.

Citazioni di Reza Ciro Pahlavi[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Succedendo a mio padre non faccio che il mio dovere: non voglio sottrarmi alle mie responsabilità.[1]
  • L'Iran ritroverà la sua età dell'oro, il popolo iraniano spazzerà l'attuale regime senza legge. Gli oppositori al regime di Khomeini sono in continuo aumento.[1]
  • [Sulla guerra Iran-Iraq] Sono l'anarchia, lo sfacelo economico e il declino del nostro prestigio internazionale che hanno generato la violazione della nostra integrità territoriale attraverso un'aggressione esterna che noi condanniamo.[2]
  • So perfettamente che nessuno di voi ha voluto un simile disastro. Ma so anche che voi avete, nel profondo dei vostri cuori, la ferma convinzione che la nostra storia millenaria si ripeterà e che l'incubo prenderà fine. La luce succederà all'oscurità: forti delle nostre amare esperienze, noi intraprenderemo tutti insieme, in un grande slancio nazionale, la ricostruzione del nostro Paese.[2]
  • Il problema non è Khatami come persona, così come nella vecchia Urss non lo erano i vari Andropov e Gorbaciov. Quando un sistema politico è in un vicolo cieco, come la Repubblica Islamica oggi, le persone contano poco. Il leader spirituale Ali Khamenei controlla tutte le leve del potere. Il Presidente, il parlamento e qualsiasi altra istituzione possono approvare anche le leggi più giuste e più democratiche, ma fin quando Khamenei avrà il diritto di veto, nulla potrà cambiare. Non voglio mettere in dubbio Khatami e le sue buone intenzioni. La domanda da porsi è come, in un paese dove altri controllano la radio e la tv di Stato, l' esercito e le forze dell' ordine, il sistema giudiziario, la politica estera e i servizi segreti, il Presidente possa realizzare la promessa di ripristinare la legalità e devolvere il potere alla società civile. In Iran Khatami non è riuscito a proteggere nemmeno i giornali e i giornalisti che lo sostenevano, figuriamoci se può farsi carico delle richieste di maggiore libertà e di democrazia dei nostri giovani.[3]
  • Miei compatrioti in questi 40 giorni siete stati epici. Onorando Ciro il Grande, prestiamo giuramento con la nostra nazione e il suo brillante futuro che l'Iran sarà ancora una volta un esportatore dei principi dei diritti umani e un esempio per tutto il mondo. (da un Tweet durante le proteste per la morte di Mahsa Amini, 27 ottobre 2022)[4]

Da Reza Ciro: a Khomeini direi...

Intervista di Rafael Fraguas, La Stampa, 14 agosto 1986.

  • Per me il matrimonio è un'esperienza molto positiva. Un sostegno emotivo, morale e umano di grande importanza.
  • Penso che Iran e Iraq siano vittime di un confronto personale fra Khomeini e Saddam. Khomeini ha interesse a continuare la guerra per sopravvivere politicamente, dal momento che la contesa è un modo per tenere le forze armate sui confini.
  • Il regime islamico ha diffuso versioni fantasiose sulla ricchezza della mia famiglia, su fortune nascoste, eccetera. Questo fa parte di una campagna propagandistica avviata sei anni fa. Nessuna di queste fantasie è mai stata dimostrata.
  • Se si domanda a un uomo onesto che cosa pensa della politica, dal profondo del cuore dirà che questa «non ha padre né madre». È una parola che fa paura alle persone semplici, perché l'uomo della strada crede che la politica serva ai politici per giocarci. Questo tipo di politica non mi sembra pura né sincera. Se invece si guarda la politica come una cosa necessaria per governare un Paese, e se gli uomini che la praticano sono retti e sinceri, il suo significato cambia. Un Paese che abbia buoni politici non correrà mai alla rovina: da politici che valgano poco e manchino di statura ci si può aspettare invece il peggio.
  • Il politico può cambiare idea, ma il simbolo della monarchia, il re, deve rimanere imparziale. La persona del re appartiene a tutti i cittadini di tutti i gradini sociali. Deve essere al di sopra della politica.
  • Sua Maestà il re Juan Carlos ha vigilato sull'applicazione della Costituzione senza interferire negli affari del governo, né in quelli dei partiti. Questo è il motivo per il quale la monarchia spagnola rimane un'istituzione che protegge e garantisce il gioco politico. In Spagna c'è un primo ministro socialista: è significativo. Penso che in Iran dobbiamo fare esattamente quello che ha fatto la Spagna.
  • Né l'Urss, né gli Stati Uniti hanno da preoccuparsi di una restaurazione monarchica costituzionale nel mio Paese: il nostro regime democratico non andrà contro gli interessi sovietici né americani. Lo stesso Paese può mantenere alleanze diverse, in virtù dei suoi interessi.
  • [Su Ruhollah Khomeyni] Che cosa si può dire a un uomo come lui? È una persona che non capisce nulla, o non vuole capire nulla. Gli direi: lei non può gestire il Paese così come sta facendo: se sa quello che fa non può continuare a farlo, e non può continuare neppure se non lo sa: il mio Paese va verso la distruzione, se ne vada prima che sia troppo tardi.
  • [Sulla Rivoluzione iraniana] Non fu un'insurrezione contro la monarchia, ma un movimento in favore dell'applicazione della Costituzione democratica del 1906. Khomeini ha commesso un grave errore non andarsene dopo il trionfo della rivoluzione. Fu l'inizio della fine: pensò che l'Iran si potesse governare come un paesino di 500 abitanti nel X secolo, e questo è impossibile. Per questo governa solo grazie alla coercizione, alla repressione e alla violenza.

Da "Si avvicina a Teheran l'ora del cambiamento"

la Repubblica, 6 giugno 1989.

  • [Su L'ultimo imperatore] Il film l'ho visto, è un capolavoro, ma non mi ci riconosco per niente, io il potere non l'ho perso, non l'ho avuto neanche per un istante, l'ho solo atteso invano.
  • Mio padre non era un tiranno, nel senso che non credeva nel dispotismo, e voleva portare l'Iran verso la democrazia. Non penso che fosse isolato dalla gente, o che non conoscesse la realtà del suo paese. Certo, ha commesso degli errori, il più grave è stato quello di svolgere un ruolo politicamente attivo, che istituzionalmente non gli spettava. Quanto alla Savak, è indubbio che vi furono casi di violenza, ma la violenza non fu mai una politica di Stato. I prigionieri politici? La maggioranza erano il tipo di gente che ha poi preso in ostaggio gli americani all'ambasciata di Teheran, che ha fatto saltare la caserma dei marines in Libano, o dirottato il jet della Twa.
  • Non era perfetto, mio padre, ma era un nazionalista, amava l'Iran, e credo che sia più popolare oggi, nel suo paese, di quando lo lasciò.
  • Dal primo giorno del suo potere, Khomeini ha ripetuto che l'Iran per lui non voleva dire nulla, non gli interessava. Come poteva amarla? Per Khomeini l'Iran era la piattaforma di lancio di una crociata per trasformare il mondo. Se avesse amato l'Iran, non avremmo avuto una lunga guerra, né, per fare un esempio recente, la polemica sul libro di Rushdie. Sto leggendo I versi satanici: certo mi offende, perché sono un musulmano, ma ciò non vuol dire che l'autore vada condannato a morte. Khomeini diceva che chiunque si convertiva all'Islam, e poi cambiava religione, andava ucciso. Il Profeta non l'ha mai detto, ma Khomeini diceva che le opere del Profeta sono incomplete e stava a lui completarle. Khomeini era l'opposto della santità, era blasfemo. Per me, era lui l'Anticristo.
  • [Su Ruhollah Khomeyni] Lo ho odiato per quel che ha fatto all'Iran, per la sua opposizione di principio ad ogni diritto umano, per come ha indebolito il paese allo scopo di esportare la rivoluzione e il terrorismo nel mondo.
  • Nel mio paese la monarchia era un'istituzione al di sopra di qualsiasi ideologia, e il monarca, come io lo intendo, non deve fare politica, è un capo di Stato, non di governo. Ma poi, in definitiva, dovrà essere il popolo a decidere cosa vuole, e a scegliere le sue leggi, non il re, e tantomeno un libro caduto dal cielo, come il Corano. La Chiesa va separata dallo Stato, specie in un paese come l'Iran, così pieno di razze, culti, genti diverse.
  • Finché c'è stata la guerra era impossibile pensare alla lotta alla dittatura di Khomeini, l'unica priorità era la difesa nazionale: anche per questo l'ayatollah ha prolungato il conflitto il più possibile. Ora, senza la guerra e senza Khomeini, potrà venire alla luce il vasto scontento che esiste in ogni settore sociale, anche nel clero, mi creda.
  • Certo sia io che mia madre e i miei fratelli, che vivono tra New York e Parigi, stiamo bene. Ma non siamo dei Marcos. Faccio una vita molto semplice, la sera sto in casa a leggere o a guardare la tivù con mia moglie, una ragazza iraniana che ho sposato nel 1986, e che oggi ha 20 anni.

Da Come ai tempi di mio padre l'Iran chiede democrazia

la Repubblica, 14 luglio 1999.

  • La democrazia fu allora ed è oggi al centro delle aspirazioni della società iraniana, ed è chiaro che la teocrazia non può essere la risposta a questa esigenza.
  • [Su Mohammad Khatami] In un certo modo non è diverso da Gorbaciov. Può tentare una perestrojka iraniana. Ma come può un regime basato sulla legge divina e non sulla volontà popolare trovare risposte adeguate alla società civile?
  • [Su Mohammad Reza Pahlavi] Sotto di lui il paese compì grandi balzi in avanti, ma le riforme politiche non arrivarono a tempo.
  • Guardi, mio padre è oggi popolare in Iran come non lo è mai stato finché fu al potere o in vita. Lui e mio nonno furono i grandi modernizzatori. Mio nonno agì con durezza: non poteva certo permettersi referendum sulla modernizzazione. Mio padre seppe portare l'Iran all'avanguardia nella regione e tra gli attori della scena internazionale. Ma troppo tardi capì l'importanza della partecipazione popolare.
  • Io, come pretendente, rappresento la monarchia costituzionale, che resta un'alternativa politica per il futuro. Non ho mai rotto i ponti col mio paese, e in me la nostalgia di casa non è mai morta. Ma quello che io voglio per me è un ruolo di unificatore, di garante del pluralismo e della riconciliazione nazionale. Voglio solo aiutare il popolo iraniano a riconquistare l'autodeterminazione.
  • Non dimentichi che mio padre agiva in un mondo diverso da quello di oggi, un mondo diviso in blocchi: la contrapposizione est-ovest fece porre in secondo piano in molte parti del mondo i valori della democrazia e dei diritti umani.
  • La monarchia costituzionale è un'opzione per il futuro, ma quel che conta è e sarà la fede nel secolarismo, la separazione tra Religione e Stato. Potremo cominciare un esperimento affascinante: diventare il primo paese islamico incamminato sulla via della democratizzazione.
  • Sa, nella sua storia millenaria l'Iran è stato invaso, occupato, sconfitto, ed è sempre sopravvissuto. La teocrazia è il primo problema solo interno della nostra storia. Ma ogni paese impara dalle sue epoche: anche l'Inquisizione o Cromwell sono state esperienze. Toccherà ai quarantenni come me guidare i più giovani con l'esperienza.

Da L'erede al trono: il regime sta ingannando il mondo

Intervista di Afsané Bassir Pour, La Stampa, 7 giugno 2001.

  • [Su Mohammad Khatami] Alla minima scossa si è sempre allineato al regime.
  • Sono in contatto permanente con molte persone, gente anche all'interno del regime, pasdaran, guardiani della rivoluzione, ufficiali, religiosi, ai quali dico: non siete obbligati a rovesciarvi insieme a questa barca che fa acqua.
  • Ciò che conta per me è il contenuto del regime, i principi democratici. La forma è secondaria.

Da Reza Pahlavi: «Anche per l'Iran è l'ora del cambiamento»

Intervista di Fiamma Nirenstein, La Stampa, 14 maggio 2003.

  • Molti credenti, molti importanti uomini di fede hanno compreso che la sovrapposizione tra potere e religione è di fatto un tradimento della religione stessa, un elemento di corruzione; che la visione piramide di un gruppo di ayatollah che si sentono incaricati da Dio di dominare crudelmente il popolo, di dirgli cosa leggere, coa dire, come vestirsi pena la morte o la prigione, non ha niente ha che vedere con la vera fede.
  • Il fallimento morale di questo governo si misura sulle oltre 600 mila persone nelle carceri, sulla tortura, sulla chiusura di tutte le testate giornalistiche anche appena vagamente dissidenti. Sono a conoscenza di orrori indicibili: mi dicono che le ragazze dissenzienti vengono violate in carcere perché altrimenti la verginità consentirebbe loro di andare in paradiso.
  • Anche la rivoluzione sovietica a suo tempo fu accolta con gioia.
  • La mia strategia consiste in una linea chiara: la disobbedienza civile, possibilmente priva di violenza, compiuta attraverso la mobilitazione di tutte le componenti sociali. Gli studenti, i lavoratori, le donne dovrebbero impegnarsi in interruzioni del lavore, marce pacifiche, cercando di non ingaggiare mai scontri con le forze di polizia e con le varie milizie.
  • Penso a Milosevic, a Ceausescu, a Saddam, alla caduta dell'impero sovietico... Quando i tiranni cadono, e l'Iran è veramente una terribile tirannia, pare sempre un miracolo; ma la volontà interna e internazionale quando si incontrano riescono a compiere questo miracolo, a sferrare il colpo decisivo.
  • La sofferenza era grande. Ma la dignità e l'orgoglio di mio padre ci hanno sempre tenuti vivi.

Da Io, figlio dello scià a fianco della rivolta

la Repubblica, 17 giugno 2003.

  • La cosa migliore è che il popolo iraniano si liberi da solo, senza interventi esterni come quelli che hanno posto fine alle dittature in Afghanistan e in Iraq. E quanto a me, niente speculazioni: considererò la mia missione compiuta nel giorno in cui si terrà il primo voto libero degli iraniani sul loro futuro, sono pronto ad aiutare in ogni modo per questo obiettivo.
  • Lo scenario in Iran è molto diverso da quello dei nostri vicini. Nel nostro caso nessuno sarebbe capace di svolgere il lavoro di portare la democrazia meglio del popolo iraniano stesso. Senza bisogno di un intervento militare straniero. Il modo migliore di avere una svolta è attraverso la lotta del popolo iraniano. Ma bisogna anche sottolineare che vista la natura del sistema il miglior modo per aiutare gli iraniani a liberarsi è mostrare e dare un fortissimo appoggio della comunità internazionale alla lotta per la democrazia: un segnale che la comunità internazionale è per il popolo e non contro il popolo, che non è disposta a fare affari a ogni costo col regime sulla testa della gente.
  • Il mondo non può fidarsi di un regime del genere che tenga un dito sul grilletto. Ci vogliono garanzie anche per la stabilità internazionale. Occorre l'abbandono di dubbi e ambigui programmi nucleari e di ogni piano di armi di distruzione di massa, e l'unica garanzia in questo senso è la democratizzazione. Un regime come quello attuale non esiterebbe a usare senza scrupoli armi del genere.

Da Il figlio dello shah: questo voto è una mascherata

Intervista di Michel Bôle-Richard, La Stampa, 19 giugno 2005.

  • Questo regime interpreta la legge divina come vuole e le elezioni come si faceva in Unione Sovietica o nel regime di Saddam Hussein. Tutto questo per farci credere che hanno una vera legittimità.
  • Io credo che il regime sia sempre meno in condizioni di minacciare gli iraniani. I timori e le paure si dissipano sempre di più. Si propaga un movimento collettivo sempre più profondo. E non è solo composto di un'élite intellettuale, ma è sempre più radicato nel popolo.
  • Il mondo deve giocare la carta iraniana, ma deve parlare al popolo prigioniero e non ai suoi carcerieri.
  • Se il campione delle riforme, Mohammed Khatami non ha potuto fare nulla, non sarà certo Ali Akbar Rafsanjani, il più detestato e il più corrotto del paese, che potrà cambiare le cose.

Da Niente guerra, il popolo si ribelli l' appello del figlio dell' ultimo scià

la Repubblica, 28 agosto 2006.

  • Bisogna abbandonare questa impostazione mentale per cui o si tratta per vie diplomatiche o si parla di interventi militari. Né l'una né l'altra cosa possono risolvere la situazione. La cosa migliore da fare è investire sugli iraniani stessi, perché è fra loro che possiamo trovare l'alleato più naturale.
  • L'idea delle riforme è stata screditata, e ormai è definitivamente finita in un vicolo cieco. Era impensabile che questo regime potesse essere in grado di riformare se stesso. Dall'interno non può venire nessun processo di cambiamento.
  • Il regime è in totale contrasto con quello che vuole il popolo iraniano. C'è una fuga di capitali dall'Iran, e il popolo iraniano, che ha un'ottica generale, vede chiaramente le conseguenze. Il nostro Paese sta andando a fondo e tutte le nostre risorse sono gestite in modo inefficiente da funzionari corrotti. Il regime non sopravviverà, non ho dubbi al riguardo, ma dovrà cadere per mano del popolo iraniano, e non per un intervento esterno. In questo momento, dobbiamo aiutare il popolo ad aiutare se stesso.
  • Quello che abbiamo sotto gli occhi oggi è un chiaro esempio di quello che succede quando la religione è direttamente coinvolta nel governo. Ma non bisogna confondere la laicità con l' opposizione alla religione. è nell' interesse di tutti avere una chiara linea di separazione.

Da "Così rovesceremo gli ayatollah"

Panorama.it, 2008.

  • Stiamo lottando contro il tempo. I dittatori corrono per procurarsi la bomba e la prospettiva di un intervento militare per fermarli si fa sempre più concreta. Ma il cambiamento, ora, deve venire dagli iraniani: il regime non è mai stato tanto vulnerabile.
  • C'è la possibilità di un cambiamento non violento, bisogna che la comunità internazionale trovi una terza via tra l'interventismo militare Usa e l'approccio diplomatico imperfetto degli europei.
  • Si stringono accordi commerciali in cambio della sospensione delle attività di arricchimento dell'uranio, ma questo non impedisce al regime di continuare a lavorare su altre componenti necessarie a costruire la bomba atomica. Soprattutto si manda alla popolazione un messaggio confuso, come se l'unica priorità degli europei fosse proteggersi dalla minaccia nucleare continuando però a tutelare i propri interessi economici.
  • Gli europei si comportano come se volessero dare al regime la possibilità di dimostrare che sa comportarsi bene. È assurdo: sono 25 anni che dimostra il contrario. Non facendo chiarezza su questo gli europei incoraggiano gli americani ad azioni unilaterali.
  • È sempre difficile prevedere la reazione della gente a un attacco straniero. Gli iraniani sono un popolo orgoglioso che vuole il cambiamento, ma non a un prezzo tanto alto. Soprattutto vogliono fare la storia da soli, non attraverso un intervento esterno.
  • Per anni il regime ha guadagnato tempo inscenando questo gioco delle parti che vedeva da una parte i conservatori e dall'altra i riformisti, ma ora è chiaro che il presidente Khatami non ha nulla di diverso da Khomeini: la sua funzione è quella di preservare la repubblica islamica. Di recente gli studenti lo hanno accolto urlandogli dietro: «Vergogna!». È stato uno spettacolo commovente.
  • Guardi cosa è successo in Cecoslovacchia o Iugoslavia: militari e paramilitari alla fine non sono intervenuti contro la popolazione. E lo stesso accadrebbe in Iran: i militari non vogliono fare la fine dei tiranni ma sopravvivere e avere un futuro politico. E un Iran liberato aprirebbe scenari impensabili. Porterebbe stabilità in Iraq eliminando il punto di riferimento che oggi hanno i ribelli. Il terrorismo internazionale non potrebbe più contare su una delle sue principali centrali. E se la Turchia fosse integrata nell'Unione, all'improvviso gli iraniani avrebbero l'Europa alle porte.
  • La mia missione finisce il giorno in cui gli iraniani possono tornare a votare liberamente. Se poi vorranno assegnarmi un ruolo, lo accetterò. Perché il mio unico obiettivo è servire il mio paese. In quale veste, non dipende da me.

Da Iran, il figlio dell'ultimo Scià di Persia: "Con Rohani nulla è cambiato, lavoro per la democrazia"

Adnkronos.com, 23 ottobre 2014.

  • Il regime ha spesso ingannato l'Occidente dando un'immagine di moderazione, come accaduto durante l'era Khatami (l'ex presidente riformista 1989-1997). L'obiettivo era prendere tempo. Oggi accade lo stesso con Rohani, che ancora una volta ha la stessa agenda, ovvero guadagnare tempo - anzi io dico perdere tempo - durante i negoziati sul nucleare.
  • È facile comprendere i motivi per cui il regime necessita della bomba atomica.
  • Senza deterrenza nucleare, il regime non sarebbe in grado di alzare o abbassare il livello della tensione militare nella regione. In caso di confronto tra forze armate convenzionali, infatti, verrebbe sconfitto dalla superiorità delle forze alleate. Con la bomba, invece, il regime sarebbe in grado di imporre la sua egemonia a livello regionale e garantirsi la sopravvivenza.
  • Nel 1979 Khomeini fondò una teocrazia moderna di tipo sciita. Il suo regime costantemente minacciò i vicini provando a esportare la sua ideologia. Il campo sunnita non è rimasto in silenzio. Ora vediamo la rappresaglia, stavolta sotto l'insegna dell'ideologia radicale sunnita.
  • Il regime dei mullah a Teheran ha beneficiato dalla crisi regionale. Infatti ha provato a destabilizzare i paesi più vicini in uno scellerato gioco di sopravvivenza e ha represso i suoi cittadini.
  • L'Occidente ha sottovalutato la minaccia in Medio Oriente, che ora è degenerata. Il gioco è andato fuori controllo e al momento né il regime clericale né l'Occidente possono cambiare le cose. A mio modo di vedere esiste un'unica soluzione: la democratizzazione perché la mancanza di libertà e di opportunità economiche sono alla radice dell'estremismo nella regione. Il mondo libero deve prendere una decisione chiave una volta e per tutte: aiutare la gente della regione, permettendo loro di liberarsi dei regimi indesiderati. Se si manterrà lo status quo, c'è il rischio potenziale di una terza guerra mondiale.

Da Il figlio dell'ultimo Scià «I raid russi? Iran regime che dipende da Mosca»

Corriere.it, 17 agosto 2016.

  • La Russia flette i muscoli di nuovo e l'Iran si presta, perché dipende militarmente da Mosca e perché continua a essere paranoico verso l'Occidente. L'Iran e la Russia dicono di combattere l'Isis ma in realtà bombardano chi vuole rovesciare Assad.
  • Quando hai personaggi non eletti, dalla Guida suprema in giù, che controllano ogni aspetto della società, come puoi cambiare la Costituzione? Questo regime teocratico non è democratico né può riformare se stesso. C'è il principio del rappresentante di Dio sulla terra, il velayat e-faqih, e tutto quello che dice è definitivo. Perciò dobbiamo cambiare il regime.
  • Ogni volta che gli iraniani hanno tentato di cambiare, c'è stata una repressione brutale e non sono stati appoggiati.
  • Se ci sono azioni ingiustificate e contro i diritti umani, sotto regimi precedenti, attuali o futuri, le condannerò.
  • Lei si scuserebbe per qualcosa che hanno fatto i suoi genitori? Se fosse qualcosa di orrendo... Ma non vedo niente di orrendo, sono orgoglioso dei risultati di mio padre e mio nonno, penso che abbiano portato l'Iran fuori dall'oscurità alla modernità.

Citazioni su Reza Ciro Pahlavi[modifica]

  • Appartenere alla famiglia dello scià non è un crimine. Non mi risulta ad esempio che il figlio Reza si sia macchiato di colpe verso il popolo, quindi non ho nulla contro di lui. Può rientrare in Persia quando vuole e viverci come un normale cittadino. Che venga. (Ruhollah Khomeyni)
  • Ha un aspetto piuttosto occidentale questo quarantatreenne con la cravatta rossa, assertivo e tecnico, dal linguaggio tutto derivato dalla laurea in Scienze politiche: potrebbe divenire, se non il leader, almeno il simbolo unitario di una rivolta iraniana prossima ventura. (Fiamma Nirenstein)
  • Sono lieta che lo Scià sia riuscito finalmente a coronare il suo più ambito desiderio, quello di avere un principe ereditario. Sono felice di quanto avvenuto anche per il mio Paese e il mio popolo. (Soraya Esfandiary Bakhtiari)

Farah Pahlavi[modifica]

  • Il nome Pahlavi in Iran è intrecciato al secolarismo. Mio figlio, il principe Reza, ha portato avanti questa tradizione. Per oltre quattro decenni, in qualità di erede della corona Pahlavi, ha fatto della lotta per la democrazia laica la sua missione: un governo in cui la prima e l'ultima parola spetta allo Stato di diritto, derivato dalla volontà del popolo espressa alle urne. Ha anche insistito sulla sostituzione della forma di governo monocentrica con quella basata sulle istituzioni. Insieme al resto della Casa Pahlavi, condivido la sua visione e le sue speranze.
  • Mio figlio Ciro, che negli ultimi anni viene sempre più richiamato in Iran, è per la libertà e la democrazia. È convinto che in Iran la religione debba essere staccata dallo Stato, anche per rispetto alla religione e religiosi, la Repubblica Islamica non ama l'Islam. Reza sostiene che ci vuole la libertà come in Europa, non è che in Francia o in Italia non esistano dei buoni cattolici.
  • Mio figlio, il Principe Reza, che ha veramente dedicato la sua vita all'Iran per trent'anni, che è in contatto con gli iraniani attraverso i social media, crede a una democrazia laica, ai diritti dell'uomo, della donna, alla libertà di religione e all'integrità territoriale dell'Iran.
  • Reza si batte perché vinca la libertà: se il popolo vuole la monarchia, lui accetta di tornare. Se si vuole la repubblica, accetterà ugualmente, ma nel rispetto delle libertà.

Note[modifica]

  1. a b Citato in Reza Pahlavi jr imperatore dell'Iran, La Stampa, 31 ottobre 1980
  2. a b Citato in Reza II in esilio si proclama Scià, La Stampa, 1 novembre 1980
  3. Citato in Finché il potere resta ai mullah in Iran non cambierà niente, la Repubblica, 7 giugno 2001.
  4. Citato in Iran: a Zahedan una manifestazione soffocata nel sangue. Un ragazzo sarebbe rimasto ucciso, Rainews.it, 28 ottobre 2022.

Voci correlate[modifica]

Altri progetti[modifica]